Colombo, arzillo vecchietto dalla Costituente a Grillo

A 93 anni suonati, zittisce Calderoli sui regolamenti parlamentari

Ha letto i nomi scritti sulle schede. Per quattro volte. Tutti. Uno a uno. Certo, magari non pronunciando proprio bene i nomi dei papabili (su Twitter nel corso dello spoglio in tanti l’hanno fatto notare, tanto che il suo nome compare per un po’ anche nei trending topic). E sbagliandosi ogni tanto su qualche scheda nulla o bianca. «Schifani», «Schifano», «Glasso» non importa. Classe 1920, Emilio Colombo, sessantasette anni dopo la sua elezione all’Assemblea costituente, lo ritroviamo a presiedere l’elezione del presidente del Senato. Riuscendo anche a rintuzzare il leghista Roberto Calderoli che aveva preso la parola sulla questione della maggioranza necessaria per l’elezione.

Dalla prima all’ultima legislatura. Di lui Francesco Saverio Nitti aveva detto: «È un colombo che volerà». Origini lucane, democristiano. Due volte ministro dell’Agricoltura, poi al Commercio estero, all’industria, agli esteri e al bilancio nei vari governi Segni, Tambroni, Fanfani e Spadolini. Dal 1963 al 1968 è anche ministro del Tesoro. Attraversa la storia politica italiana, dalla prima alla seconda repubblica. Dal 1970 al 1972 è a Palazzo Chigi alla guida del governo. Nel 1977 sbarca in Europa, presiedendo il Parlamento europeo fino al 1979. 

Nei primi anni Novanta partecipa attivamente alla transizione della Democrazia cristiana nel nuovo Partito popolare Iialiano di Mino Martinazzoli. Uscito dal Parlamento dall’agosto del 1992 (le sue dimissioni si resero necessarie perché in quell’occasione la segreteria della Dc stabilì l’incompatibilità tra la carica di ministro e quella di parlamentare), milita nel Ppi fino al 2001. Quando abbandona il partito in polemica con la dirigenza che non gli aveva riservato un collegio al Senato per le elezioni politiche di quell’anno.

Passa alla Democrazia europea di Sergio D’Antoni che lo candida al Senato in un collegio della Basilicata. Ma non viene eletto. Dal 1986 al 2003 è presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, ente fondatore della Università Cattolica del Sacro Cuore. Nel 2003 la nomina a senatore a vita da parte del presidente Carlo Azeglio Ciampi. Dopo le elezioni politiche del 2006, sostiene con il suo voto il secondo governo Prodi. E nella legislatura appena conclusa aderisce al gruppo dell’Udc-Svp-Autonomie al Senato, insieme ai colleghi senatori a vita Francesco Cossiga e Giulio Andreotti.

Nel 2003, è coinvolto nell’inchiesta su droga e vip nella capitale. Davanti ai magistrati dichiara: «La cocaina di Giuseppe Martello era per me. Sono un assuntore da non molto, non più di un anno, un anno e mezzo». Parole che vengono battute dalle agenzie di stampa finendo su tutti i quotidiani. In un articolo su L’Espresso, poi, dedicato alla sua contrarietà ai patti di convivenza tra persone dello stesso sesso, Eugenio Scalfari scrive che «Colombo ha rivelato al pubblico la sua omosessualità ed anche, sia pur per breve periodo, la sua condizione di consumatore di cocaina». Colombo non ha mai confermato la sua omosessualità, così come non ha mai smentito Scalfari.

Oggi, alla veneranda età di 93 anni, è stato protagonista di questa prima parte complicata della legislatura. Dopoildiscorso iniziale, ha presieduto la seduta respingendo le incursioni di Calderoli: «In questa fase dei lavori non avrei dovuto darle la parola», ha detto. E si è commosso citando Aldo Moro, suo compagno di partito in quella assemblea costituente di 67 anni fa. Diciasette legislature fa. Quando Grillo non era ancora neanche un comico.

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