Ieri sera ho incontrato Nicola Piepoli. Mi capita con una certa frequenza, vivendo nel condominio dove ha lo studio. L’incontro con il “prof”, come affettuosamente lo chiamo io, è sempre una gran festa. Lo sguardo perennemente curioso, Piepoli sembra abitare contemporaneamente due pianeti: il tuo, popolato da persone più o meno normali che lui frequenta amabilmente e il suo, irraggiungibile e fantastico, dove smonta, ricostruisce, seziona i dettagli umani che la vita gli offre e ne fa – sapientemente – numeri. La vita gli ha messo davanti dolori insopportabili, lui ha sempre cercato al fondo dell’anima un motivo per sorriderle. È per questo che ogni volta che lo incontro cerco di rubagli qualcosa che ha dentro. E lui, sornione, si lascia “scippare” volentieri.
Ogni volta è una festa anche perché, più prosaicamente, gli chiedo la «robba». Insomma, i numeri. I suoi sondaggi, i più freschi, quelli appena sfornati dai suoi collaboratori, quelli commissionati, e anche quelli privati, privatissimi, che non hanno ancora visto la luce, ma che riposano al fondo del suo cuore.
Ieri ovviamente non ce l’ho fatta, gli ho chiesto di Monti. È l’uomo nuovo di queste elezioni, tutti gli occhi (e le polemiche) puntati addosso, quello su cui si fantastica, ci si divide, quello a cui attribuire la speranza del mondo nuovo o la più malinconica delle conservazioni. Del resto, anche per un sondaggista, per un professionista dei numeri, Mario Monti dev’essere un bell’animale da studiare, da sezionare, da proiettare. Quanto appeal ha veramente il nostro Professore, l’Uomo della Provvidenza di questi ultimi quattordici mesi, il presidente del Consiglio che ci aveva garantito un sereno ritorno alla professione e che invece si getta in battaglia con il piglio del politico navigato?
«Amico mio», mi accoglie Piepoli mentre gli vado incontro sotto casa con la festa nel cuore. «Grande prof – gli rispondo allegro – come stai?». Non ci giro intorno e del resto lui probabilmente si aspetta che io chieda. E io allora chiedo: «Prof. , e Monti?»
Lui sorride, quel sorriso perfido che sta quasi per sconfinare in un piccolo ghigno, classico del cattivista di professione, di chi ne ha visti tanti di uomini della provvidenza ai quali la crudeltà dei numeri non ha poi regalato il successo sperato.
«Non spacca», ti risponde subito con lo slang di un diciottenne. Colpo sotto la cintura, come non spacca? Cerco di riorganizzare una controffensiva credibile e parto con le mie campane: «Beh, Nicola, ti credo che non va, si è messo con quegli accrocchi imbarazzanti, tra democristiani e vecchi fascisti, tra Casini, Cesa e Bocchino, è chiaro che la gente non gli va dietro, almeno quella che aveva l’idea di modernità, di distacco da una certa politica».
Credevo di avere detto una cosa minimamente sensata e minimamente è forse l’avverbio più azzeccato. Piepoli mi guarda compassionevole, nel suo sguardo leggo che c’è qualcosa d’altro, qualcosa di più delle semplici seppur imbarazzanti alleanze elettorali. «Non spacca, lo vedi, lo senti. Non è questione di Fini o di Casini, che pur qualcosa incidono. È che lui è proprio respingente con quella sua aria sempre un po’ cupa, non ti trasmette entusiasmo, anche se stiamo parlando di una persona estremamente seria e preparata. La gente ha necessità di un pochino di ottimismo ragionato per il futuro. In un concetto: Monti è depressivo!»
Ecco il punto che in fondo mi consola e che dovrebbe consolare noi di LK che per questa storia della visione depressiva di Monti ci siamo presi, a suo tempo, una vagonata di insulti. Ma depressivo in che senso, prof, cerco di indagare, tipo quella cosa lì dei “Cieli bui” che Monti aveva immaginato, per cui spegnere le luci nelle città dopo le dieci di sera? «Ecco bravo – risponde Piepoli illuminandosi – esattamente quella cosa lì oscena dei lampioni. Meno male che poi è saltato tutto…»
Il prof sta per salire le scale, verso il suo ufficio. Ho ancora pochi secondi a disposizione, poi sparirà. C’è da tradurre le sensazioni, gli stati depressivi, le alleanze pericolose in numeri, in semplici, banali, decisivi numeri.
Ok, ma quanto vale in termini elettorali? «Il 12, non schioda da lì. Non comunica, non c’è verso», è l’amara sentenza di Piepoli. Mentre lo vedo sparire per la tromba delle scale, gli lancio l’ultimo appello: ma come finisce, prof? «Finisce che vince il Pdddddd….e vince beneeeee….», sono le sue ultime parole che mi arrivano con un’eco lontana.
Oggi con più calma si può trarre qualche morale. La prima, che le elezioni non sono solo un fatto di programmi e di alleanze. Scontato, direte voi, ma se parliamo di una persona molto seria come Mario Monti capirete che la questione assume una valenza un po’ diversa. Conta, eccome se conta, la comunicazione, l’immagine che si trasmette all’esterno e molta acqua è passata sotto i ponti di questi ultimi vent’anni in cui ci siamo contaminati con un berlusconismo ormai irripetibile. Se le illusioni non valgono più, non tirano più, non cade il principio secondo cui i cittadini desiderano ancora il calore di un coinvolgimento sincero e appassionato. Che risponda certo a una ragionevole consapevolezza economica, ma che possa farti alzare lo sguardo dalle angosce dell’oggi e farti immaginare il giorno nuovo.
In questi mesi, qualche sospetto che Mario Monti non «spaccasse», che non aprisse il cuore a un senso anche lieve di ottimismo, lo abbiamo avuto e ve ne abbiamo doverosamente dato conto. Le Olimpiadi perse del 2020 (per i meccanismi olimpici non le avremo per quarant’anni) e l’operazione «Cieli Bui» ne sono stati due dolorosissimi esempi.