Non solo gravi problemi di governabilità del Paese. Il risultato elettorale, in questa fase economica e sociale complicata, impone serie riflessioni sullo stato di crisi dei sistemi di rappresentanza. Una crisi che coinvolge in pieno il sistema delle relazioni industriali, della rappresentanza datoriale e sindacale.
Non è tanto la dimensione quantitativa del successo del Movimento 5 Stelle a dover preoccupare le strutture partitiche, associative e istituzionali. Ma la velocità con cui questo processo si è realizzato e la modalità con cui un nuovo “soggetto politico”, senza statuto né organismi direttivi eletti dentro procedure congressuali, è diventato incidente nei processi decisionali della vita democratica di una nazione come l’Italia. Non è un risultato casuale. La non struttura del Movimento 5 Stelle è il suo punto di forza da un lato e di massima debolezza dall’altro. Tutto si regge sul pilastro che «ognuno vale uno».
Significa far saltare e scardinare il sistema della democrazia rappresentativa. Con tutte le conseguenze del caso e i rischi per le strutture e il funzionamento del sistema democratico costituzionale. Lo ribadisce del resto lo stesso Grillo nel Suo blog: «Il movimento 5 stelle ha una propria carta: il Non statuto, scritto per un Movimento centrato sulla Rete, senza sovrastrutture di rappresentanza, senza capi bastone, senza signori delle tessere. Ognuno conta uno»
Chi ha responsabilità politica sa quanto sia difficile e complicata la gestione delle strutture associative. La costruzione del consenso. La definizione degli equilibri nei gruppi dirigenti. Il rinnovamento degli stessi. L’assunzione di decisioni. E la conseguente efficacia applicativa. Su questa lentezza e fatica è calata la forza distruttrice (anche rigeneratrice?) dell’onda Anomala del Grillo Parlante, del Casaleggio sognante e dei Pirati telecomandati della Rete. Le condizioni economiche e sociali, la totale assenza di risposte da parte della politica, la degenerazione morale, la compromissione e contiguità con l’illegalità e la criminalità, l’analfabetismo politico culturale di massa sono gli ingredienti giusti per il minestrone di Grillo.
Più di tutto Grillo e Casaleggio hanno ben letto la trasformazione individualista della società italiana, dentro l’innata inclinazione alla delega disimpegnata ( fai te per me, importante che io possa trarne un beneficio). Una volta preso il potere non conta la partecipazione collettiva. Basta la rete. Ecco qui è la frattura e l’implosione. Qui c’è il rischio democratico. Qui c’è quanto ben conosciamo dal punto di vista storico. Qui non c’è nessuna differenza tra Grillo, Casaleggio, Berlusconi, Di Pietro, Bossi. Ovvero di tutti coloro che hanno agito nelle politica con un sistema non regolato e strutturato. Usando il popolo per avere il potere e poi decidere senza alcuna mediazione e consenso. Che hanno fatto dei partiti un utilizzo privato e personalistico. Proprietario e padronale.
Si preparino le organizzazioni sindacali e datoriali che l’onda arriva. È solo una questione di tempo. E non si dovrà aspettare molto. Dipende dai tempi di gestazione per la nascita del prossimo governo. Conclusa l’elezione del presidente della Repubblica, tutta l’azione verrà indirizzata sui sistemi e le strutture collegate all’economia, al lavoro, al welfare. L’onda troverà esattamente gli stessi spazi che ha lasciato la politica. Ma fortunatamente con maggiori possibilità di essere respinta. Anzi direi accolta. Perché non è solo distruzione.
Linkiesta ha già cercato di leggere i dati della perdita di rappresentanza numerica dentro le associazioni datoriali e sindacali e la loro trasformazione. Si cercano le risposte nella gestione delle crisi e dei bisogni dei lavoratori, verificano il rapporto tra attivi e pensionati. Imputano la perdita di iscritti alle chiusure e ai fallimenti delle aziende, agli effetti della depressione economica.
Ma più interessante sarebbe considerare il fallimento delle politiche concertative. La perdita di potere d’acquisto dei salari. L’arretramento di tutti gli indici a partire dalla produttività. La crescita delle diseguaglianze e della povertà. L’economista Alberto Berrini in un recentissimo report scrive: «Fatto 100 il dato del 2007, a fine 2012 l’Italia è in questa situazione: Pil pari a 93, consumi a 95, investimenti a 86 e l’utilizzo degli impianti a 69. In sintesi l’attuale produzione industriale è ancora inferiore del 22,1% dai valori massimi pre-crisi (aprile 2008).
La realtà, che ha decisamente superato le più fosche previsioni, descrive un’economia in rapida contrazione: più si indebolisce e più diventa fragile, creando le condizioni di un ulteriore indebolimento. E il rischio è quello di un degrado permanente del potenziale produttivo e più in generale economico del paese. Dobbiamo addebitare alle associazioni di categoria l’incapacità di leggere la crisi.
Il ruolo di Confindustria è meramente consulenziale e di servizio, in totale scollegamento con il mondo reale e produttivo, e privo di seguito strategico e politico nelle relazioni industriali e nella contrattazione a livello aziendale e territoriale. Sul fronte sindacale il percorso di responsabilità di Cisl e Uil (e soprattutto dei metalmeccanici della Fim) di fatto è stato rallentato dalla non convergenza unitaria con la Cigl. La Fiom da tempo si è collocata totalmente al di fuori di qualsiasi interpretazione o categoria politico sindacale. Gioca una partita che ha garantito molta audience nei salotti televisivi e nessun risultato concreto nei luoghi di lavoro.
Ma il sindacato industriale sta in piedi grazie alla militanza e passione dei delegati. E non sarà cosi facile per lo tsunami a 5 stelle agire come ha agito nel sistema politico. Occorre ammettere che il sindacato ha un ritardo grave sulla regolazione procedurale della rappresentanza e nella determinazione democratica dei processi decisionali. L’assenza di regole è conseguenza delle divisioni tra sigle oppure sono state le divisioni a creare assenza di regole? Una risposta la dà un lucidissimo contributo di Pierre Carniti, Rino Caviglioli, Mario Colombo, Pietro Merli Brandini pubblicato su Eguaglianza e Libertà.
La conflittualità, le plurime iniziative di contenzioso tese a scardinare gli impianti contrattuali definiti non unitariamente, la deriva populista, la confusione mediatica, appartengono al data base di Casaleggio, pronti ad essere utilizzati appena il vento sarà favorevole. Per attaccare ed abbattere la “struttura sindacato”.
Ma alla logica dell’«ognuno conta uno» opponiamo quella che «insieme contiamo di più». E non potrà avvenire se i soggetti di rappresentanza non ammettono ciascuno la propria ed estrema debolezza. È un processo inevitabile e irrinunciabile per tutti. Chi non lo comprende rischia di essere sommerso dallo tsunami che al momento è stato annunciato ma la cui onda è ben visibile a chi vuole guardare.
*Alberto Zappa, Segretario provinciale Fim Cisl Como