Indesit, la famiglia vuole interdire il patriarca delle lavatrici

Indesit, la famiglia vuole interdire il patriarca delle lavatrici

A Fabriano bisogna stare attenti a nominare la famiglia Merloni. Sono come gli Agnelli per Torino. Sovrani assoluti, anzi di più. Nel Medioevo la città delle Marche, incastonata tra i monti dell’Appennino e la gola delle grotte di Frasassi, era la capitale mondiale della carta, un’industria che regalava ricchezza e prosperità. Tuttora c’è un museo dove producono a mano la filigrana (inventata proprio a Fabriano), esattamente come sette secoli fa. Ma oggi l’economia di Fabriano, 32mila abitanti più altre migliaia delle vicinanze, non gira sulla carta ma attorno agli elettrodomestici della Indesit.

Negli anni ’30 fu Aristide Merloni, finanziato da un prete di Albacina,piccolo paesino dell’entroterra marchigiano, a fondare una prima azienda di elettrodomestici e per quello divenne anche sindaco della città. Più tardi, nel 1975, il figlio Vittorio fonda Ariston, oggi Indesit Company. Sulle orme del padre, con alterne fortune, si sono mossi anche gli altri due fratelli di Vittorio, Antonio e Francesco, quest’ultimo già ministro nei governi Amato e Ciampi e poi parlamentare dell’Ulivo prodiano.

La città è così plasmata attorno alla industria delle lavatrici, ai suoi ritmi di lavoro. Narrano le leggende locali che a Fabriano, fino a poco tempo fa, non c’era nemmeno un locale notturno o una discoteca. La famiglia non voleva che gli operai facessero tardi la sera. Vero o no, quando si creano 20mila posti di lavoro e non si chiude mai un bilancio in perdita, qualche pretesa ci sta. Di recente nella città è stato aperto un locale: ma è di proprietà degli stessi Merloni. Il sovrano illuminato che concede quel tanto che basta per accontentare i sudditi. Di questi tempi, però, a Fabriano la vita notturna è l’ultimo dei problemi.

Alla soglia degli 80 anni, il patriarca Vittorio Merloni è gravemente ammalato. La famiglia è spaccata sulle scelte che inevitabilmente si aprono nelle fasi di passaggio generazionale. Dopo il passo indietro del patriarca, che nel 2010 ha lasciato la presidenza al figlio Andrea, è emersa qualche crepa nell’unità familiare. La crisi economica e gli effetti conseguenti sui conti di Indesit non hanno aiutato fratelli e cugini (una sorella del padre, Ester, è fra gli azionisti rilevanti) a digerire gli atteggiamenti “sopra le righe” di Andrea. Il punto di caduta delle tensioni è la prossima assemblea di aprile 2013: c’è da rinnovare i consigli della Indesit e della holding Fineldo. Perciò, all’ombra del patriarca, uno degli ultimi grandi imprenditori industriali rimasti in Italia, è iniziata una guerra per la successione.

Non è la prima volta che Fabriano è nella tempesta. Non molti anni fa il dissesto della Antonio Merloni, stessa famiglia altro ramo, aveva precipitato la città nello sgomento. Dopo aver già perso un’azienda storica, che aveva pure rischiato di trascinarsi dietro la locale banca CariFac, adesso la città non può permettersi che la stessa sorte tocchi anche all’azienda principe che dà lavoro a tutta la città e altrettanto ne dà con l’indotto ai comuni vicini. Fabriano rappresenta un pezzo di storia industriale italiana e i Merloni sono tra i pochi sopravvissuti delle grandi famiglie industriali italiane (scomparsi i Pirelli, i Falck, lacerati i Marzotto). Ci sono riusciti perché Vittorio, venti anni fa all’inizio del processo di globalizzazione e quando ancora era saldamente in sella, ebbe la visione e l’intuizione di sbarcare in Russia, dove ancora il benessere non era arrivato a portare elettrodomestici nelle case. Quest’anno è stato proprio il mercato russo, insieme con quello britannico, a salvare le vendite: +0,2% sui primi nove mesi 2012. Ma a guardare meglio nei conti si nota che il merito della tenuta (e addirittura del balzo del 4% delle vendite nel terzo trimestre) è più dell’effetto dei cambi – ossia i ricavi in sterline inglesi e rubli valgono di più in termini di euro – che non dei volumi, e che Indesit ha dovuto abbassare i prezzi. A cambi costanti, in sintesi, Indesit continua a perdere fatturato. 

È un fatto, insomma, che l’azienda non brilla più. È vero che tutta l’industria del “bianco” arranca. Di grandi elettrodomestici – lavatrici, asciugabiancheria, lavastoviglie, frigoriferi, congelatori, cucine, cappe, forni e piani di cottura – se ne vendevano già pochi, perché ormai nella “vecchia” Europa il mercato ha smesso di crescere ed è solo di sostituzione. Ma, dall’ultimo trimestre 2008, è in contrazione. E con il perdurare della recessione, la gente non va certo a comprarsi la cucina o la lavatrice nuova. Nell’Europa occidentale, dove è concentrato circa il 60% del fatturato di Indesit, c’è insomma un problema oggettivo di domanda, non aggredibile con leve manageriali. Mal comune, mezzo gaudio, dunque? Non proprio perché in casa Merloni le cose vanno peggio che altrove, sebbene Indesit abbia dalla sua un basso livello di indebitamento (450 milioni). Il confronto con gli altri concorrenti europei mostra che Indesit è la pecora nera. In quattro anni, dal 2007 al 2011, il gruppo di Fabriano ha perso per strada 600 milioni di fatturato, ora sceso 3 miliardi di euro. L’anno scorso Indesit ha bruciato metà capitalizzazione in Borsa (-54%) e il titolo è crollato da 9 sotto i 4 euro. L’indice europeo di settore è sceso ma “solo” del 14% e Piazza Affari ha perso il 26 per cento. Anche se dai minimi dello scorso luglio, 2,5 euro, le quotazioni sono più che raddoppiate, I’azione Indesit quota circa 7 volte gli utili mentre la media dei concorrenti è sopra 11 volte. La valutazione più prudente del gruppo dei Merloni sconta l’attesa di una crescita contenuta. Per i prossimi anni, infatti, gli analisti si attendono una crescita media annua quasi nulla (+0,75%) mentre gli altri big dovrebbero fare molto meglio (+4% all’anno). Va bene la crisi, insomma, ma in casa Indesit evidentemente c’è qualcosa di più. 

Un primo problema è la dimensione. Con i suoi 3 miliardi di euro di fatturato, 14 stabilimenti e 16mila dipendenti, Indesit è piccola rispetto ai concorrenti, e questo in un settore dove avere la massa critica fa la differenza. Sul mercato sono rimasti ormai pochi grandi colossi: la tedesca Bosch, la svedese Electrolux, l’olandese Philips, la coreana LG e la statunitense Whirlpool. L’arrivo dei cinesi della Haier, interessati a conquistare quote di mercato anche a costo di sacrificare i margini, non fa che acuire la tensione competitiva. Da qui ai prossimi anni lo scenario è desolante: calo dei consumi di beni durevol, pressione sui prezzi, e l’inevitabile spinta alla delocalizzazione. A Fabriano si rischia che l’industria del bianco diventi roba da museo come è successo per la carta: e qui si arriva all’altro grande problema.

Il costo orario di un operaio a Fabriano, e più in generale in Italia, è ormai fuori mercato. In Polonia si produce a molto meno. E infatti in Italia Indesit sta chiudendo impianti. Non a Fabriano perché lì i Merloni sono i garanti della pace sociale e di un tessuto economico che subirebbe un impatto devastante da una Indesit che manda a casa la gente. E poi non si fa: sarebbe uno smacco micidiale. A Fabriano si rischia che l’industria del bianco diventi roba da museo come è successo per la carta. Va riconosciuto che i Merloni si sono sempre distinti per un approccio “socialmente sensibile” alle questioni occupazionali. C’è ancora chi ricorda l’impegno profuso nel ricollocamento degli operai quando, anni fa, venne chiuso lo stabilimento in provincia di Treviso e, più di recente, la gestione del ridimensionamento dell’impianto di None in Piemonte. Ma un dato indica che potrebbe non essere finita: in Italia il gruppo fa un terzo della sua produzione ma solo il 15% del fatturato. Continuare sul taglio dei costi e lo spostamento della capacità produttiva è un modo per resistere, ma non è la via d’uscita. E anche la decisione di mettere un piede sul mercato dei piccoli elettrodomestici (attraverso il ricorso a terzisti, in modo da non aumentare i costi fissi), può aggiungere un po’ di fatturato ma non è risolutivo.

Una riposta al problema dimensionale sarebbe quella che la famiglia, e soprattutto il presidente Andrea, faccesse un passo indietro e che si faccia una grande alleanza-fusione con un gruppo internazionale. Solo che il presidente viene descritto come un piccolo lord a cui piace la bella vita, anche in tempi che richiederebbero invece parsimonia. Arriva in jet privato alle riunioni di famiglia, mentre gli altri fratelli e sorelle prendono il treno, accusano i maligni. Ma soprattutto c’è chi non lo ritiene adeguato al ruolo di presidente, anche se va ricordato che fu proprio il padre Vittorio a designarlo, dopo averlo voluto al suo fianco per anni come vicepresidente. Sembra la classica, e già vista, faida familiare con la dinastia che si spacca e si fa la guerra per comandare, ovvero ci si divide tra chi vuole vendere e chi invece vuole continuare la tradizione di famiglia. Ma stavolta è un po’ diverso: primo perché i Merloni non sono imprenditori qualsiasi. Rappresentano quella parte sana dell’industria italiana che sempre più fatica a tenere testa alla globalizzazione. E in più perché ci va di mezzo il futuro stesso dell’azienda.

Indesit è controllata al 44% dalla Fineldo, la holding che custodisce gli interessi dei Merloni. E qui viene il bello. La cassaforte di famiglia è divisa in cinque parti uguali: i quattro figli hanno ciascuno il 20 per cento. Un altro 20% è in mano alla madre, la moglie di Vittorio. Ma sono azioni solo in usufrutto perché il 98% di quelle azioni sono intestate a Vittorio, che ha la nuda proprietà. Non sarebbe un dramma se non fosse che Vittorio, classe 1933, arrivato alla soglia degli 80 anni, è gravemente ammalato e non ha più la lucidità e la capacità di visione di un tempo.

L’ultimo bilancio della Fineldo scatta una fotografia con molte ombre, e poche luci. A prima vista, tutto sembra procedere bene. La cassaforte ha portato casa 1,2 milioni di utili, come l’anno prima. Quindi la crisi non sembrerebbe scalfire la cassaforte dei Merloni. Ma, se si va un po’ più indietro nel tempo, si vede che negli anni passati le cose andavano decisamente meglio (nel 2009 i profitti erano vicini ai 6 milioni). I Merloni hanno preso una legnata con la finanza: 26 milioni di perdite sul titolo Unicredit nel 2011, più altri 15 milioni di accantonamenti sulla Finmotor, il fallimentare tentativo di salvare la Benelli qualche anno fa, una macchia nel curriculum di Andrea. Il bilancio della holding è stato salvato dalla robusta iniezione di energia. Anni fa i Merloni decisero di diversificare nell’elettricità, quando furono privatizzate alcune centrali dell’Enel. Nacque così la Mpe (Merloni Progetto Energia), che poi è stata venduta ai tedeschi di E.On. L’anno scorso la Mpe, o meglio quello che ne rimaneva (le attività nelle energie rinovabili), è stata spolpata delle sue riserve, pari a 23 milioni, per ripianare il buco della Fineldo. In ogni caso alla famiglia non è andato un euro di dividendi.

La compagine societaria di Indesit Company

Aprile 2013 è dietro l’angolo. Come può l’azionista unico Vittorio nominare una lista di manager per il consiglio di amministrazione della Indesit, nelle condizioni di salute in cui si trova? Al momento tutti e quattro i figli sono nel cda della società. L’idea che balugina è da far tremare i polsi: chiedere l’interdizione per il patriarca. Suona come un sacrilegio, nei confronti di un imprenditore, ex presidente di Confindustria, che ha scritto una pagina importante nella storia economica dell’Italia. Ma solo così si potrebbe sbloccare l’impasse in assemblea. Contattato da Linkiesta, Andrea Merloni ha preferito non rilasciare commenti. Ammesso che si seguisse questa strada, comunque, chi nominare come tutore? 

Sulla questione dell’interdizione, secondo quanto riferiscono da fonti confidenziali, la famiglia è spaccata a metà. Andrea non la vuole perché sa che significherebbe la sua uscita. Vuole lo status quo e dalla sua parte avrebbe anche Marco Milani, l’amministratore delegato messo sotto accusa dagli altri fratelli per la gestione. Milani è alla guida operativa del gruppo dall’estate 2004, è stato al timone negli anni della crisi e gode di grande credibilità sul mercato: ma non può essere lui ad avere l’ultima parola sulle scelte di fondo che sono di competenza degli azionisti. Andrea ha un fratello gemello, Aristide, che non ha ruoli direttivi nel gruppo. Si limita a fare l’azionista (oltre che consigliere di Indesit e della Fineldo, è presidente di Merloni Progetto), ma si dedica alle sue passioni, le moto e lo sport. Aristide è favorevole alla interdizione e sul punto avrebbe l’appoggio della sorella Maria Paola, che è anche deputata nazionale per il Partito democratico. Entrambi intenzionati a ricomprarsi la nuda proprietà delle azioni. La madre non si schiera: per definizione è sempre “filo-governativa”. Insomma, punta alla stabilità e prova a tenere unita la famiglia. Si rischia lo stallo, però. Ago della bilancia è la quarta sorella, Antonella, che è anche presidente della Fineldo: lei sarebbe disposta ad accettare l’interdizione a patto che come tutore sia nominata la madre. Una sorta di “appoggio esterno” al duo Aristide-Maria Paola. Chi vincerà?

Nel tentativo di arrivare a una mediazione, soddisfacente per tutti, sulla questionestanno lavorando figure di peso da sempre vicine alla famiglia. Innanzitutto, dicono i bene informati, Romano Prodi, storico amico dei Merloni. L’ex premier, pare, si starebbe adoperando per cercare una soluzione a Fabriano. Ma il professore bolognese non è solo. A condurre una delicata azione di moral suasion sui quattro eredi sarebbero scesi in campo anche l’economista Innocenza Cipolletta, presidente di Ubs Italia e consigliere di amministrazione della Indesit, e Luigi Abete, presidente della Bnl-Bnp Paribas e amministratore della Fineldo. Raggiunto al telefono da Linkiesta, Cipolletta non ha dato né conferme né commenti, limitandosi a dire che «la famiglia saprà trovare una soluzione» come sempre. Oltre al pressing su Andrea, c’è chi pensa che bisognerebbe operare anche un profondo ricambio al vertice operativo, a cominciare dall’a.d. Milani, che però è un manager che gode di grande credibilità sul mercato. Se si andasse in questo senso, occorrerebbe individuare un nome “pesante”. 

Chi sarebbe il candidato per prendere in mano le redini dell’azienda? Sottotraccia, pare, si sta muovendo un volto piuttosto noto dalle parti di Fabriano: Francesco Caio, che per Indesit è una vecchia conoscenza. Il super-manager, che veniva da Omnitel, fu chiamato proprio da Vittorio Merloni nel 1997 e fece fortuna nell’azienda, che allora si chiamava Merloni Elettrodomestici, guidandone la definitiva trasformazione in impresa manageriale. Dopo l’esperienza alla Cable & Wireless e poi alla Lehman Brothers, ora è amministratore delegato di Avio ma ha mantenuto un piedi in Indesit, visto che siede nel cda Indesit come indipendente. E Caio, dicono voci maliziose, non dispiacerebbe tornare a Fabriano per riprendere in mano il timone. La città incrocia le dita. 

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