La campagna elettorale è finita e il Pd presenta un programma “di cambiamento” in 8 punti. Promettendo di mettere in rete “i relativi progetti di legge” nei prossimi giorni, anche per “consentire una partecipazione attiva”. Sorge una domanda: non lo si poteva fare prima, per chiedere il voto degli italiani su tali priorità? Ma lasciamo pure perdere queste pignolerie e chiediamoci (1) se i punti siano compatibili con le richieste di Grillo, a cui Bersani intende chiedere almeno una fiducia tecnica, e (2) se siano efficaci.
Punti 1-2: lotta all’austerità e spesa pubblica. Il (nuovo) programma parte lancia in resta contro l’austerità. Si stigmatizza che “dopo 5 anni di austerità e di svalutazione del lavoro i debiti pubblici aumentano ovunque”. Non è chiaro di che cosa si parli. L’aumento del debito non è di per sé il segno che tutta questa austerità non c’è stata? E perché limitarsi agli ultimi 5 anni, quando i governi di centrosinistra hanno sistematicamente fatto registrare deficit più bassi e contrazioni della spesa maggiori rispetto al centrodestra nella Seconda Repubblica?
Non si spiega quale sia l’alternativa a tenere i conti in ordine, per un paese con un debito al 126% del Pil. La stagnazione economica dell’Italia parte da lontano: l’unica cosa che un “governo di cambiamento” può fare per la crescita è allargare di nuovo i cordoni della spesa (investendo in banda larga, creando un reddito minimo d’inserimento, salvaguardando gli esodati, rimodulando l’IMU e allentando il patto di stabilità per i Comuni)? Su molti di questi temi, Bersani e Grillo parlano un linguaggio non lontano tra loro, ma abbastanza distante dalla madre di tutti i problemi: quale riforma della pubblica amministrazione, a partire da un serio sistema di valutazione, possa far sì che lo Stato spenda meglio che in passato.
Facciamo un piccolo esempio, giusto per intenderci. La riforma Fornero delle pensioni, additata alla pubblica piazza per aver creato lo scandalo degli esodati, è un caso di cattiva austerità? In verità, il vero costo di quella riforma è non averla fatta 15 anni prima. Secondo stime approssimative, anche tralasciando il tema dell’età pensionabile, l’estensione delle pensioni contributive a tutti col metodo pro-rata, se fatta nel 2000, avrebbe permesso di risparmiare 9 miliardi nel periodo 2001-12 e 50 miliardi nel 2013-40. Pensate ai punti del programma “di cambiamento” che si potevano finanziare anche con questi pochi soldi, dall’edilizia scolastica alla rimodulazione dell’IMU. Oggi, però, questi soldi non ci sono. E non perché la spietata Merkel o i mercati c’impongono l’austerità. Non ci sono perché tutti i governi della Seconda Repubblica hanno pensato bene di non fare una riforma che s’ispirava a elementari criteri d’efficienza e d’equità tra generazioni. Per carità: il passato è passato. Ma quale punto programmatico ci assicura che si sia capito l’errore?
Punti 3-5: riforme della politica e moralizzazione della vita pubblica. Su questi temi, il tentativo di cavalcare l’onda grillina è evidente, con proposte che vanno dal “dimezzamento dei Parlamentari” alla “cancellazione delle Province”. Anche se si preme il freno sugli stipendi di parlamentari e consiglieri regionali (di cui si propone solo una “revisione”) e sul finanziamento pubblico ai partiti (di cui non si propone l’abolizione, ma la semplice discussione all’interno di una nuova legge quadro sui partiti). Ci si sbilancia anche a proporre “norme per il disboscamento delle società pubbliche e miste”, e c’è da chiedersi come la prenderanno i gruppi dirigenti locali del Pd per cui queste società rappresentano un utile serbatoio di carriere politiche.
Punti 6-7: economia verde e nuovi diritti. In tema di diritti – dalla cittadinanza per chi nasce in Italia alle unioni civili per le coppie omosessuali – il Pd, giustamente, si limita a reiterare punti importanti del programma elettorale. Sull’economia verde, per quanto non assente in campagna elettorale, il tentativo di ammiccamento a Grillo è invece più evidente. A meno che non si pensi che gli italiani aspettassero con ansia una “conferenza nazionale in autunno” sulla “ottimizzazione del ciclo rifiuti”.
Punto 8: istruzione e ricerca. Curioso che questi temi, nonostante i ripetuti proclami sull’importanza del capitale umano per la crescita economica, arrivino da ultimo e senza grande slancio. Anche qui il tono è più elettoralistico che di governo: lotta all’abbandono scolastico, messa in sicurezza degli edifici, stabilizzazione dei precari e assunzione di nuovi ricercatori. Non una parola su merito, differenziazioni salariali e valutazione (magari proprio per far capire ad alcuni precari della ricerca, per esempio, che la prospettiva di stabilizzazione è un miraggio e sarebbe il caso di cambiare lavoro).
Insomma: sia Bersani sia Grillo hanno dato i “punti”. Adesso aspettiamo proposte dotate di una maggiore concretezza. Non è l’ansia dei mercati quanto quella degli italiani a richiedere misure che si confrontino presto con la fatica quotidiana del governare.