Martedì mattina il rumore di alcune fucilate ha rotto il silenzio di Loculi, piccolo paese sardo della Baronia. Regione incastonata tra il Tirreno e la Barbagia di Nuoro. Due colpi precisissimi hanno centrato alla testa Giuseppe Ruiu, allevatore del luogo, e Pietro Scanu, il suo servo pastore. Gli inquirenti e i residenti sanno di non essere di fronte a un fatto casuale. L’alba di sangue potrebbe essere collegata alla lunga faida che insanguina la zona, una lunga scia di vendette trasversali che negli ultimi venticinque anni ha fatto contare venti croci. In base ai risultati dell’autopsia, Scanu e Ruiu sono stati colpiti con due fucili diversi, entrambi caricati con pallettoni calibro 12.
Tra Galtellì, Onifai, Loculi e Irgoli le armi non hanno mai smesso di suonare. L’apice dell’efferatezza è stato toccato la sera del 3 settembre 2008 a Irgoli, quando due fidanzatini furono freddati mentre si recavano all’interno dell’abitazione che li avrebbe accolti dopo le nozze. Passa un mese e il duplice omicidio è seguito dall’esecuzione di un pregiudicato trentunenne dello stesso paese, delitto compiuto di fronte alla fidanzata della vittima. Dopo due anni, il 10 luglio 2010, viene ammazzato a Galtellì il custode del campo sportivo. Il 5 giugno 2012, al confine tra Irgoli e Onifai, un pastore viene raggiunto da quattro fucilate mentre si apprestava ad aprire il cancello della propria azienda.
La scia di sangue è poi costellata da altri episodi, apparentemente non collegati tra loro. Nel 2006 destò molto scalpore l’uccisione di un partecipante a un banchetto nuziale, due fucilate al volto fanno esalare l’ultimo respiro a un operaio di sessantatré anni. Dita che affondano sul grilletto mentre a pochi metri si celebrava il giorno di festa. Accorgimento scelto per rendere indelebile la memoria del delitto. In Barbagia, come in Baronia, una scelta di questo tipo non può essere derubricata a coincidenza.
Anche nell’ultimo caso, si è scelto di bagnare col sangue il carnevale. Evento che in queste zone dell’Isola è intriso di elementi neopagani che affondano nella notte dei tempi. Celebrazioni a cui non si potranno dedicare gli abitanti di Onifai: il sindaco, Daniela Saggia ha infatti imposto la sospensione di tutte le feste in programma per i prossimi giorni. Gli inquirenti non hanno al momento elementi sufficienti per indirizzare le proprie indagini. Il suono delle fucilate viene sempre avvolto da un silenzio assordante. Chi sa qualcosa non ha nessuna voglia di parlare.
Anche Ruiu e Scanu potrebbero essere stati messi a tacere perché testimoni di qualcosa di molto scomodo. L’azione è stata preparata nel dettaglio, il killer non ha lasciato tracce. Nessun bossolo sul terreno, nessuna traccia in grado di rivelare un indizio. Tutto farebbe pensare alla presenza di un professionista ma i carabinieri sanno benissimo di non potersi nemmeno permettere di ipotizzare qualcosa di simile. Essere costretti ad operare “a tutto campo” costituisce un vantaggio incredibile per qualsiasi omicida. Non a caso, le storie delle faide – quella della Baronia non è l’unica – sono caratterizzate dalla presenza di atti giudiziari confusi e contraddittori. I maggiori indiziati vengono spesso riconosciuti innocenti con l’incedere delle attività della polizia giudiziaria.
La violenza delle campagne si intreccia poi con le regole non scritte del “Codice barbaricino”. La filosofia del diritto parla di “pluralismo di ordinamenti giuridici”; accanto alle leggi dello Stato vi sono quelle della comunità. Conosciute, accettate e rispettate dai suoi componenti. Il giurista barbaricino Antonio Pigliaru, uno dei maggiori studiosi del fenomeno, positivizzò questo complesso insieme di norme. La “norma fondamentale” è chiara è precisa: “L’offesa deve essere vendicata”. La legge della vendetta obbliga tutti coloro che vivono e operano all’interno della comunità. Non sarebbe considerato uomo d’onore chi accettasse di sottrarsi agli obblighi derivanti dalla stressa osservanza del Codice.
Questo articolato, tramandato di generazione in generazione, presenta anche degli elementi di “garantismo”. Sfogliando l’opera di Pigliaru si apprende che: “Nessuno che vive nell’ambito della comunità può essere colpito dalla vendetta per un fatto non previsto come offensivo. Nessuno può essere altresì ritenuto responsabile di un’offesa se al momento in cui ha agito non era capace di intendere e di volere”. Una liturgia della vendetta in grado di apparire più forte e strutturata di una qualsiasi consuetudine.
Chi non è mai stato in stretto contatto con la Sardegna mostra una certa difficoltà nel comprendere il fenomeno. Sbaglierebbe però chi lo collegasse alle violenze tipiche della criminalità organizzata presente sul Continente. Ovviamente, anche sull’Isola certe attività illecite stanno conoscendo una rapida espansione. Le indagini degli ultimi decenni hanno evidenziato un deciso incremento nella coltivazione di droghe leggere in Barbagia e Ogliastra. Raccolti con cui si riforniscono i bisogni dei principali centri urbani.
I sardi non sembrano eccessivamente turbati dalle fucilate esplose da uno dei tanti muretti a secco disseminati per le campagne. Si ha la consapevolezza – accompagnata da una buona dose di rassegnazione – che anche l’ultimo duplice omicidio sarà seguito da un delitto in grado di eguagliarne l’efferatezza. Forse non nel breve periodo, la storia delle faide racconta anche di “armistizi” lunghi anni e rotti senza un motivo apparente.