Austerità o stimoli? Il dilemma dell’Europa

Il dibattito tra gli economisti

Sulla questione dell’austerità si giocano in Europa tante partite, compresa quella del tentativo di formare un governo in Italia. Ma la partita decisiva (e drammatica) è quella che si gioca sui 19 milioni di disoccupati nell’area dell’euro, una stima che non tiene conto dei lavoratori autonomi che hanno perduto il proprio reddito e di altri ex lavoratori scoraggiati dalla crisi. Tra il 2008 e oggi (e a differenza di quanto accade negli Stati Uniti) questa cifra è lievitata senza sosta. L’Ilo di Ginevra prevede che proseguendo con le politiche di austerità si arriverà presto a 22 milioni.

La responsabilità di politici ed economisti di fronte a questa tragedia è enorme e costringe tutti a ‘pensare europeo’ e a riformare il paradigma della politica economica. Perseverare negli errori riserva foschi scenari: da un’implosione della moneta unica (e un arretramento del processo di integrazione di cinquant’anni) a un lento declino della civilità europea tra divisioni, contrapposizioni, crisi e rabbia sociale.

La politica che ha ispirato gli ultimi tre anni è stata quella del ‘rigore’ e dell’equilibrio dei conti pubblici. In molti dissentivano da questa impostazione (ad esempio, un lungo elenco di economisti firmatari di un appello contro l’austerità nel 2010), ma è solo di fronte alla crescente instabilità sociale e politica che si è rafforzato un fronte delle ‘colombe’ contro i ‘falchi’ del rigore.

Questo confronto esiste anche negli Stati Uniti (tra democratici e repubblicani). In Europa, ha l’amaro sapore delle divisioni tra paesi ed è così che i paesi in maggior difficoltà (la Francia, ma anche Spagna e Italia) hanno chiesto all’ultimo vertice europeo un ‘rigore più morbido’ (in realtà, si tratta di provvedimenti con uno scarso impatto nell’immediato, come l’esclusione dal computo del disavanzo degli investimenti pubblici, il riferimento al disavanzo strutturale, regole più flessibili sul rientro del debito, una maggiore dimensione del bilancio europeo), a cui altri paesi (la Germania, ma anche la Finlandia) hanno contrapposto l’esempio dei propri conti pubblici ‘virtuosi’. 

Questo raffronto tra i conti dei Paesi non aiuta a trovare la soluzione. In un’area monetaria unica conta la somma delle variabili, non la contrapposizione dei dati nazionali. Vediamo perché.

La crisi dell’occupazione, che è anche la crisi delle imprese, soprattutto piccole e medie, è una crisi da fatturato in picchiata. La domanda è caduta grazie all’effetto congiunto di due elementi deflagranti: 1) Il ‘deleveraging’ da crisi finanziaria, che in parole semplici non è altro che un massiccio sforzo a risparmiare di più per pagare i debiti che si fa fatica a pagare a fronte di redditi in calo; e 2) il contestuale aumento delle imposte (e taglio delle spese) che rende vano il deleveraging. In altre parole, come faccio a risparmiare di più per pagare i debiti se contestualmente i miei debiti col fisco crescono invece che diminuire?

Se solo gli europei comprendessero che il debito pubblico non è altro che la corrispondenza contabile dei loro risparmi, allora davvero potremmo cambiare paradigma, e scrivere un’altra pagina. Il grafico qui sotto mostra l’evoluzione del disavanzo pubblico complessivo nell’area dell’euro, dall’introduzione della moneta unica a oggi, e lo confronta con la formazione di risparmio (netto finanziario) di famiglie e imprese. Propone, in altre parole, una lettura del debito pubblico diversa da quella a cui i rigoristi ci hanno abituato. L’impossibile tentativo di famiglie e imprese di uscire dalla crisi a fronte di una crescita delle imposte ha innescato un’impressionante caduta dei consumi, che ha innescato disoccupazione, calo degli introiti fiscali e crescita del disavanzo fino al 2010. In seguito, l’austerità non ha fatto altro che rinforzare il ciclo di caduta della domanda costringendo i disavanzi pubblici verso il basso e contestualmente comprimendo il risparmio del settore privato.

Ma l’Europa, senza la testa di un vero governo dell’unione economica e monetaria, non riesce a uscire dallo stallo. Per scrivere una nuova bella pagina europea occorrerebbe mettere al primo posto l’occupazione, ovvero il benessere reale dei cittadini (e soprattutto dei giovani) europei e convenire che i conti pubblici sono un residuo delle condizioni cicliche. Una ricetta? Concordare un’immediata e massiccia riduzione delle imposte più regressive in tutta l’area euro (ad esempio l’iva) a cui corrisponda un’emissione di eurobonds (emessi dall’Esm e garantiti dalla Bce). La crescita di domanda e occupazione farebbe il resto.

Fonte: Reuters EcoWin 

*Franklin College Switzerland e Università Cattolica

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