M5S, perché nessuno la chiama “primavera italiana”?

Media e democrazia

BERLINO – Che sollievo, quanta spocchia all’estero nell’effettuare l’autopsia sul cadavere italiano, un’autopsia rassicurante e inebriante. Per i giornalisti è un gioco da ragazzi ripetere un mantra conosciuto che si può arricchire di sempre nuovi sberleffi. Secondo il New York Times il nostro talento maggiore sarebbe la nonchalance con cui danziamo sull’orlo del precipizio, fregandocene e vivendo in un mondo parallelo, quello delle illusioni berlusconiane. Illusion is the only reality.

Che invece l’italiano possa essere capace di una scelta coraggiosa che esprime una novità frizzante nel mondo della politica, questo ovviamente non viene in mente a nessuno, è inconcepibile e in contrasto con la teoria del credulone.
Barricata in una visione denigrante la stampa estera non riesce a guardare oltre il proprio naso e ragiona solo per analogie, concentrandosi sulle similitudini tra l’antipolitica di Grillo e quella di Pdl e Lega, sul carisma mediatico di due politici che vengono messi sullo stesso piano. Spiegel lo chiama addirittura Grillusconi. Dire che Grillo è un nuovo Berlusconi non significa altro che confermare la tesi consolidata secondo la quale l’italiano non cambia, scemo era e scemo rimane.

Su cosa sia la politica e cosa l’antipolitica ormai imperversa una grande confusione, sia tra gli osservatori che all’interno della classe politica stessa, come dimostra l’incapacità della sinistra di capire il Paese. In un Paese fermo, l’ultima vera azione politica è stata la vittoria ai referendum del 2011 su temi importanti come il nucleare, i servizi idrici e il legittimo impedimento. Una vittoria che è merito anche della campagna di Grillo, una vittoria che nasce dalla rete e che evidentemente in molti hanno sottovalutato o ignorato ma era il primo segnale di una nuova aria nel Paese. Per molti italiani “di sinistra” le questioni toccate da Grillo sono politica purissima, mentre le scaramucce tra Renzi e Bersani, i flirt con Monti, i distinguo di Vendola, le trame di palazzo, quelle sì sono “antipolitica”. Ma in Italia come all’estero si vuole vedere solo la continuità e non la rottura e così con un’alzata di spalle saccente, tutti ci ricordano che l’antipolitica c’è sempre stata, che è quasi una costante di un popolo che diffida dello Stato. In sostanza, basta trovare un paio di analogie e il gioco è fatto, è un puzzle da 5 pezzi: Grillo sbraita come Bossi, domina il palcoscenico come Berlusconi, incarna una figura patriarcale come Mussolini, invoca una pulizia che ricorda l’onda d’indignazione di Mani Pulite, è contrario all’euro e il quadro è pronto. Come hai fatto a non accorgertene: Grillo è antipolitica, come Mussolini, come Bossi, come Berlusconi, come sempre.

Si fanno le pulci al programma di Grillo, si sottolineano ingenuità, populismo, incompetenza e una semplice posizione di chiusura e protesta. Quello che sfugge è che il cambiamento non è questione di facce o contenuti nuovi ma nel modo di fare politica, nel mezzo. Il nuovo mezzo di comunicazione, il nuovo tramite tra cittadini e politica è Internet. È una svolta nella storia dell’umanità, alla pari dell’avvento della stampa che favorì le prime rivoluzioni – dalla Riforma di Lutero in poi – dell’esplosione della radio e della televisione che hanno dominato l’ultimo secolo di storia. Oggi indubbiamente è Internet a poter scardinare gli assetti politici. Non Grillo in sé.

Ma il mezzo, la tecnologia, la tecnica, è destinato a diventare non solo il messaggio, come sostenuto da McLuhan, ma a sostituirsi al fine, come spiega da decenni Emanuele Severino. Secondo il filosofo bresciano il piano inclinato della storia conduce la tecnica al dominio del mondo. «Le forze che oggi intendono servirsi della tecnica sono infatti destinate a servirla». La tecnica impone al capitalismo di ridimensionarsi per non portare l’umanità al suicidio ambientale ma se il capitalismo deve limitarsi, deve stare attento a non inquinare e non può più concentrarsi sul suo scopo originario – il profitto –, smette di essere capitalismo, si snatura, vive una drammatica contraddizione che ne erode i principi.

La critica postideologica al capitalismo che Beppe Grillo muove da anni, potrebbe essere letta in questa luce. Da anni l’ex comico cerca di smascherare proprio questo: un capitalismo che in nome del profitto ci condanna a politiche prive di senso, a rotte commerciali assurde, alla distruzione ambientale. Non più una prospettiva marxista con l’intento di sovvertire l’ordine sociale e portare la classe operaia in paradiso, ma una critica che vuole frenare le inequità e le assurdità del capitalismo. Di sicuro non si può mettere sullo stesso piano chi da anni pone l’accento sul tema della decrescita e delle energie alternative con la Lega e il Pdl, anche se all’estero tutti sembrano convinti di poterli mettere entrambi nel pentolone dell’antipolitica.

Accostare l’affermazione del M5S al pensiero di Severino è solo un piccolo tentativo di spostare lo sguardo un po’ più in avanti e andare oltre al fenomeno Beppe Grillo che è ancora sospeso tra il vecchio mondo della televisione che l’ha reso celebre e il nuovo universo della rete. Non si vuol proprio vedere quello che è il germe rivoluzionario: un partito che rifiuta di andare in televisione, si affida solo ai nuovi media e con il potere della rete, sostanzialmente senza soldi e senza lobby alle spalle, diventa la prima formazione politica italiana. Dopo che per mesi è stata decantata la primavera araba, una favola da Mille e una notte, fatta di manifestazioni organizzate con i social network, ora che c’è la primavera italiana nessuno sembra registrarla. Viene liquidata così:  «Grillo è un clown». Come mai?

Forse i giornalisti non vogliono ammettere la portata rivoluzionaria dell’ascesa di Grillo perché il comico, dimostrando la potenza della rete, ha smentito la loro importanza sempre più relativa. Grillo si è conquistato la sua autorevolezza sul mercato dei clic, senza passare per la tv e i giornali, non ha bisogno del permesso di un editore per raggiungere milioni di cittadini. Grillo è un pagliaccio populista? Va bene, ma l’importante è capire che ha aperto una strada, che indica una tendenza.

In prospettiva, le promesse di Berlusconi hanno le gambe corte perchè tra qualche anno ci sarà sempre meno spazio per raccontarle, sempre meno scrivanie di Vespa pronte ad accoglierlo, sempre più concorrenza in rete basata sui contenuti. La televisione, soprattutto quella italiana, lottizzata e semilibera, ha i giorni contati, Grillo l’ha capito.

I cittadini prosumer dispongono di un nuovo strumento per generare (producer) e consumare contenuti di ogni tipo, compresi quelli politici e lo stanno facendo. Nascono movimenti trasversali, spontanei, indipendenti dai partiti tradizionali eppure in grado di mobilitare milioni di persone. Occupy, Indignados, M5S, Piraten e l’ultimo recentissimo caso portoghese, movimenti difficili da inquadrare perché manca quel comodo cassetto in cui infilarli.

Davanti a una crisi profonda, l’Italia ha risposto con un voto rivoluzionario che è da attribuire al peso delle nuove tecnologie di comunicazione, al collasso di un sistema politico, alla crisi di un’economia ormai totalmente incapace di garantire benessere. Chissà che un giorno all’estero non verremo citati come pionieri piuttosto che come pirloni.

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