Vi spiego perché Sneijder è vittima di mobbing da parte dell’Inter

Vi spiego perché Sneijder è vittima di mobbing da parte dell’Inter

Può un contratto di lavoro – perché di questo si tratta – essere (ri)negoziato attraverso l’utilizzo di comportamenti finalizzati a forzare la volontà di una parte a favore dell’altra?

Certamente no. E la risposta non cambia al mutare dell’interlocutore contrattuale; non cambia se fosse Marchionne, non cambia se fossero i politici, non cambia se fosse un impiegato!

Non può cambiare perché diversamente saremmo in uno “Stato” di “non diritto”.

Siamo in presenza di “mobbing”? Qui darò due risposte: una tecnica, l’altra mediatica. Per la prima non saprei in quanto occorrerebbero molti più dettagli, per la seconda sicuramente si.
Cosa voglio dire: che secondo il senso mediatico attribuito al termine “mobbing” il caso Sneijder rientra senza dubbio in esso.

Stiamo ovviamente parlando delle nota vicenda di cronaca relativa alla (ri)negoziazione del contratto tra la società di calcio Inter ed il proprio calciatore Wesley Sneijder, da molti definito come il “caso calcistico” dell’anno, che tuttavia di calcistico ha ben poco. La vicenda, infatti, pare caratterizzarsi per la strategia messa in atto dalla dirigenza della società calcistica al fine di “forzare” il proprio giocatore ad accettare un modifica del proprio contratto di lavoro, con scadenza nel prossimo 2015. Dobbiamo pensare ad una forzatura poiché le coincidenze della “scelta tecnica” paventata dall’allenatore stranamente coincidono con la volontà di “rinegoziare il contratto”. 

Infatti, a quanto risulta, Sneijder è attualmente in forze all’Inter con un contratto di lavoro calcistico avente scadenza nel prossimo 2015, sebbene non stia prestando attività dallo scorso 26 settembre; pur avendo recuperato le condizioni fisiche a seguito di un lieve infortunio professionale nel frattempo occorso, e partecipando regolarmente agli allenamenti, da quel dì è puntualmente e metodicamente escluso dalla rosa dei convocati, sia nelle gare di campionato che di coppa, poiché coinvolto nelle vicende relative al rinnovo (a condizioni ovviamente differenti e meno vantaggiose) del proprio contratto di lavoro secondo la volontà della Società, la quale dal canto suo necessita di una riduzione dei costi di ingaggio originariamente pattuiti.

In questo contesto è facile lasciarsi andare a proclami populistici e volti ad ottenere un consenso “ignorante”, ma la verità è un’altra: non vi è civiltà giuridica che possa imporre a qualcuno l’accettazione “forzata” di condizioni – leggi cambiamento di esse – contrattuali che, peraltro, sono state liberamente sottoscritte col plauso di tutto il mondo calcistico e non…

Qualsivoglia modalità di coercizione deve essere tacciata di illegittimità a prescindere dai soggetti coinvolti e dall’invidia che i guadagni di questi ultimi possono facilmente generare. È ora di finirla con queste stupide considerazioni: l’ingaggio che oggi viene definito “faraonico” lo era anche nel 2010 e nessuno aveva forzato il Presidente Moratti a firmare tale contratto.

Se questi lavoratori guadagnano tanto (non tutti!) è perché con loro c’è chi guadagna anche di più e di questo non è possibile far loro una colpa. Quindi poco importa che si tratti di “mobbing” oppure no, l’importante è sapere, per tutti, che non si possono cambiare i contratti e le regole senza il consenso, ed il consenso va “guadagnato”, non coartato.

*avvocato giuslavorista, Founding Partner di LABLAW Studio Legale.
 

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