Ritorno al futuro coltivando in casa i nuovi Leo Messi

Crisi economica & calcio giovanile

Ormai ne siamo consapevoli: questo è uno dei momenti più bui – se non il più buio – nella storia del calcio italiano. I nostri campioni accettano al volo le faraoniche offerte degli sceicchi, i grandi club puntano su piani di austerity, un’infinità di società in Lega Pro è sparita dalla circolazione. E il nostro football cerca una soluzione: quando le casse piangono come si può reagire? La storia insegna che, in situazioni del genere, non resta che puntare sui tesori di casa propria, come avviene in buona parte dei campionati sudamericani. L’imperativo è scommettere sui vivai sempre floridi del Belpaese, palestre a cielo aperto che in questi anni hanno partorito (calcisticamente, si intenda) gioiellini come Balotelli, El Shaarawy o Verratti. Cercando però – come nel caso di quest’ultimo – di non farseli scappare di fronte alle sirene straniere.

Quello italiano è un modello di successo, questo è poco ma sicuro. Il giovane promettente inizia nei “pulcini”, percorre tutta la trafila delle giovanili e nel campionato Primavera si mette in mostra davanti a quella miriade di osservatori e addetti ai lavori delle società di B e Lega Pro dove il ragazzo promettente verrà mandato per completare il proprio percorso di formazione. Fin qui tutto fila e, a quanto pare, funziona. Ma si può fare di meglio, sostengono alcuni. E tra questi c’è anche Fabio Capello. «Il campionato Primavera non è competitivo», aveva dichiarato tempo fa l’attuale ct della Nazionale russa. Ed è probabilmente da lì che è partito il dibattito sul tema: Primavera a parte, per il bene dei nostri giovani bisognerebbe introdurre le cosiddette squadre B in stile spagnolo, il torneo riserve all’inglese o il progetto-multiproprietà all’italiana? Il primo piace soprattutto al vicepresidente della Federcalcio Demetrio Albertini, il secondo un po’ a tutti e il terzo specialmente a Claudio Lotito, presidente della Lazio e comproprietario della Salernitana.

«A 17-18 anni si è ad un passo dalla prima squadra e a quell’età i giovani avrebbero bisogno di un campionato vero in cui abituarsi a sopportare la pressione del risultato da ottenere a tutti i costi – sostiene Raffaele Novelli, ex tecnico della Primavera del Genoa e soprattutto veterano della Lega Pro, categoria che più delle altre muterebbe volto con la nascita delle seconde squadre -. Guardiamo per esempio alla Svizzera, dove le formazioni B esistono da anni e sono di grande aiuto alle prime squadre. Questi giovani avrebbero bisogno di un campionato di formazione nel vero senso della parola». «Le società di A – prosegue Novelli – dovrebbero allestire rose composte da ragazzi della Primavera e da elementi della prima squadra rimasti ai margini o al rientro da infortuni, iscrivendole ai campionati di Prima e Seconda Divisione (ex C1 e C2, ndr). Anche la stessa Lega Pro ne uscirebbe rinforzata». D’altro canto, Fabio Montecalvo, creatore del progetto “Young World Football Players” per il reclutamento di promesse in Italia e Brasile, è più cauto: «Il campionato Primavera fa parte della nostra tradizione calcistica ed ha sempre funzionato in quanto torneo competitivo. Ma, volendolo migliorare, si potrebbe pensare ad un girone di sole squadre B in Lega Pro, per poi mettere di fronte le prime classificate di questo raggruppamento e le prime classificate dell’altro, quello composto da tutte le altre società, per la promozione in serie B». Chi invece è più che contrario a questo progetto è Fabio Lupo, ex direttore sportivo del Torino e l’anno scorso responsabile del settore giovanile della Sampdoria: «Le riforme vanno contestualizzate, perché per la nostra cultura il Campionato Primavera è la soluzione migliore. Alle formazioni Primavera, inoltre, possono ora accedere soltanto i giocatori di 17 e 18 anni, eccezion fatta per tre fuoriquota di 19 anni e per un altro fuoriquota di età anche superiore. Perciò le squadre sono state ringiovanite ed è stata trovata la formula giusta».

Punto secondo: i costi di una squadra B o di una formazione del torneo-riserve sarebbero sostenibili? «Una squadra di questo genere – ammette Montecalvo – avrebbe qualche costo in più rispetto ad una Primavera, ma porterebbe un guadagno da non sottovalutare». Quale? Molto semplice: poter mandare un giovane in una squadra B significherebbe averlo sempre “a casa”, tenerlo sotto la lente di ingrandimento più facilmente e – soprattutto – non costringerebbe le società a cercare sul mercato squadre dove mandare i propri giovani a fare esperienza. «E – sottolinea ancora Montecalvo – il giocatore si sentirebbe parte integrante del club di appartenenza». Mister Novelli è d’accordo con Montecalvo in materia di costi: «Come in parte avviene già adesso, si potrebbe dividere la Lega Pro in gironi Nord e Sud così da evitare spese ingenti per gli spostamenti dovuti alle trasferte».

Il nostro sistema è dunque migliorabile ma siamo sulla buona strada, come spiega ancora Fabio Lupo: «La media-età delle Primavere è già stata abbassata e il numero di fuoriquota è stato ridotto. Il ringiovanimento generale, inoltre, è in linea con quello messo in atto negli altri paesi europei». In un momento di crisi economica, però, il nostro campionato dovrebbe in un certo senso ispirarsi a quelli dell’America Latina, dove i giovani vengono lanciati nelle prime divisioni nazionali già all’età di 16-17 anni. Secondo Montecalvo, infatti, «dovremmo osare di più, provarli in serie A già diciottenni». Come ha fatto Novelli, che nel suo Barletta ha «schierato i giovani del vivaio in Coppa Italia per abituarli a palcoscenici più importanti». E soltanto in questo modo, prendendosi tutti i rischi del caso, si potrà valorizzare la propria “merce” e ripartire.

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