Sono passati dieci anni da quando la Sars (Sindrome acuta respiratoria severa), la terribile polmonite atipica che aveva terrorizzato l’Asia e gran parte del mondo, fece la sua comparsa. Il primo a individuare il virus fu il medico e virologo italiano che morì a Bangkok, da solo, contagiato dallo stesso virus che aveva isolato e in qualche modo fermato.
È il 28 Febbraio del 2003, Carlo Urbani ha 47 anni quando per puro caso si trova nella stessa città in cui viene ricoverato Johnny Chen, un cittadino americano venuto dalla Cina. Il primo colpito da Sars. Urbani si trovava ad Hanoi da tre anni, con la moglie e i tre figli, come consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità per il controllo delle malattie parassitarie nel Pacifico occidentale. Se si fosse trovato in missione da un’altra parte, o se Chen fosse stato ricoverato in un altro ospedale forse la storia avrebbe preso un altro decorso, e il Mondo si sarebbe trovato ad affrontare una pandemia delle dimensioni della spagnola. Ma per fortuna è andata come sappiamo. «Fu l’uomo giusto, nel luogo giusto e al momento giusto», racconta Pascale Brudon, l’allora direttrice dell’Oms ad Hanoi «una coincidenza sorprendente, miracolosa per l‘umanità».
Carlo era nato a Castelplanio in provincia di Ancona il 19 ottobre del 1956. La sua propensione per aiutare il prossimo l’aveva portato a studiare Medicina e a prendere poi la specializzazione in malattie infettive. «Ma non era un tipo da scrivania – racconta la moglie, Giuliana Chiorrini, all’Ansa, al ritorno da Bangkok dopo la morte del marito – era sempre sul campo, voleva stare vicino ai malati». Così dopo dieci anni all’ospedale di Macerata quando è a un passo da diventare primario del reparto di malattie infettive, decide di scendere sul campo, in prima linea. Entra in contatto con la realtà dei paesi del Terzo Mondo e nel 1993 diventa consulente dell’Oms, per cui svolge varie missioni umanitarie, in Africa e Asia.
Nel 1996 entra a fare parte dell’organizzazione non governativa Medici Senza Frontiere, e l’anno dopo coordina un progetto per il controllo della Schistosomiasi in Cambogia. È qui che dà un altro grandissimo contributo alla scienza, nel campo delle malattie parassitarie. Quelle che uccidono milioni di bambini africani e asiatici. «Girando nelle case, palafitte di legno o di bambù per i più poveri, incontriamo altri bambini, quelli che non hanno abbastanza forza per andare a schiamazzare al fiume. Sono seduti con lo sguardo più triste degli altri e la pancia ancor più grossa. L’ospedale più vicino è a due ore di piroga e poi bisognerebbe pagare le medicine, ma quassù soldi non ce ne sono», racconta attraverso le parole del medico marchigiano Lucia Bellaspiga autrice del libro Carlo Urbani. Il primo medico contro la Sars.
«Negli ultimi venti anni la ricerca ha sfornato 1.300 nuove molecole, ma solo 11 sono attive contro le malattie tropicali. Solo lo 0,03 percento della ricerca farmaceutica è indirizzata verso le cinque principali cause di morte nel mondo. Malaria e tubercolosi, che da sole uccidono 5 milioni di persone l’anno nei Paesi in via di sviluppo, non attirano alcun finanziamento». Nel 1999 quando all’Ong francese viene assegnato il premio Nobel per la Pace, è lui a ritirarlo a Oslo, come presidente della sezione italiana.
In quei primi mesi del 2003 la Sars aveva fatto la sua prima comparsa in Asia. Contagiato migliaia di persone e ucciso centinaia. Il virus aveva viaggiato sugli aerei con le persone e si era diffuso in 30 Paesi diversi. Da dove era partita, all’ospedale di Hanoi, infermieri e medici continuavano ad ammalarsi e morire. Urbani, chiamato d’urgenza in ospedale era stato il primo a capire che si trattava di un virus nuovo, mai visto prima. «In una corsa contro il tempo isola il virus e organizza le difese. Attraverso l’Oms dà disposizioni a ospedali, aeroporti, governi» scrive Lucia Bellaspiga sull’Avvenire.
Avrebbe potuto prendere il primo aereo per l’Italia e tornare a casa ma preferì restare per svolgere fino in fondo la sua funzione di medico. «Era perfettamente consapevole del pericolo, dei rischi che correva – racconta la moglie – Carlo aveva preso tutte le precauzioni possibili, ma sapeva che rischiava. Una volta affrontammo il problema, ma lui disse: “Non dobbiamo essere egoisti, io devo pensare agli altri”, ed era giusto così».
I primi di marzo mentre era diretto a Bangkok per un convegno si sente male. Riconosce immediatamente i sintomi su di sé e si fa mettere in quarantena. Chiama la moglie e le dice di partire per l’Italia con i figli. Ma lei resta in Thailandia. «Volevo stargli vicino. L’evoluzione della malattia è stata lenta, Carlo aveva dolori fortissimi, era sotto morfina, non era quasi mai cosciente. Io in tutti quei giorni di ospedale l’ho visto solo una volta, attraverso un vetro. Abbiamo parlato per telefono e Carlo mi ha detto che era molto grave, che non dovevo farmi illusioni. Poi ho capito, era il suo ultimo saluto».
Il 29 marzo 2003 Carlo Urbani moriva di Sars a Bangkok. Grazie a lui e agli operatori sanitari che lavorarono con lui, il Vietnam è il primo Paese a debellare la Sars.
Il coraggio di Urbani e la sua eredità torneranno sicuramente utili quando si presenterà un altro scenario simile.«Il modello impostato da lui sarà usato per contenere le future epidemie con successo. In questo decennale merita la gratitudine che il pianeta gli sta conferendo», scrive Kevin Fong su The Observer.