Me la ricordo piccola e angusta la stanzetta dove lavorava Martino Armaboldi dalla mattina alla sera, ago filo e suole a ruota continua; il mio ciabattino di via Vermiglioli aveva solo il posto per la sedia, così le scarpe che via via riparava salivavano una sopra l’altra fino a toccare il tetto dello stanzino per poi riprendere direzione arcuate che si equilibravano in baricentri improbabili che anche per gli Etruschi che qui erano di casa sarebbe stato difficile pensare.
Quel giorno a Perugia faceva freddo come a solo a Perugia sa fare in certi periodi; era la vigilia di Natale e fino all’ultimo Martino si era promesso di lavorare, lavorare e basta, infischiandosene della festività imminente, della gioia dei bambini che avvertiva dall’interno della porta a vetri, delle luminarie che invitavano al calore della comunità. Lavorare per Martino voleva dire difendersi dai pensieri, porre un muro di resistenza alla malinconia, cercare di fingere che quel giorno non lo riguardasse poi alla fine neanche un po’. L’iracondia che lo aveva colpito dopo la morte in sequenza di sua madre edi sua moglie, non aveva salvato nemmeno Dio, che non poteva, diceva burbero Martino, non essere responsabile di quelle perdite che lo avevano lasciato privo delle cose più care.
Quella sera però, oltre al solito stuolo di clienti abituali e benestanti, che reclamavano all’ultimo momento rammendi alle scarpe che normalmente avrebbero richiesto un giorno di lavoro, verso le 17 passò un vecchio dalla barba lunga che non era di Perugia; dall’accento pareva fosse straniero ma non era facile stabilirlo, secondo il garzone del forno accanto dove era stato a prendere un tozzo di pane, era un barbone, di quelli che vivono alla stazione e parlano tutte le lingue del mondo, o forse una sola.
Il vecchio chiese a Martino solo un paio di lacci per i suoi scarponi malconci poi, scrutando lo sguardo malinconico di Martino disse: «Non ho soldi da darti, ma una piccola bibbia quella sì, te la dono con piacere». Tanto bene si erano fatte le sei della sera, i commercianti cominciavano ad abbassare le serrande per andare a preparare il cenone, così Martino poté lasciare un attimo le scarpe al loro posto e mettersi a mettersi le pagine dove il vecchio aveva apposto il suo segnalibro.
All’improvviso Martino si trovò nel bel mezzo del Vangelo di Luca, nel passo in cui un ricco fariseo invitò il Gesù in casa sua. Quella donna, che pure era una peccatrice, andò ad ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati. Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi».
Martino guardando le sue scarpe da sistemare tutte prima del capodanno del 2013 pensò: «Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi?» Prima di chiudere il negozio prese con sé la bibbia e nell’istante una voce da fuori ne richiamò l’attenzione: «Martino, dai domani passo a salutarti!». Martino si voltò a cercare il volto di chi avesse profferito quelle parole ma nessuno, sembrava proprio non ci fosse nessuno, o che comunque ci fosse tanta gente che scendeva da via dei Priori, ma nessuno che fosse lì per lui.
L’indomani, mentre guardava fuori della porta della bottega, avendo deciso di lavorare anche il giorno di Natale, non avendo più nessuno con cui trascorrerlo, una donna con scarpe rotte da serva passò di lì e si fermò accanto a lui. Martino si accorse che vestita abiti lisi e che portava un bambino fra le braccia. Martino la fece entrare in casa, le offrì un po’ di pane e con la minestra. «Da dove vieni, buon Natale! Mangia, mia cara, disse. Ma chi sei?» le chiese Martino. «Ho perso il lavoro, vengo da Terni dove hanno chiuso le acciaierie, non si trova occupazione, in Umbria questa crisi ci sta rovinando – disse la donna – ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo anello».
Martino andò in camera a prendere una coperta per il bimbo.«Dai – fece. Vedrai che così starai un po’ meglio!». La donna ringraziò poi disse: «Ora devo andare, mi aspettano in Duomo dove il vescovo Bassetti ha organizzato una cena di Natale per noi poveri. Grazie Martino, che Dio ti benedica».
Martino riprese a lavorare quando d’improvviso vide un giovane tossicodipendente che frequentava il vicolo e che conosceva da anni; di solito era sempre insolente, perennemente arrabbiato anche con Dio che bestemmiava senza fare complimenti. Quel giorno però apparve sorprendentemente cortese seppure mandasse cattivi odori e non si proponesse facilmente al’incontro amichevole; Martino lo fece entrare nel piccolo sgabuzzino come non fece mai da quando lo conosceva e gli offrì un po’ di quel caffè che teneva sempre vicino per fare pausa durante la giornata di lavoro. Il ragazzo ringraziò con le lacrime agli occhi ma subito se ne andò «ho uno zio che mi aspetta per il pranzo di Natale, non sono poi così solo come pensavo di essere. Grazie Martino, che Dio ti benedica!».
Martino tornò nel suo stanzino ma dopo poco vide avvicinarsi un anziano di colore con la barba lunga che camminava a tentoni con due bastoni malconci che a stento lo tenevano ritto sulle gambe. A Martino venne spontaneo aprire la porta, benché in passato ce l’avesse avuta e non poco con “quei marocchini che hanno invaso Perugia, io li rimanderei tutta a casa” aveva pensato spesso. Ma quell’uomo avevo uno sguardo magnetico che fulminò l’attenzione di Martino. «Vieni qua, dove va con questo freddo a Perugia il giorno di Natale?». L’uomo timoroso accettò l’invito con fare guardingo, probabilmente abituato ad essere trattato male dalle persone che incontrava.«Grazie – disse – posso solo accettare un pezzo di panettone del Forno di Corso Vannucci, vedo che ne hai un pezzo, a quello non posso dire no. Però devo andare via subito, mi aspettano ad Assisi, ho ancora tanta strada da fare. Che Dio ti benedica!».
Allora Martino tornò a lavorare nella sua bottega, però prima di riprendere l’ago e il filo in mano fu tentato di prendere la Bibbia e in mezzo, senza che nessuno l’avesse presa in mano prima di lui, si accorse che qualcuno aveva inserito dentro un biglietto. «Buon Natale Martino – c’era scritto – sono passato da te tre volte oggi e tu mi hai aperto la porta. Ricordi Martino quel passo che avevi letto? Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me».
Quel Natale del 2012 cambiò la vita del vecchio ciabattino di Via Vermiglioli; Martino non era più solo, dentro e fuori di sé c’era un’umanità pronto ad accoglierlo, il semplice ciabattino con la terza media capì non c’era salvezza possibile senza fraternità e accoglienza. Chi apre le sue porte l’umile e il povero accoglie Gesù in persona, Martino, non aveva avuto paura, aveva saputo riconoscerlo e spalancargli la porta, così da quel giorno di Natale l’infelicità rimase sempre fuori della porticina della sua bottega.
tratto dal blog di Riccardo Migliorati