Si è intenerito persino quel cattivone di Joey Barton. “Le tre perle di Owen: il gol memorabile l’Argentina, la tripletta alla Germania, la doppietta all’Arsenal nella finale di Coppa d’Inghilterra”, ha scritto il rude centrocampista inglese, sintetizzando in un solo tweet le gesta di uno dei più grandi giocatori inglesi. Michael Owen si ritira a fine stagione. Lo ha annunciato sul suo sito ufficiale. Pare che ormai pensi solo alla famiglia e all’altra sua grande passione, i cavalli. Per uno come lui, che a 18 anni fece uno dei gol più belli della storia dei Mondiali e dì lì a poco frantumerà ogni record vincendo 5 trofei con il Liverpool in un anno solare, il calcio è diventato solo sedersi sulla panchina dello Stoke City e ogni tanto dare una mano ai compagni. Perciò a fine anno appenderà gli scarpini al chiodo, accanto al Pallone d’oro vinto nel 2001.
La prima perla di Owen risplende sotto il sole cocente di Marsiglia il 30 giugno del 1998. Ottavi di finale del Mondiale di Francia. La Dea Eupalla ha voluto che Argentina e Inghilterra si reincontrassero in una Coppa del Mondo, perché per suo capriccio è nello scontro teso tra queste due nazionali che un campione deve entrare nella storia. Nel 1986, nel caldo atroce dell’Azteca, Maradona dribblò mezza nazionale avversaria e irrise una nazione intera con un gol di mano che gonfiò il petto agli argentini, bastonati dagli in inglesi per la storia delle Falklands. Ma la Dea, come il tempo, restituisce tutto o quasi: decide che l’Argentina dovrà vincere un’altra volta, ma ora tocca a un piede inglese vendicare la ‘Mano de Dios’. Il tecnico dell’Inghilterra Glenn Hoddle ha tra i 22 convocati un ragazzo di 18 anni che gioca nel Liverpool e che dicono faccia magie. Nato nel Cheshire e figlio di un ex calciatore, ha in comune con molte altre stelle del pallone l’aver giocato fin da piccolo con ragazzi più grandi di lui. All’età di 6 anni è schierato a fianco di quelli di 10 nel Mold Alexandra. A 9 ha già battuto il record di Ian Rush – idolo del Liverpool, meno nella Juve – nel campionato scolastico del Galles settentrionale: 92 reti, 13 in più del mito. Nel 1998 i giocatori non sono ancora quell’ammasso di muscoli come oggi e a Michael la divisa bianca dell’Inghilterra va un po’ larga. Questo non gli impedisce di raccogliere con un gran tocco il lancio di Beckham e di cominciare a correre. Il compassato telecronista inglese alza il tono della voce. Lo sente, lo vede, lo sa: quel piccoletto sta facendo il Maradona. Salta Chamot, salta Ayala e mette il pallone a incrociare sotto la traversa.
Nonostante la sconfitta ai rigori, entra nel cuore degli inglesi e compie il primo passo per farlo anche nella storia del calcio. Ma dovrà aspettare un paio d’anni. Prima di vincere quel Pallone d’oro che manca all’Inghilterra dal 1979, quando lo ottenne Kevin Keegan, passeranno un infortunio sottovalutato dai medici e un Europeo del 2000 giocato maluccio da lui e da tutta la squadra. Il commissario tecnico dell’Inghilterra è proprio Keegan: tra lui e Owen ci sono incomprensioni, la nazionale esce subito dal torneo e a pagare è ‘Mickey Mouse’. Si tratta di un passaggio di consegne: Keegan va e Owen vince in un anno solare cinque trofei con i Reds, oltre al Pallone d’oro nel dicembre 2001.
In questo periodo Owen diventa il ‘Wonder Boy’ in cui una nazione intera ripone le speranze di rivincere un torneo che manca dal Mondiale in casa del 1966. Speranze che aumentano grazie alle altre due perle della sua carriera. Nella finale di Fa Cup contro l’Arsenal, con il Liverpool sotto di un gol, Owen ne segna due negli ultimi otto minuti e consegna il trofeo più antico del mondo ai Reds, a secco di gloria dal 1990. Tre mesi prima di vincere il premio come miglior giocatore d’Europa, nel settembre 2001, la capricciosa Dea Eupalla regala a Michael un’altra guerra sul campo per fare bella figura. A Monaco lo attende la Germania, che ce l’ha ancora con gli inglesi per il gol fantasma di Hurst a Wembley. I tedeschi guidati da Rudi Voeller capitolano 5-1: è un dramma nazionale. Owen ne segna 3.
Da lì in poi, sarà tutta una discesa. In senso negativo. Alla finale del Mondiale 2002 ci andrà proprio la Germania, mica l’Inghilterra. Con il Liverpool fa in tempo a vincere una Coppa d’Inghilterra nel 2003, poi arriva la chiamata del Real Madrid. Non può dire di no, anche se avrebbe fatto meglio: in un anno colleziona solo 15 presenze da titolare e il Real cambia 3 allenatori. Ma anche qui fa gol al nemico, in un clasico contro il Barcellona. A fine stagione arriva Robinho: adiòs, si torna in Inghilterra. I tifosi del Liverpool sognano di riabbracciarlo, ma ci vogliono 17 milioni di sterline. Li mette sul piatto il Newcastle e Owen risponde obbedisco. Ad Anfield non gradiscono e tutte le volte che i bianconeri arrivano nello stadio che ha visto le sue gesta, la mitica curva Kop trabocca di rabbia: “Dov’eri a Istanbul?” gli cantano. Lo sanno bene: non c’era mentre i Reds vincevano la Champions contro il Milan. I suoi ex tifosi hanno il cuore spezzato. A lui si spezzano le ossa di un piede prima, poi in nazionale è il ginocchio a fare crac, contro la Svezia nel 2006. La capricciosa Eupalla sta presentando il conto. Resta fermo un anno, torna ma nel frattempo il Newcastle retrocede. Lo chiama il Manchester United. Tra i Red Devils e il Liverpool non corre buon sangue: è l’ennesimo schiaffo ai tifosi della Kop, che continuano a chiedergli perché non fosse a Istanbul quella sera che Gerrard alzava la coppa.
Quella Dea, che gli ha regalato i gol contro le due avversarie più avversarie dell’Inghilterra, ha deciso che Owen deve andare e fare posto. Non prima di avergli donato un ultimo gol a suo modo storico, ancora contro una grande avversaria: quello del 4-3 all’ultima azione nel derby contro il City. Lo Stoke ha avuto tra le sue fila un altro grande Pallone d’oro come Stanley Matthews, ma dove si trova ora Michael non ci sono partite storiche nelle quali tirar fuori un gol risolutivo. Un gol da Wonder Boy.