Sembrava una partita di Premier League e invece – sorpresa! – quella tra Roma e Fiorentina era un match di serie A. Era lecito aspettarsi tanti gol tra le due squadre più divertenti del fu campionato più bello del mondo. Non hanno deluso: 6 le reti in tutto. Una partita importante per diversi motivi. Uno: la Roma si è rilanciata con la quinta vittoria in 6 partite, raggiungendo proprio la Fiorentina a quota 29 punti e rilanciando le proprie ambizioni europee. Due: i giallorossi sono a 38 gol stagionali, un vero e proprio record frutto di quegli schemi offensivi di Zdenek Zeman che cominciano a dare i propri frutti. Tre: a proposito di record, Francesco Totti è arrivato sabato sera a 221 reti in serie A, a -5 dal record assoluto del rossonero Nordhal. Non male, Francè. La prestazione del capitano sabato è stata notevole, da vero leader e trascinatore, in barba a chi crede che se uno non più giovane come lui è stato il migliore in campo allora in serie A stiamo messi male. Bisogna saperci arrivare, a quell’età, e sapersi esprimere ancora a quei livelli. Totti ha segnato due gol e ha messo lo zampino negli altri due. La Roma lì in avanti è un trionfo di sovrapposizioni, movimenti azzeccati e passaggi filtranti. Osvaldo fa un gran lavoro non solo in zona gol, ma anche venendo incontro al portatore di palla, aprendo gli spazi sia a Totti e Perrotta sia a Florenzi. Contro una squadra che gioca così – e reduce da un filotto di 8 gol presi in 3 partite – un Montella senza Pizarro ha confermato un centrocampo fatto tutto di costruttori e nessun interditore. Il che significa: prego, fateci gol. E la Roma non si è fatta pregare. Sta qui la spiegazione della vittoria dei giallorossi e non nei numeri, che farebbero pensare a un’altra gara: 53% di possesso palla viola, 566 palloni giocati dalla Roma contro i 561 della Fiorentina, 9 tiri a 8 per i padroni di casa. Ci sarebbe da aggiungere che la Roma di Zeman deve lavorare ancora sui movimenti in fase difensiva: il fuorigioco non azzeccato sull’1-1 viola lo dimostra. Ma sarebbe come chiedere a Del Neri di non giocare con il 4-4-2.
La Juve era attesa da una prova importante: vincere in campionato subito dopo i 3 punti in Europa. La vittoria con il Chelsea aveva spompato i bianconeri, che con il Milan avevano fallito soprattutto il primo tempo. Ieri a Palermo la Juve non ha strabiliato, ma al contempo non ha concesso nulla agli avversari. I primi 45 minuti tutto sommato i rosanero li hanno gestiti bene, con un Gasperini che ha infoltito il centrocampo per chiudere gli spazi e far sfiancare i bianconeri sul piano della corsa, grazie anche a un Morganella reinventato centrocampista. E’ nella ripresa che la Juve tira fuori le unghie e porta a casa la partita, imponendo la propria supremazia: 60% di vantaggio territoriale, 61% di contrasti vinti, 36 dribbling (a 21), 28 cross a 15, 14 tiri in porta a 3. Il 66% dei gol segnati dalla Juve sono arrivati nei secondi tempi, segno che come lo scorso anno i bianconeri non mollano mai, ma anche che gli avversari scendono in campo meglio organizzati.
Contro un Torino abile a sfruttare il contropiede, il Milan ha vinto grazie al possesso palla nonostante il pasticciaccio brutto di Nocerino. Al Milan mancava una buona dose di classe (Montolivo assente, El Shaarawy marcatissimo a uomo da Darmian) e di strapotere fisico (Non c’è Boateng, per De Jong stagione finita), quindi l’unica era tener palla. Poi ci si sono messi gli errori dei singoli, da Nocerino appunto alla smanacciata di Gillet, fino ai tanti di Robinho. Il Toro è una buona squadra, che non dovrebbe avere problemi a salvarsi, ma deve fare qualcosa in avanti: i granata costruiscono tanto ma segnano poco.
Tra Inter e Napoli si doveva decidere chi sarebbe stata l’anti-Juve. Alla fine lo sono entrambe, per diversi motivi. Ieri sera a San Siro questi motivi si sono palesati. Cominciamo dal Napoli. Come abbiamo avuto modo di ribadire più volte su Linkiesta, il problema degli azzurri non è di ordine tattico, ma mentale: ogni tanto arrivano dei black-out, come nei recuperi subiti contro Torino e Milan, o come gli scontri diretti persi. Tatticamente, sulla squadra di Mazzarri nulla da dire. Il Napoli è una macchina ben oleata, collaudata da tempo, che ha nell’ordine: un bomber di razza come Cavani, un talento assoluto come Insigne che è capace di andare in porta palla al piede dopo 50 metri di corsa sulla fascia, Hamisk a costruire, Inler con un tiro da fuori che spesso non perdona. Una macchina che ieri sera ha prodotto il 66% di possesso palla e il 52% di vantaggio territoriale, 14 tiri, 516 passaggi (contro i nemmeno 300 dell’Inter). Però è finita 2-1 per i nerazzurri. Cinismo? Può essere. Di sicuro l’Inter ha bisogno di innesti. Assodato che Stramaccioni giocherà con il 3-5-2 alternato al 3-4-3, Moratti dovrebbe cercare un attaccante di qualità da tenere pronto in panca, oltre – e soprattutto – a un regista dai piedi buoni, tenendo conto la partenza probabile di Sneijder. Il cinismo dell’Inter sta nel dare palla in avanti: tra Milito, Cassano e Palacio, qualcosa di sicuro succede. Ma a centrocampo si suda e si corre troppo, spesso a vuoto, contrastando tanto (51% di contrasti vinti ieri) ma costruendo poco. E mentre le due squadre devono risolvere i propri problemi, la Juve senza top player si gode il primato in classifica.