«So tutto di voi, per gli incarichi istituzionali che rivestivo, ho guidato i servizi, conosco i vostri segreti». Mentre il ras del Pdl ligure, l’ex ministro Claudio Scajola, avvertiva i vertici regionali del suo partito, con piglio risentito, nelle stesse ore la Direzione Distrettuale Antimafia di Genova portava a termine una importante operazione antimafia contro la ‘ndrangheta nell’estremo ponente ligure.
Quindici arresti e tredici indagati a piede libero, tra cui l’ex sindaco di Ventimiglia Gaetano Scullino e l’ex sindaco di Bordighera Giovanni Bosio, primi cittadini dei due comuni liguri sciolti per infiltrazioni della criminalità organizzata a cavallo tra il 2011 e il 2012 (Clicca qui per leggere il decreto di scioglimento del Comune di Ventimiglia – Clicca qui per leggere il decreto di scioglimento del comune di Bordighera).
Ed è proprio nelle pagine redatte dalle commissioni di accesso ai Comuni e poi firmate dal ministero dell’Interno che si trovano informazioni preziose per comprendere fino a dove si spinge la criminalità organizzata in un territorio come quello ligure. È infatti, ancora una volta, il rapporto perverso tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata, il filo conduttore delle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Genova guidata da Michele di Lecce.
Dalle carte dell’operazione ribattezzata “La Svolta” emerge infatti la volontà da parte dei sodalizi della ‘ndrangheta di procurarsi una “amministrazione gradita”, per poi lavorare con imprese e servizi sul territorio. Non è un caso infatti che siano indagati gli ex sindaci di Ventimiglia e Bordighera, sciolti per infiltrazione della criminalità organizzata, e con loro, l’ex city Manager di Ventimiglia Marco Prestileo e il sindaco di Vallecrosia (Imperia), Armando Biasi. Per Scullino e Prestileo avevano già parlato anche gli atti dei commissari del comune di Ventimiglia «Gaetano Scullino, «ha contatti con i membri della famiglia Marcianò, in particolare con il capofamiglia Giuseppe, con il quale si è incontrato personalmente». Così scrivevano anche per Prestileo.
L’inchiesta è partita due anni fa e ha permesso di individuare una “locale” (cellula criminale strutturata) di ‘ndrangheta nella provincia di Imperia, indipendente rispetto a quella calabrese dei Piromalli, che rimaneva comunque il punto di riferimento di Giuseppe Marcianò e Antonio Palamara, ritenuti dagli inquirenti i capicosca della cellula imperiese.
Uomini della ‘ndrangheta in grado di spostare pacchetti di voti, così, dicono gli investigatori, la politica si rivolgeva a loro, soprattutto in periodo di campagna elettorale tanto che, oltre a organizzare cene e incontri, Marcianò e i suoi provvedevano anche alla formazione delle liste inserendo i propri uomini. Stando attenti però, si legge in una intercettazione, a non inserire troppi calabresi «perchè altrimenti poi se ne accorgono».
Tanto è che gli stessi inquirenti riferiscono che in questo caso, il reato di voto di scambio «non esiste di fatto. In questo caso è stata operata una costante ingerenza nel mondo della politica che ha portato gli indagati a “costruire” amministrazioni “amiche». Non è un caso che proprio nel vecchio ristorante di Giuseppe Marcianò gli investigatori impegnati nell’indagine abbiano documentato incontri e cene elettorali. Occasioni in cui soggetti identificati come esponenti dei clan entravano in contatto con gli uomini della politica locale e in alcuni casi anche regionale della Liguria, alcuni dei quali già implicati in altre indagini, come l’ex sindaco di Ventimiglia Vincenzo Moio, esplicitamente citato in un rapporto della Direzione Nazionale Antimafia.
Amministrazioni amiche che avrebbero, e in alcuni casi hanno, favorito la gestione di alcuni segmenti di grandi appalti. Nell’ordinanza emessa dal Gip Massimo Cusatti emergono infatti le opere dei porticcioli di Ventimiglia e Ospedaletti. Così tra aziende e cooperative gestite da teste di legno, un grande classico per le cosche che colonizzano e delocalizzano al nord, spunta il nome della Cooperativa sociale Marvon, finita nel mirino proprio quando venne sciolta l’amministrazione comunale di Ventimiglia guidata dall’ex sindaco Gaetano Scullino, che non contento della relazione del ministro Cancellieri, fece pure ricorso al Tar, ancora ignaro delle indagini su di lui.
Soci occulti della Marvon, secondo le indagini, sono Omar Allavena, ex agente di polizia municipale di Vallecrosia, e Annunziato Roldi, il cui nome compare anche nelle indagini riguardanti l’attentato al costruttore di Bordighera, Piergiorgio Parodi. Già dalla relazione dei commissari del Comune di Ventimiglia emerge come la partecipata del Comune Civitas abbia affidato direttamente alla Marvon – riconducibile alla famiglia Marcianò – la realizzazione del 60% dei totale delle opere appaltate dal 2009 al 2011, senza rispettare le procedure.
A mettere una strana pulce nell’orecchio di investigatori e magistrati, tra cui il capo della Dda di Genova Michele Di Lecce, è una intercettazione agli atti in cui Giuseppe Marcianò viene registrato mentre dice che un «magistrato di Genova per 10mila euro è disposto a vendere i propri servigi». Il che può significare una cosa sola, che qualcuno dall’interno possa avvertire di indagini in corso e attenuare misure di sorveglianza. Nell’ordinanza il gip Cusatti scrive che al momento il soggetto in questione non è stato indentificato, ma l’intercettazione è stata comunque trasmessa alla procura di Torino, competente per le indagini sui giudici e pm liguri.
Un’uscita, quella di Marcianò, che fa tornare alla mente recenti veleni passati dalla Procura della Repubblica di Genova, con Di Lecce, che neo insediato a capo della struttura si è voluto prendere le deleghe all’antimafia, togliendole al procuratore Vincenzo Scolastico. Ufficialmente “un atto procedurale automatico”. Scolastico però nelle scorse settimane ha visto cadere tutto l’impianto accusatorio costruito nell’ambito del processo Maglio 3 sempre sulla ‘ndrangheta in Liguria, istruito da quest’ultimo, ma con prove insufficienti secondo il gip Silvia Carpanini.
Punto debole delle indagini sarebbe stata proprio l’assenza della dimostrazione dei cosiddetti “reati fine” commessi sul territorio. Il nome dello stesso compare in una serie di documenti e intercettazioni di una operazione anti-riciclaggio nei confronti della cosca Piromalli, dove almeno tre persone parlano dell’ex capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Genova, il quale però si difende definendo “millanterie, invenzioni e intimidazioni” le voci degli intercettati, intenti a vendicarsi per aver reso loro la vita impossibile.
L’imperiese sotto scacco delle ‘ndrine e con ex sindaci e funzionari che finiscono indagati rischiano anche le manette. Un precedente illustre in regione c’è, ed è proprio quel Claudio Scajola, che sbandiera il suo vecchio ruolo ai servizi segreti. Nel 1983, “sciaboletta”, ai tempi sindaco di Imperia, fu arrestato su mandato di Piercamillo Davigo, allora alla procura di Milano, per lo scandalo sui casinò: una vicenda fatta di clan siciliani e case da gioco, precisamente quelle di Sanremo e Campione d’Italia.
Scajola è accusato da carabinieri di essersi incontrato nel maggio del 1983 in Svizzera, insieme al sindaco di Sanremo, con il conte Borletti, interessato al controllo del casino sanremese e di avergli chiesto 50 milioni a titolo di rimborso spese, dovuti per l’impegno dei politici di Imperia e Sanremo. Lui si difende dicendo di aver visto Borletti solo perché nominato tra i saggi del partito per cercare di capire cosa stesse succedendo nella partita dei casinò e non di aver chiesto tangenti, come sosteneva la procura di Milano. Settanta giorni a San Vittore, poi un’assoluzione perché considerato estraneo ai fatti.
Ieri lo stesso Scajola è andato brandendo il drappo dei servizi segreti nei confronti di un altro personaggio che ne sa qualcosa dei rapporti venuti a galla con l’operazione “La Svolta”: Eugenio Minasso, che oggi siede tra i banchi del Pdl alla Camera dei Deputati, promuove commissioni di accesso per lo scioglimento dei comuni per mafia, ma che candidamente, in una intervista al Secolo XIX, ammetteva: «D’accordo, m’hanno dato una mano nelle campagne elettorali – dice riferendosi alle accuse di aver ricevuto aiuti dai clan – come molti altri, specie alle Regionali 2005, quando ho ottenuto un grosso successo». Ma, specificava poi Minasso: «Dai Pellegrino non ho mai ricevuto un centesimo».
Quella mano sarebbe arrivata dai Pellegrino, finiti in carcere nel 2010, con l’accusa, tra le altre, di avere minacciato due assessori di Bordighera per la mancata autorizzazione ad aprire una sala di slot machine. Circostanza richiamata anche nell’operazione “La svolta” che ancora una volta porta a galla il legame tra mafia, politica e imprenditoria, e questa volta, si dice in ambienti investigativi, le prove non sembrano essere insufficienti.
Twitter: @lucarinaldi