Il governo e la strategia energetica senza legge

Il futuro competitivo del paese

I ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, Corrado Passera e Corrado Clini, giovedì 14 marzo hanno presentato la versione finale della Strategia Energetica Nazionale (Sen). Il ponderoso documento è passato piuttosto inosservato, nonostante esso miri a delineare le scelte energetiche dei prossimi decenni. È vero che in questo periodo ben altri fatti sono all’ordine del giorno, tuttavia ciò non sembra sufficiente a spiegare lo scarso interesse rivolto alla Sen, che è anche da spiegabile dall’incertezza sugli effetti concreti di questa iniziativa giudicata ormai fuori tempo massimo.

Proprio l’infelice tempistica è stata la prima delle accuse lanciate da Greenpeace, Legambiente e WWF, tanto da giudicare l’iniziativa un atto illegittimo – «un colpo di mano» – da parte di un governo tenuto a sbrigare solo gli affari correnti. E, in effetti, la Sen è arrivata a quasi venti giorni dalle elezioni e a quasi quattro mesi dalla fine della Legislatura XVI.

La seconda critica, questa volta nel merito, è che la Strategia, almeno per le associazioni ambientaliste, pare troppo sbilanciata sugli idrocarburi. Giudizio espresso martedì scorso, come ha riportato la Staffetta Quotidiana, dal MoVimento 5 Stelle che tra le prime azioni politiche sarebbe intenzionato a chiedere una modifica della Strategia energetica nazionale perché gas e rigassificatori non possono rappresentare il “ponte” per una transizione verso le rinnovabili e l’efficienza energetica. 

La promozione di un mercato del gas competitivo, con l’opportunità di diventare il principale hub sud-europeo (che semplicisticamente può leggersi come più terminali di rigassificazione, e lo sviluppo (ambientale) sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi, sono infatti due delle sette priorità ipotizzate dalla Sen per raggiungere i quattro (macro)obiettivi che si prefigge: riduzione dei costi energetici, pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale, maggiore sicurezza di approvvigionamento e sviluppo industriale del settore energia. 

Ma questi obiettivi sono davvero realisticamente raggiungibili? Inutile esprimersi nel merito se non si è ragionato prima sulla natura giuridica del documento, definito dal decreto che lo approva «atto di indirizzo strategico», nonché sulla valenza che esso riveste. 
La questione infatti non è di poco conto.

In estrema sintesi: la fissazione di obiettivi è funzione propria del Parlamento, anche perché – per capirci – altrimenti non vi sarebbe ragione per cui il governo si chiama, fino a prova contraria, anche esecutivo.  Pertanto il passaggio da semplice documento di analisi e proposta ad «atto di programmazione e indirizzo» sarebbe possibile in virtù di una specifica norma di legge, approvata in Parlamento, che impegni il governo ad elaborare una Strategia. Questa norma era l’art. 7 del decreto-legge n. 112/2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 133/2008.

Per capire che fine ha fatto è necessaria una piccola digressione che ci riporta ad un tema ben più contestato della Sen: il ritorno alla produzione elettronucleare. Sì, proprio quello fortemente voluto, dall’ex ministro Claudio Scajola (peraltro: che fine ha fatto?) che ritenne la Sen tanto urgente da inserirla in un decreto-legge, il 112/2008, convertito per l’appunto con la legge n. 133/2008.

La Sen era anche, come dire, prodromica alla Strategia nucleare, questa però, dopo il clamore del disastro giapponese Fukushima, fu prima stoppata nel bulimico decreto-legge Omnibus, il 34/2011, introducendo una moratoria di un anno, per poi essere del tutto abrogata durante la conversione in legge del decreto. Fatto che, a molti legittimamente sembrò nulla più di un arrocco antireferendario, questo perché il quesito referendario sul nucleare, oltre ad essere abbinato ai due sull’acqua pubblica, precedeva quello sul legittimo impedimento. Sorvolando su alcuni intriganti particolari – il giudizio della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale – si arriva all’attuale assetto normativo, dove, in conseguenza della duplice abrogazione sia dell’art. 7 della legge 133/2008 (per via legislativa) sia dell’art. 5 comma 8 della legge 75/2011 (per via referendaria), manca ogni norma primaria che espressamente si occupi della Sen. 

Davvero difficile che la cosa non (ri)emerga in tribunale a cui già hanno minacciato di rivolgersi le associazioni ambientaliste o in Parlamento come vorrebbero fare i cittadini eletti del MoVimento 5 Stelle. 

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