Dopo l’annuncio della sua candidatura a sindaco di New York, Christine Quinn ha riunito giornalisti e sostenitori di fronte alla chiesa dove si sono sposati i genitori, a Manhattan, e ha dato il via a un “walking tour” nei cinque principali quartieri della città. Ha stretto mani, distribuito abbracci, parlato con automobilisti e autisti. Caschetto rosso, cappotto fucsia, in mano un plico di volantini con il suo nome e gli otto (coincidenze) punti del suo programma.
Potrebbe essere lei, 46enne speaker del consiglio cittadino, democratica e omosessuale, il primo sindaco donna della storia della Grande mela. I suoi avversari sono tutti uomini. Due democratici: Bill de Blasio, Public Advocate della città (figura a metà tra il difensore civico e il vicesindaco), e Bill Thompson, ex revisore delle finanze di New York. E due repubblicani: Joseph Lhota, ex presidente della Metropolitan Transportation Authority, e Tom Allon, editore e proprietario della Manhattan Media. Ma Christine sarebbe la favorita per le prossime elezioni di novembre. Secondo i sondaggi, sarebbe intorno al 37%, solo tre punti sotto il 40% necessario per evitare il ballottaggio. Anche grazie all’appoggio, finanziario e politico, dell’attuale primo cittadino Michael Bloomberg, che l’ha scelta come sua erede.
«Mi candido perché amo questa città», ha annunciato in un video postato su Youtube. «La cosa che amo di più sono le persone, la loro vivacità, la loro follia, il loro grande amore per New York». Origini irlandesi, attivista per i diritti gay, la sua biografia prosegue sciorinando i successi passati: «Chris ha creato migliaia di nuovi posti di lavoro, promosso una legge sul salario minimo per incrementare gli stipendi per i progetti cittadini, riequilibrato il bilancio delle casse del comune pur proteggendo i servizi principali, attuato un giro di vite sui “cattivi” proprietari di casa, allargato l’accesso alle cure sanitarie, migliorato l’educazione della prima infanzia, bloccato i licenziamenti degli insegnanti, contribuito a mantenere le strade sicure».
Ancora in giacca fucsia, Christine racconta la storia della sua famiglia. Nata a Glen Cove, a Nord di Long Island, in una tipica famiglia della middle class. La mamma, casalinga poi impegnata nel sociale, si ammala di cancro e muore quando Chris ha 16 anni. Il padre è un elettricista attivo nel sindacato. Giovane combattiva, la si vede manifestare prima per le strade di New York a capo di una campagna per il diritto alla casa, poi ancora contro la violenza domestica e la criminalità. Tutti temi che Chris la rossa porta nelle aule del consiglio comunale di New York. Sua anche la legge sul divieto di fumo nei luoghi pubblici della città e quella sulla riduzione del 30% delle emissioni di gas serra (Climate Protection Act).
«Voglio usare ogni secondo del mio lavoro per permettere alle persone di vivere meglio e più facilmente», spiega nel video, «per fare di New York un posto dove la classe media può vivere e crescere. Non mi piace parlare, accusare gli altri, lamentarmi. Mi piace fare le cose»
Entra in politica nel 1991, occupandosi della campagna elettorale di Thomas Duane (primo politico dichiaratamente affetto da Hiv a essere eletto) e diventando poi coordinatrice del suo staff per cinque anni. Più tardi è a capo del New York City Anti-Violence Project e anche tra i membri della Nyc Police/Community Relations Task Force istituita da Rudy Giuliani. Dal 1999, è membro del consiglio comunale per il lower Westside di Manhattan. Nel 2006 viene eletta speaker, diventando la prima donna a occupare una posizione politica così alta nella storia della Grande mela.
Si laurea al Trinity College di Hartford, nel Connecticut. Dopo essersi battuta per anni a favore delle unioni omosessuali, lei stessa ha poi usato la legge sui matrimoni gay fatta passare dal governatore Andrew Cuomo. Chris ha comprato una casa nel quartiere Chelsea di Manhattan, dove vive con la sua compagna Kim Catullo, avvocata di grido figlia di due operai del New Jersey diventata sua moglie lo scorso 19 maggio, e due cani, Justin e Sadie. A New York Christine è uno dei simboli dell’orgoglio omosessuale. Tanto da aver boicottato la tradizionale parata di San Patrizio del 17 marzo per via del divieto di esporre simboli e slogan a favore del movimento omosessuale. «Ho marciato a Dublino con sticker e spillette visibili che rendevano chiaro che noi eravamo irlandesi e omosessuali insieme», ha detto. «Se puoi farlo a Dublino, in nome di Dio, perché non lo puoi fare pure sulla Fifth Avenue?».
Una candidata che viene “dal basso”, Christine. Dalle lotte per l’assistenza sanitaria per i minori, per il miglioramento dell’offerta nelle scuole pubbliche. Una vera “macchina da guerra”, dicono alcuni, che punta senza scrupoli dritto verso il potere. E non a caso, forse, Michael Bloomberg ha scommesso su di lei. Una svolta più calda, certo, rispetto allo stile freddo e distante dell’attuale sindaco, ha notato il New York Times.
Christine Quinn (Foto tratta dal profilo Facebook di Chris Quinn)
Non mancano le ombre, però. Nell’aprile del 2008 il New York Post rivelò che il suo ufficio avrebbe elargito milioni di dollari ad associazioni a lei vicine. Prontamente rispose di non esserne a conoscenza e la storia si chiuse lì. Ma dopo lunghe indagini, venne fuori che quei fondi neri erano finiti nelle casse di associazioni con sede nel quartiere della stessa Quinn. E che quelle stesse associazioni nel 2009 avevano contribuito alla campagna elettorale per l’elezione di Bloomberg. Ma nel settembre del 2011 uno degli avvocati del consiglio comunale chiuse per sempre la questione, riferendo che le indagini erano state archiviate senza intraprendere alcuna azione legale.
Christine Quinn ha costruito la sua campagna elettorale sui diritti sociali. Ma Come riporta Harry J Enten sul Guardian, di progressista avrebbe ben poco. Fedele alleata del miliardario ex repubblicano Bloomberg, ha sempre sostenuto le sue cause. Compreso il disegno di legge che ha permesso all’attuale sindaco di correre per un terzo mandato. Su 333 delibere presentate in consiglio comunale nel 2011, Quinn e Bloomberg sono stati in disaccordo solo sul 5 per cento delle proposte.
Non solo. Lo Human Rights Project at the Urban Justice Center (Hrp) pubblica ogni anno un rapporto sulle attività di tutti i membri del consiglio comunale di New York, esprimendo un punteggio in materia di diritti civili, culturali, economici, politici e sociali. Con uno score alto, il consigliere risulta progressista. Con uno basso, il contrario. Tutti i repubblicani nel 2011 hanno ricevuto una C o peggio. Il punteggio medio dei democratici è stata una B meno.
Christine Quinn si è aggiudicata una D, il peggior punteggio tra i democratici. Non a caso, è lei l’artefice del blocco della legge sul pagamento delle giornate di malattia, che avrebbe dato ai dipendenti cinque giorni di malattia retribuiti in aziende con cinque o più dipendenti. «Vista l’attuale situazione economica», ha spiegato lei, «non è il momento giusto per questa politica». Più alti i voti dei suoi due avversari democratici, che avevano votato a favore del disegno di legge sui giorni di malattia pagati. Bill de Blasio e John Liu hanno ricevuto rispettivamente una B e una A. Entrambi avevano anche votato contro l’estensione dei limiti di mandato per Bloomberg.
E se il metodo del punteggio non dovesse convincere, si potrebbero anche elencare i nomi dei sostenitori di Chris. L’ex sindaco bushiano Ed Koch l’ha definita una «progressista di buon senso». E anche il conservatore Jim Molinaro, presidente dello Staten Island Borough, ha espresso il suo sostegno per la speaker di ferro. Per chi non lo sapesse, il partito conservatore venne fondato perché i repubblicani erano visti come eccessivamene progressisti.
Dall’altra parte, però, la Quinn ha l’appoggio dello Human Rights Campaign, un movimento a favore dei diritti omosessuali, nonostante in precedenza Chris fosse stata criticata dallo stesso gruppo per le sue posizioni non sufficientemente progressiste sulla lotta contro l’Hiv. Al contrario, i suoi avversari democratici sembrano invece più radicali sugli stessi temi. Anche Emily’s List, un gruppo dedicato a favorire la partecipazione delle donne in politica, ha espresso il suo appoggio per la speaker di ferro. Anche se molte donne del Congresso, da Carolyn Maloney alla femminista Gloria Steinem, si sono mobilitate contro il blocco della legge sui giorni di malattie pagate. Steinem ha anche minacciato di ritirare il suo endorsement se Quinn non porta il disegno di legge al voto.
Certo, votare una donna, per giunta lesbica, potrebbe essere molto più progressista che votare un qualunque democratico più progressista di lei. Forse Christine Quinn non sarà la più progressista dei democratici, ma lo è abbastanza da poter accontentare un po’ tutti.
Christine Quinn (Foto tratta dal profilo Facebook di Chris Quinn)
Christine Quinn (Foto tratta dal profilo Facebook di Chris Quinn)