Era il 6 dicembre 1962, al tempo del governo Fanfani IV, quando nasceva l’Enel, l’Ente Nazionale dell’energia elettrica, in un momento in cui politica ed economia «andavano in equilibrio», come spiega a Linkiesta il professor Giulio Sapelli, ordinario di Storia Economica all’Università Statale di Milano. Sono passati 50 esatti, e una storia lunghissima. In quell’occasione, insieme all’Enel era nata anche il centrosinistra della Democrazia Cristiana, durato per i dieci anni successivi, e l’Italia partiva per il boom e poi l’austerity, fino alle privatizzazioni volute da Giuliano Amato.
Sono passati 50 anni: in che contesto politico venne creato l’Enel?
È la storia degli oligopoli elettrici. L’Enel arriva da qui, dalla volontà delle parti più evolute del capitalismo industriale, da cui si staccano gli intellettuali, come il giovane La Malfa, o Eugenio Scalfari, e il Mondo, e vanno incontro alle proposte dei lombardiani, cioè che si basavano su “riforme di struttura”, come le definiva lui, attraverso la nazionalizzazione delle risorse. Diversamente da quanto si dice oggi, all’epoca erano convinti che il monopolio pubblico potesse mantenere un controllo positivo, cioè migliorare le cose. E del resto lo si è visto, nelle situazioni critiche che sono venute in seguito, negli anni ’70.
Insieme all’Enel, nasce il centrosinistra.
Sì, uno dei momenti che unisce la politica e l’economia, una realtà che sorge con i socialisti e che viene guardata in modo positivo anche dal partito comunista. Va ricordato che Palmiro Togliatti, prima di morire, si era raccomandato di astenersi (cioè, un riscontro positivo) di fronte alla questione Enel. La cosa piaceva: era vista come una rottura del fronte oligarchico più conservatore, come Confindustria. Una rara occasione in cui politica ed economia trovano l’equilibrio.
Le cose cambieranno negli anni ’70?
La nazionalizzazione serve: la crisi petrolifera colpisce l’Italia e i consumi, ma è una cosa che riguarda soprattutto l’Eni. Di fronte alla crisi, per l’Enel si apre una stagione in cui si regola il consumo elettrico, ma a differenza di altri, il problema è la sovra-capacità produttiva. In ogni caso, meno male che in quegli anni c’era l’Enel: proprio in quel momento si comprende come la scelta della nazionalizzazione sia stata giusta. Un ente pubblico è stato nelle condizioni di garantire energia a un prezzo basso, cosa che non sarebbe potuta succedere se fosse stata frazionata in mano a privati, che avrebbero piuttosto fatto salire i prezzi.
Poi però, l’Enel viene privatizzata da Giuliano Amato. Come considera questa mossa?
Una stagione sbagliata. Prodi prima e poi Amato. All’inizio credevo che si andasse nella direzione giusta, ma le cose sono state fatte nel modo sbagliato. Privatizzazioni senza liberalizzazioni. Cose che non hanno portato nessun beneficio, e adesso se ne vedono le conseguenze. Proprio ora che servirebbe una politica pubblica energetica, ci si trova di fronte una situazione terribile. E pensi che Scaroni e Conti sono due top manager straordinari, e che si trovano di fronte a governi nemici, o al massimo indifferenti. Adesso il prezzo dell’energia sale perché ci siamo tolti dal nucleare, e questo è stato un errore, e perché ci sono state le liberalizzazioni, fatte senza criterio. E la politica si disinteressa.
Ma perché?
Perché è in crisi, perché non ci sono più i grandi partiti. La politica non sa costruire un consenso nazionale: e come può gestire una politica energetica nazionale? Preferisce seguire interessi economici diversi, ed è priva di una comunità di destino. Perlomeno è stato così per gli ultimi anni, con la personalizzazione dei partiti. Ma forse, adesso, con le primarie del Pd si ha una inversione di tendenza.
La politica non li considera, ma Enel, e anche Eni, hanno influenza sulla politica internazionale.
Ma no. Eni, una volta. Enel no: è un gigante che si è trasformato in una multinazionale e sta facendo cose molto buone, soprattutte in Sudamerica. Anche sul piano della diversificazione energetica fa bene. Ma anche qui, ci vorrebbe una visione politica diversa. Ci vorrebbe uno stato che si faccia carico degli investimenti in questo senso. Senz’altro meglio di questa pioggia di certificati verdi, che non servono a niente. In questi casi, è meglio un controllo totale dello Stato.