Vivremo pure nella grande era della globalizzazione, in cui un battito d’ali di farfalla a Shenzen fa sentire immediatamente i suoi effetti pure a Isernia, eppure le analisi delle votazioni continuano a considerare ciò che è avvenuto in Italia in una prospettiva estremamente provinciale. Sarebbe stato semplice, guardando ai risultati delle elezioni in giro per il mondo negli ultimi quattro anni, prevedere a grandi linee cosa stava per accadere anche nel nostro Paese.
Quasi nessuno lo ha detto, ma durante il weekend gli italiani hanno concluso il lungo ciclo di elezioni dopo che il fallimento di Lehman Brothers diede avvio, ormai quasi quattro anni e mezzo fa, alla più lunga e profonda crisi economica del mondo moderno. Da allora nei Paesi del G20 (dove si vota, privilegio o diritto che non riguarda cinesi e sauditi) circa un miliardo e 100 milioni di cittadini si sono recati alle urne. I sistemi nazionali sono diversi tra loro – regimi presidenziali o parlamentari, a uno o due turni, in Stati federali o unitari – ma grosso modo è possibile delineare delle macrotendenze e gli italiani hanno votato più o meno esattamente come nel resto del mondo.
Prima constatazione evidente: il centrosinistra resta minoritario su scala globale. Certo non è immediato classificare tutti i grandi partiti o coalizioni in maniera precisa, ma in tutti i Paesi è relativamente semplice stabilire chi sta leggermente a sinistra e chi leggermente a destra del centro. È un po’ più difficile laddove ci sono tre partiti che superano la soglia del 20%: Canada, India, Messico e, da due giorni, Italia. Considerando di centrosinistra il Congress Party indiano e di centrodestra il messicano Pri, su scala globale si arriva a 488 milioni di suffragi per il centrodestra e a 446 per il centro-sinistra. I terzi poli arrivano a 151 milioni, di cui 88 fanno però capo a un partito sicuramente di sinistra, il Communist Party of India (Marxist) di Prakash Karat.
Seconda constatazione altrettanto lampante, che ogni tanto il centrosinistra vince. Nelle 17 elezioni dal 2009 a oggi, lo ha fatto in India, Sudafrica, Brasile, Australia, Francia e Stati Uniti. Tre Paesi emergenti, in cui la vittoria è stata netta e ha premiato il centrosinistra di governo, e tre Paesi industrializzati in cui solo una volta il centro-sinistra ha vinto dall’opposizione (con Hollande in Francia), mentre con Gillard e Obama il centro-sinistra si è confermato al potere. C’è un elemento in comune tra queste sei vittorie? In quattro dei cinque casi in cui il centro-sinistra era già al potere, al momento del voto il reddito medio del Paese era superiore che prima della crisi e gli elettori hanno ascritto questo risultato positivo a merito del governo. In Francia è successo esattamente l’opposto: era inferiore e il centrodestra ha perso. Il caso americano conferma è in qualche modo questa regolarità: reddito medio invariato e vittoria dei democratici – che però avevano perso nel 2010 quando la situazione economica era diversa.
Se si guarda alle vittorie del centrodestra, la storia grosso modo si ripete. Gli elettori lo hanno premiato quando era al potere e il reddito è cresciuto – in Argentina (in cui è notoriamente difficile classificare il peronismo, ma nel 2011 Kirchner ha battuto un candidato socialista), Turchia, Russia e Corea – oppure laddove c’era la recessione e al governo stava il centrosinistra (nel Regno Unito e in Giappone).
C’è insomma una semplice regolarità che si ripete – “piove, governo ladro” – con due interessanti eccezioni. In Germania nel 2009 vinse il centrodestra anche se il reddito stava calando vistosamente. Si era all’inizio della crisi e forse si concesse a Merkel il beneficio del dubbio; oppure gli elettori erano sinceramente convinti che il Paese fosse sul cammino giusto – ed effettivamente il reddito è attualmente superiore del 4,5%. Storia simile in Canada – reddito rispetto al 2007 inferiore del 2,5% al momento delle elezioni, superiore del 0,8% attualmente – con l’aggravante, per il centro-sinistra, che Harper vinse col 39,6%, mentre i due gruppi d’opposizione raccolsero 49,5% dei suffragi.
Come si configura allora il caso italiano? Non ha tutti i torti Bersani quando sostiene che è da ingenui sorprendersi ogni volta che in Italia il centrodestra è forte e radicato e che il centrosinistra può tutt’al più finire in testa, ma difficilmente stravincere. Accade anche negli altri Paesi industrializzati: in Australia il margine a favore del Labour è stato di soli 30.527 voti. L’aggravante per l’alleanza condotta dal Pd è che non ha beneficiato del premio di opposizione che in Italia – in cui il calo del reddito pro capite, dopo quattro anni di governo Berlusconi e uno per rimettere in sesto le finanze pubbliche, è di gran lunga il più severo tra i G20 (-8,6%) – è particolarmente ampio. Al contrario, Bersani è stato percepito da una grande parte dell’elettorato come correo dei delitti di austerità e germanismo e probabilmente molti l’hanno punito proprio per la recessione. Magari uno studio più attento delle dinamiche elettorali negli altri Paesi, oltre che maggiore attenzione al non tanto sorprendente crescere dei consensi intorno a M5S, avrebbe potuto suggerire a Bersani altre scelte e altri toni.