A Milano fece gran rumore l’incredibile omicidio di Alenya Bortolotto, che nel 2002 aveva solo 26 anni, da parte di Ruggero Jucker, il suo fidanzato dell’epoca. Ancor più delle terribili modalità, venne «finita» con 22 coltellate nel bagno dell’appartamento di lui, Milano fu scossa quella mattina da una tragedia «borghese». La famiglia di Jucker era molto conosciuta in città, Ruggero si occupava di catering, mentre Alenya, la sua dolcissima ragazza, molto solare, lavorava da WP, un bel negozio di abbigliamento casual che ha sempre puntato sul valore intellettuale del suo giovane personale.
Nel 2003 Jucker venne condannato a trent’anni. A rigor di pena matematica, avrebbe riacquistato la libertà nel 2032. Nessuno sconta trent’anni filati in carcere, neppure per il più efferato dei delitti. Ma Jucker, il 21 gennaio scorso, è tornato definitivamente un uomo libero, dopo «appena» dieci anni e mezzo.
Scrive Giuseppe Guastella sul Corriere: «Condannato nel 2003 in primo grado a 30 anni con il rito abbreviato, grazie al patteggiamento, ancora possibile in appello, e a un diverso bilanciamento tra attenuanti e aggravanti, nel 2005 si vide ridurre la pena a 16 anni di carcere e tre di casa di cura. L’indulto del 2006 e la “liberazione anticipata” (tre mesi ogni anno scontato) garantita a tutti i reclusi, che non violano la buona condotta, hanno fatto precipitare il conto totale a soli dieci anni e mezzo, con il Tribunale di sorveglianza che ha annullato il trattamento post carcere perché l’ex imprenditore del catering si è sottoposto a cure psichiatriche in cella. Ora Jucker, a 46 anni, ha tutto il tempo di ricostruirsi una vita».
Se la legge è stata sommamente rispettata, e in questo caso anche sommamente sfruttata, ciò dovrebbe consentire all’opinione pubblica di trovare un punto di virtuoso equilibrio tra il dolore infinito dei parenti della vittima e l’idea che la società civile e la sua conseguente organizzazione abbiano il dovere di immaginare la riabilitazione di qualsiasi condannato, anche l’autore di un delitto efferato come questo. Invece qui lo sconcerto è profondo, il fossato tra le due condizioni apparentemente incolmabile, il web è in ebollizione, e anche i commenti dei giornali più equilibrati porterebbero a concludere che la nostra legge, per come è concepita, è sommamente ingiusta. E che l’uscita definitiva di Jucker dal carcere dopo dieci anni e mezzo è un autentico scandalo.
Questo sentimento oggi è interpretato pienamente da Isabella Bossi Fedrigotti sul Corriere della Sera. Già il titolo in prima lascia pochi dubbi: «Questa legge che libera Jucker», sottotitolo «Rete in tumulto per Jucker libero, i percorsi misteriosi della giustizia», il testo poi non dà scampo: «Ma davvero è giusto che un uomo reo di avere intenzionalmente assassinato in modo barbarissimo e crudele la sua giovane fidanzata, finendola con 22 coltellate nel bagno di casa trasformato in una macelleria – senza che sia mai stato possibile individuarne qualche motivo – torni in libertà dopo dieci anni soltanto?»
Per interpretare i sentimenti dell’uomo della strada, niente di meglio che mettere in luce «la generale, a volte rabbiosa incomprensione – scrive Fedrigotti – di una giustizia che segue percorsi misteriosi ai più, che in occasioni come queste appare incredibilmente perdonista e in altre, invece, sorprendentemente punitiva. Inevitabile che faccia dire, non così a torto, all’uomo della strada – la Rete in questo caso -: ma se lasciano uscire uno Jucker dopo dieci anni, come fanno a darne sette a un Corona, che sarà pure un assoluto screanzato ma non un assassino?»
Sarebbe semplice concludere che leggi le fanno gli umani e dunque, se iniquità è presente, tocca agli umani farsene carico. È una legge porcata (termine ormai in uso) quella che riconsegna Jucker alla libertà definitiva dopo appena dieci anni e mezzo? No, cara Fedrigotti, cara Rete che ribolli, non è colpa di leggi inique, mal fatte, mal costruite. Facciamoci una semplice domanda: tutti coloro i quali si macchiassero dello stesso «barbarissimo» omicidio sarebbero liberi dopo appena due lustri di galera? Chiaramente no.
Jucker è libero non già grazie a cattivissime leggi ma semplicemente perché figlio di una famiglia borghese, in grado di attivare quella cintura protettiva, che comprende buonissimi avvocati che seguono costantemente la vicenda processuale e che sono in grado di fare la «differenza». In grado di costituire un anello di congiunzione perenne e autenticamente «vivo» con tutte le variabili di una società, la politica che fa e cambia le leggi, i (buoni) rapporti con i magistrati, la migliore conoscenza delle strutture sanitarie. Questo e solo questo è il problema, una discriminazione sociale che privilegia (legalmente) chi può e lascia per strada chi non può.