Diciamolo, l’Inter ci ha rovinato l’attacco del pezzo. Dopo la prima mezzora di gioco a Catania, eravamo pronti a iniziare così: “Se siete tifosi nerazzurri, saltate questo paragrafo”. Andando direttamente a quello del Milan, ovvero quello sulla doppietta di Pazzini, giusto per farsi ancora più male. E invece, la squadra di Stramaccioni ci costringe ad un banale, ma vero, incipit: clamoroso al Cibali. Stavolta le parti vanno invertite però. Se negli anni Sessanta era il Catania a battere l’Inter in casa, ora sono i nerazzurri a sconfiggere i rossoblu. Il clamoroso non sta nel differente blasone che corre tra le due squadre, ma per come è arrivata la vittoria dell’Inter. In pieno recupero, dopo una prima mezzora da film horror (se siete interisti) o da marcia trionfale se tifate Catania. Quella dell’Inter sembra sì una marcia, ma funebre: lenta, impacciata, prevedibile la squadra di Stramaccioni (il 65% dei suoi passaggi è di quelli lunghi), che privo di molte pedine piazza Alvarez e Schelotto sulle fasce, Kuzmanovic al centro e Guarin dietro Rocchi.
L’ex laziale è pieno di ruggine, Schelotto non è ancora pronto per i novanta minuti e Kuzmanovic non sa che farsene del pallone. Poi ci si mette pure Juan Jesus, uno di solito affidabile, a fare la frittata. Strama come nel derby capisce che la formazione iniziale è cannata in pieno e mette dentro Palacio. Ma ci vuole il gol del 3-0 sbagliato del Catania per fare emergere l’Inter, perché i padroni di casa arretrano e si arroccano: un errore fatale, se vuoi andare in Europa. I meriti dei nerazzurri si vedono nei numeri finali: 57% di possesso palla, 70% di vantaggio territoriale, 33 cross a 15, 46 dribbling a 20. Il gioco latita, ma cifre e soprattutto orgoglio ci sono.
Se invece siete milanisti, potete comunque rifarvi gli occhi con la forma smagliante dei rossoneri degli ultimi tempi. Dopo certe gare di inizio stagione, era difficile immaginare un Milan terzo e in piena lotta per la zona Champions. Nello stesso periodo in cui l’Inter ledeva la maestà dei campioni d’Italia allo Juventus Stadium, la squadra di Allegri sembrava già condannata: manovra lenta, piedi troppo ruvidi a centrocampo, moduli cambiati in continuazione. Qualche mese dopo, il Milan del 4-3-3 appare come una specie di ingranaggio dove ognuno sa quello che deve fare. E lo fa più che bene: se non c’è Balotelli ci pensa Pazzini, De Sciglio è ormai calcisticamente un uomo, Montolivo si è calato nel ruolo cucito per lui dal tecnico e che permette a tutta la squadra di produrre 486 passaggi in 90 minuti.
Se il secondo tempo del derby aveva visto affiorare una certa stanchezza, la partita con la Lazio è stato il giro di boa: sorpasso in classifica e numeri da urlo. Un paio, da antipasto: sabato sera 64% di possesso, 71% vantaggio territoriale, 21 tiri a 7, 33 cross a 8, 84% di passaggi azzeccati. Certo l’espulsione di Candreva ha messo in difficoltà la Lazio, ma proprio in 11 contro 10 il Milan non doveva sbagliare e non l’ha fatto. Grazie anche agli altri numeri, quelli dell’attacco. Pazzini ed El Shaarawy fanno assieme il miglior reparto della serie A con 28 gol, 12 dei quali sono dell’ex interista. E allora, provate a chiedere ai milanisti chi ci abbia guadagnato nello scambio con Cassano.
Doveva essere la partita scudetto e in effetti lo è stata. Nel senso che a Napoli la Juve ha messo – nel caso ce ne fosse stato bisogno – le mani sul titolo. I bianconeri ormai corrono da soli. Pure gli azzurri li hanno mollati. Cosa manca al Napoli, che tutte le volte che incontra una grande si affloscia (in 5 scontri diretti quest’anno 4 pareggi e una sconfitta)? Adesso i gol di Cavani, che non la butta dentro da un mese; o quelli di Pandev, che non la butta dentro quasi mai. Ma manca anche una certa duttilità tattica a cui la squadra deve abituarsi, perché ormai il 3-5-2 di Mazzarri lo conoscono più o meno tutti. Lo conosce bene Conte, che ha azzeccato la mossa iniziale mettendo sulla fascia sinistra Peluso anziché Asamoah: Maggio e Pandev restano con i piedi legati. Esterni bassi del Napoli, il che significa lasciar passare la Juve. E poi c’è Pirlo, che galleggia fra Behrami e Hamsik senza che nessuno lo marchi e magari lo prenda a sportellate. Messa così, i bianconeri possono pure permettersi di presentarsi con il solito problema in zona-gol (Vucinic si mangia il gol-scudetto), perché tanto prima o poi la rete arriva, guardacaso da un cross di Pirlo. Il cambio tattico arriva nella ripresa, dopo il pareggio fortunato di Inler: 4-3-1-2 coj Dzemaili dentro. Ma non basta, perchè ai cambi di modulo in corsa bisogna essere allenati e perché anche la Juve si arrocca bene e senza i gol nonostante l’84% di passaggi positivi la partita – e lo scudetto – non lo vinci.