Veleni d’Italia, 19 impianti senza Autorizzazione integrata ambientale

Veleni d’Italia, 19 impianti senza Autorizzazione integrata ambientale

Sono 19. Continuano a produrre, e a inquinare, anche se ancora non hanno ricevuto l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) richiesta dalla Comunità europea. Sono gli stabilimenti censiti nell’ultimo dossier Legambiente, “Mal’aria industriale”, un elenco delle raffinerie, acciaierie e impianti chimici italiani che, al momento, non rispetterebbero «gli standard di esercizio ed emissioni previsti dall’Europa». Nella lista ci sono anche i colossi dell’inquinamento atmosferico industriale italiano, indicati dal ministero dell’Ambiente come siti di interesse nazionale (Sin): la raffineria di Gela, l’impianto petrolchimico Eni di Priolo e pure lo stabilimento siderurgico della Lucchini di Piombino, che in questi giorni spegnerà il proprio altoforno per un mese. Ciminiere, capannoni, macchine che continuano a emettere fumi inquinanti senza avere però l’autorizzazione obbligatoria per le aziende che rientrano nella direttiva Ippc, Integrated Pollution Prevention and Control, cioè quelle più inquinanti.

I provvedimenti di rilascio dell’Aia da parte del ministero dell’Ambiente sono 153. Tra questi ci sono 98 centrali termoelettriche, 31 impianti chimici, 20 raffinerie petrolifere, un terminal di rigassificazione, una piattaforma per l’estrazione di idrocarburi, l’acciaieria Ilva di Taranto e la Eurallumina spa di Portoscuso. Fin qui tutto bene. Altri 19 impianti, però, non hanno ottenuto il lasciapassare: dieci stabilimenti chimici, una raffineria, sei centrali termiche e due acciaierie. Nell’elenco compaiono anche sei dei cosiddetti Sin, i siti di interesse nazionale inseriti nel programma di bonifica del ministero dell’Ambiente: la raffineria e l’impiantopetrolchimico di Gela, lo stabilimento siderurgico di Piombino, l’impianto chimico della Tessenderlo a Pieve Vergonte (Verbania), l’impianto petrolchimico Eni di Priolo (Sassari) e l’impianto di produzione di acido solforico di Portoscuso di Portovesme in Sardegna. Alcuni di questi presenti anche nella lista nera delle 622 impianti più inquinanti d’Europa stilata dall’Agenzia europea per l’ambiente (Eea). 

Ma che cos’è l’Aia? Nel 2005 l’Italia ha recepito la direttiva europea 96/61/CE. Ed ntro il 2007 avrebbe dovuto rilasciare le autorizzazioni integrate ambientali per gli impianti considerati inquinanti. In caso contrario, un’azienda non conforme non potrebbe esser più operativa. Così non è stato. Tanto che la Commissione europea nel 2008 ha avviato una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, conclusasi poi con una condanna della Corte di giustizia nel marzo del 2011.

L’Aia, approvata per l’Ilva di Taranto a metà ottobre, è un’autorizzazione all’esercizio “integrata”, nel senso che tra le valutazioni tecniche effettuate sono considerati anche l’impatto sull’ambiente e le caratteristiche dell’impianto. Per ridurre al massimo le emissioni inquinanti, nell’Aia vengono quindi individuate le migliori tecniche disponibili che garantiscono prestazioni ambientali ottimali con l’indicazione dei tempi per la loro realizzazione. Non per tutte le fabbriche, però, è obbligatorio avere questa documentazione, ma solo per quelle che rientrano nella direttiva Ippc, Integrated Pollution Prevention and Control. Sono gli stabilimenti che si occupano di combustione, le cokerie, le raffinerie, gli impianti di lavorazione dei metalli, gli impianti chimici, quelli per la gestione dei rifiuti e le strutture con impatto significativo come cartiere, concerie, macelli e allevamenti intensivi. Tutti impianti molto inquinanti.

Nel suo dossier, Legambiente ha stilato anche la top ten dell’inquinamento industriale italiano analizzando i principali inquinanti atmosferici emessi dalle ciminiere delle fabbriche: polveri sottili, ossidi di azoto, ossidi di zolfo , monossido di carbonio, composti organici non metanici e benzene. «Sostanze pericolose», si legge nel report, «non solo per l’ambiente ma anche per l’uomo che vive e lavora a contatto con essi».

Per i livelli di emissione di pm10, le polveri sottili in grado di provocare problemi cardiaci e respiratori fino alle ischemie, ai primi tre posti si trovano l’Ilva di Taranto (con il 37% delle emissioni totali), la centrale termoelettrica Federico II di Brindisi e l’Alcoa di Portovesme. Anche per l’ossido di azoto in cima ci sono Ilva e Federico II, con circa 8mila e 7mila tonnellate, pari al 4,6% e 4% del totale delle emissioni. La raffineria di Gela, quella che non ha ancora ottenuto l’Aia, è invece in testa per le emissioni di ossidi di zolfo e di mercurio. Tre raffinerie, Milazzo, Sannazzaro de’ Burgondi e Gela, sono nelle prime posizioni per i composti organici volatili non metanici. L’Ilva di Taranto è ancora in cima nelle emissioni di monossido di carbonio, idrocarburi, piombo, cadmio e arsenico. Per i livelli di diossina in testa si trova invece l’Erg Power Impianti Nord di Sassari, mentre l’acciaieria pugliese del Gruppo Riva è al terzo posto. 

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