Che dall’assemblea della delegazione dei parlamentari del Pd, che si è tenuta al Teatro Capranica, sarebbe uscito un partito compatto sulla linea bersaniana, lo si sapeva di già. Stamane nei corridoi del Nazareno, la sede del partito, ci scherzavano su: «Cosa vuoi che succeda, è in diretta streaming. Le decisioni importante si discutono nelle segrete stanze». Risate. Ma che non sia andato tutto liscio. Anzi. È ormai chiaro a tutti. Il segretario Pier Luigi Bersani vuole giocarsi la carta: provare a formare un governo con il sostegno dei “Cinque Stelle”. Eppure dall’altra parte c’è un muro, «non c’è all’ordine del giorno alcuna trattativa», assicurano dal quartier generale dei grillini.
Ecco perché oggi pomeriggio proprio al Teatro Capranica c’era chi sosteneva: «Bersani cercherà di tenere la barra dritta fino all’ultimo. Ma ci sta che possa fare un passo indietro, e cedere il passo ad un tecnico di rito bersaniano». E chi sarebbe il tecnico «di rito bersaniano»? Il segretario, dopo una serie di colloqui con il «tortellino magico», (un nomignolo per indicare il trio Migliavacca, Stumpo ed Errani) pensa proprio a Fabrizio Barca, Ministro per la Coesione Territoriale del governo Monti, un tecnico dal profilo «anche» politico, che in più di un occasione si è definito «comunista». E sul quale il Capo dello Stato non potrà proferire parola.
E i grillini? «Con il passo indietro di Bersani – spiega un dalemiano di ferro – l’atteggiamento dei seguaci di Grillo cambierà. Vedrete». Infatti i più stretti collaboratori del segretario, da Vasco Errani a Miguel Gotor, starebbero spingendo per questa soluzione: passo indietro di “Pier Luigi”, e proposta di governo «sugli otto punti», approvati la scorsa settimana in direzione, con Fabrizio Barca premier.
Ma il match all’interno del Pd non si è affatto concluso. Ormai si guarda oltre. E «oltre» sta a significare una sola parola: elezioni. Potranno essere a giugno, o al massimo in ottobre. E i giovani del Pd, si chiamino “turchi”, o “Matteo Renzi”, vogliono essere della partita. I settori di partito che provengono dalla Margherita, o dai Popolari, starebbero puntando sul cavallo vincente. «Per il prossimo voto, che sia fra sei mesi, un anno, due anni, bisognerà affidarsi a Matteo Renzi», fa sapere il vicesegretario nazionale Enrico Letta.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Dario Franceschini, che ha strizzato l’occhio al sindaco di Firenze: «Tra l’altro, Renzi proviene dalla nostra area». Addirittura, come raccontano a Linkiesta, «Rosi Bindi è un po’ meno prevenuta nei confronti di Matteo». Ma l’ex rottamatore ha paura del «renzismo» dilagante. Conosce i meccanismi e i riti dei notabili del partito, e vorrebbe evitare di fare «la fine di Veltroni», ripeta ad oltranza ai suoi. E, soprattutto, vuole una rottamazione profonda. «La verità è che Matteo diventerebbe leader del partito ad una condizione: rivoltare il partito come un calzino». Quindi, fuori tutti: Fioroni, Franceschini, Veltroni. Uomini che rappresentano la vecchia guardia, e lo renderebbero agli occhi degli elettori di centrosinistra e di centrodestra: uno come tanti, non un innovatore.
A questo punto l’idea del sindaco di Firenze, spiegano, sarebbe di stipulare un patto di non belligeranza con Matteo Orfini, per far fuori la vecchia guardia, prendendosi in mano il partito. Renzi come leader di maggioranza, e l’altro “Matteo”, come leader della “sinistra” del Pd.