Come vive e cosa sogna lo stagista italiano?

Sono 500mila gli stage attivati ogni anno

Sa che per vivere a Milano servono minimo 1100 euro al mese ma spesso non ne guadagna nemmeno uno. Si ferma in ufficio due o tre ore al giorno in più del dovuto perché così «fa vedere che è motivato», anche se dall’alto non viene data nessuna prospettiva. Capita che lavori fino a 10 ore al giorno in uno dei più importanti studi di architettura di Milano e i colleghi gli dicano: «vai all’estero che qui perdi solo tempo». Può ritrovarsi in un ufficio di 18 persone di cui 5 tirocinanti.

Può avere degli amici operai che hanno la fidanzata, la macchina e stanno comprando casa e la notte si chiede: «Capiterà mai anche a me?». Spesso ha un amico lavoratore che gli offre una brandina nel suo monolocale. E tutti i giorni, prima di andare a dormire, raccoglie gli scontrini della giornata e segna le spese fatte. Poi a fine mese, «decide dove tagliare».

Ma soprattutto, è uno a cui puoi chiedere «cosa farai alla fine di questo stage?» e ritrovarti un misto di ansia e tristezza. Poi, sul fondo, scoprire un briciolo di speranza. Che quella, a uno stagista non manca mai. È la ragione stessa del suo essere tirocinante.

«Certe volte mi metto a pensare a cosa stavo facendo un anno fa. Ero in università, circondato da fighetti. Ad agosto ho fatto la raccolta del vino per un’azienda di Parma. E ora faccio uno stage part-time per 150 euro al mese». Marco, 25 anni, è un bocconiano con una laurea in Discipline economiche e sociali presa a giugno 2012.

Racconta il suo nuovo «scenario ridimensionato», come lo chiama lui. Tra gennaio e febbraio ha inviato 70 curricula e lettere motivazionali, gli hanno risposto in dieci, ha fatto sei colloqui, gli hanno offerto due stage: uno la mattina in una società di consulenza nel sociale e uno il pomeriggio, in una redazione economica per 600 euro al mese. «Ho tenuto il primo perché mi fa fare esperienza, ho mollato il secondo dopo una settimana perché facevo tabelle fino a sera e non imparavo nulla», spiega. Intanto collabora con un quotidiano online e porta a casa altre 250 euro al mese. Si tiene aperte due strade: il sociale e il giornalismo. Siccome si fa ospitare da un amico, per vivere gli bastano 400 euro. A fine mese cerca di tagliare come può le spese. La birra con gli amici si prende dove costa meno e alle sigarette si rinuncia. Il cibo resta la cosa per cui spende di più. Anche se i genitori, certo, continuano a dargli i soldi di cui ha bisogno.

Perché uno stage? «Perché non posso ambire ad altro», dice sincero e realista. «Il mercato è pieno di ragazzi con qualche anno in più di me e già un po’ di esperienza alle spalle. Perché dovrebbero prendere un neolaureato? È per questo che accetto di lavorare a 150 euro al mese», spiega. E poi Marco spera. Non solo che l’ufficio di consulenza lo tenga a fine stage, anche se qualcosa gli dice tutti i giorni che è impossibile. Ma spera di poter vincere uno stage con l’Onu, attraverso un progetto avviato dalla sua università e di cui attende il risultato. Mi darebbero 700 euro al mese per sette mesi e per me vorrebbe dire molta più esperienza da mettere sul cv». 

Claudia, 27 anni, è un po’ più fortunata. Sfodera nervi saldi contro «la paura di stare ferma» e ha un motto: «tappati il naso e prendi in considerazione qualsiasi cosa». Ha studiato Scienze politiche e ambiva a un lavoro nelle relazioni internazionali, oppure nelle risorse umane, «in linea col suo percorso di studio». Ma sta facendo uno stage in un call-center che fa assistenza ai clienti dopo un sinistro. Li assiste ad esempio nella richiesta di rimborso delle spese mediche.

Le danno ogni mese 800 euro più i buoni pasto. E le hanno anche fatto capire che potrebbe fermarsi a fine stage. Convinta di questo, per il momento ha sospeso la ricerca di lavoro. Non è il primo tirocinio che fa. L’ultimo, in banca, lo ha vissuto con la frustrazione di non poter costruire un buon rapporto coi clienti. Le affidavano dei lavori ma sapeva che a un certo punto avrebbe dovuto abbandonarli «perché prospettive non ce n’erano». «Ma come fai a lavorare bene così?», si chiede. Considera un «buon passo avanti» essere passata dal rimborso di 500 euro netti della prima esperienza, agli 800 attuali. E poi chiude: «vivo coi miei genitori, posso permettermi il lusso dello stage».

Ma per quanto ci si metta di impegno a sperare, a rincorrere il futuro lavorando tanto senza stipendio, ci sono troppe cose che presto spengono ogni sogno. E la soluzione è non pensarci troppo. Andrea, 26 anni, architetto stagista in «uno dei più importanti studi milanesi», ha iniziato il suo secondo tirocinio a gennaio e da allora ha avuto solo due fine settimana liberi. La cosa peggiore della sua condizione, spiega, non è lavorare così tanto, «perché in uno studio di architettura è normale». E non è nemmeno il fatto che ha zero rimborsi. Per un anno può permetterselo, è un investimento.

Ma è il «ritrovarsi a fare lavori da ameba» che non va giù. Perché se accetti uno stage gratuito lo fai per avere in cambio la possibilità di imparare, crescere. E quando ti è negata, restano solo «rabbia e frustrazione». «In Italia devi guadagnarti spazio in uno percorso gerarchico dove ci sono gli “eletti” del professore pronti a passarti davanti», spiega. E dove sperare di rimanere a lavorare non è nemmeno poi così vantaggioso. «Ti propongono la partita Iva a 600 euro netti al mese. Ogni tre stipendi, uno lo devi dare allo Stato in tasse».

Andrea ha già fatto i conti per valutare la prospettiva di uno studio tutto suo. «Ma servono almeno 25 mila euro in partenza, per la licenza e per un plotter. E poi mille euro al mese per l’affitto dello studio. Impossibile». Passa in rassegna tutte le possibili via d’uscita, e mano a mano le scarta tutte. Via l’ipotesi partita Iva, via l’ipotesi studio in proprio. Via anche la fuga all’estero. «Avevo contatti a Londra e Amsterdam, ma poco fa mi hanno detto che per lavorare con loro devo cercarmi una borsa di studio. Il mercato è fermo in tutta Europa». Già tentata anche la strada del dottorato di ricerca. «Ho provato lo scorso anno a Roma. Eravamo in venti. Hanno pubblicato il punteggio solo dei primi sette. Poi hanno preso architetti trentenni che facevano già da assistenti al professore. Finiti i soldi, potevano tenerli solo con la borsa dei dottorati».

E allora che si fa? Ci si rende conto che certi mestieri «saranno solo dei ricchi». «Non dei benestanti, dei ricchi», specifica Andrea. Poi quel barlume si riaccende. Mollerai? «No, ripartirò con un nuovo stage. E ritenterò anche il dottorato di ricerca». È stagista, spera.
 

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