Ma perché per vedere Pompei si deve andare a Londra?

La mostra al British Museum

Al British Museum si sfregano le mani. Secondo le previsioni (e i proclami della grancassa pubblicitaria) la nuova mostra su Pompei ed Ercolano (cominciata il 29 marzo e destinata a finire il 28 settembre) avrà «più visitatori di qualsiasi altra prima», almeno secondo le parole che il direttore del museo Neill McGregor ha lasciato girare in rete. Di numeri se ne fanno tanti. L’ipotesi più probabile parla di 400mila visitatori (e a parte membri e ragazzi sotto i sedici anni, si pagano 15 sterline). Ma possono essere anche di più. Il principale sponsor della mostra, che campeggia sulle locandine, è Goldman Sachs. Ma che mostra sarà?

Secondo gli annunci, è destinato a diventare «un evento straordinario». Qualcosa di «magnifico». Un «successo». Ma perché? Per tre ragioni, sostengono, che consistono in tre “prime volte”. Per cominciare, è la prima volta che al British Museum si fa una mostra sull’argomento, ad esempio. E poi, come spiega Paul Roberts, uno dei curatori, «è la prima volta in cui Pompei ed Ercolano vengono messe sullo stesso piano» (almeno a Londra). Ed è anche, conclude, la «prima volta in cui ci si concentra sulla rappresentazione stile di vita dell’epoca» e non su un approccio storiografico o politico.

L’allestimento della mostra segue un’idea semplice ma efficace: la casa. Si comincia, come è ovvio, dall’ingresso della villa; si prosegue visitando le stanze e i giardini. Ogni area è un modo per esplorare un aspetto della vita e della società romana dell’epoca, cioè prima del 79 d. C., quando l’eruzione del Vesuvio seppellì le due città (e le conservò, in realtà, per secoli). Si mettono in luce, insieme, i fasti dei ricchi abitanti della villa e le condizioni dei contadini e dei servi. Uno sguardo alle scene di vita reale, perché davvero vissute, che avviene grazie all’incontro con gli oggetti dell’epoca, i reperti trovati dagli archeologi negli scavi. Già da soli, proprio per il loro stato di conservazione eccezionale permettono di ficcare il naso in un mondo perduto duemila anni fa. 

E che cosa si vede? «Che quelle persone, a quell’epoca e a Pompei – spiega ancora McGregor – facevano le stesse cose che facciamo noi oggi». Certo, con le dovute differenze: ma le vite degli esseri umani (e questo è il senso della mostra), anche in momenti e in zone diverse, si sono somigliate tutte. Tutti amavano, si divertivano, si ritrovavano per mangiare, dormire, svagarsi, commerciare. E questo accadeva anche a Pompei ed Ercolano. Almeno, fino al 24 agosto (?) del 79, quando smisero di esistere. L’attimo della loro fine è rimasto custodito per 1600 anni sotto la polvere vulcanica, che conservò, come un’istantanea, anche le ultime pose di chi non non si riuscì a salvare. Uomini e animali. 

Immagini di opere e affreschi in mostra a Londra

La mostra sembra suggestiva, unica nel suo genere. E, se ci si pensa, a leggere i commenti entusiasti degli inglesi e a vedere i finanziatori importanti, viene l’amaro in bocca. Va ricordato che tutto ciò che è esposto arriva dall’Italia. Sono quasi 450 manufatti prestati dalla Sovrintendenza di Napoli: utensili, mobili, oggetti da cucina, e anche graffiti, trasportati con cura. E allora perché per vedere una cosa del genere su Pompei ed Ercolano si deve andare fino a Londra? La risposta la dà un’altra mostra, anche questa aperta il 29 marzo, ma a Bologna: si intitola “Davvero! La Pompei di fine ’800 nella pittura di Luigi Bazzani”. I quadri dell’epoca, che ritraggono le rovine pompeiane, sono messi a confronto con fotografie contemporanee degli stessi soggetti. E si vede il declino attuale e, insieme, si capisce che molti danni erano stati provocati già nell’800. Lo stato di incuria, però, è peggiorato senza ritegno. A molti sembra che quello che non ha fatto il Vesuvio lo stiamo facendo noi.

Un esempio di confronto tra i dipinti di Bazzani e le fotografie

E allora poco importa che, se crolla un muro a Pompei, salti un ministro. Sono aree che sfioriscono, battute dalla pioggia, dal sole, con pochissimi guardiani, recinzioni inesistenti. Le poche cure, sono insufficienti. E questo, anche se viene ripetuto con una certa costanza, non dà luogo a cambiamenti. Di fronte a un disinteresse così plateale, succede che è un bene che arrivino gli inglesi. Con le nostre cose, loro tirano fuori eventi “storici” e anche qualche soldo. E così, si sfregano le mani. Alla faccia nostra. 

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