Settanta centesimi in tasca. Famiglia, italiana, povera

Confcommercio: 615 nuovi poveri al dì

«Non siamo poveri, ho sempre qualcosa nel piatto. Mangiamo anche troppo», dice una signora sulla settantina con gli occhiali rotondi. «Pensa, nel ’67 pesavo 38 kg, ora 65», dice un’altra con la berretta fatta all’uncinetto seduta sul sedile di fianco. Sono le 10:30 di un giovedì mattina. Sul pullman che porta a Baggio, periferia di Milano ci sono pensionati con le borse della spesa. Il supermercato coi prezzi migliori è fuori dal centro e si va a comprare pane e latte con la 63, «ché questa fa tutte le fermate del quartiere». Chissà, forse è il quotidiano aperto sulle ginocchia ad aver acceso la discussione.

Il pullman ferma e una signora con la pelliccia si prepara a scendere. Ha un buco sulla spalla. Ai piedi mocassini di finta pelle, che stridono con quella pelliccia lunga fino alle caviglie. Ci sarebbe anche Paola sul bus, che di anni ne ha 35. Ma in tasca le sono rimasti 70 centesimi e anche per oggi niente spesa. Fortuna che i figli pranzano a scuola. Lei e il marito possono «scusare con dei cracker».

Eccola qui l’Italia del 2013. Sulla corriera della periferia milanese trovi tutte le statistiche uscite a raffica nell’ultima settimana. C’è il salto, brusco, fatto da quando si stava male e si pesava 38 kili al benessere degli ultimi anni. Ma ci trovi anche la pelliccia bucata e il mocassino di plastica, e capisci che quel benessere si sta lentamente sfibrando, fino a lasciarti senza più soldi in tasca. «Il 65% delle famiglie italiane valuta che il proprio reddito è inferiore al necessario», dice asettica Bankitalia. 65 per cento, due su tre.

Paola ha 35 anni. Tre figli e un marito di 36 anni che a luglio ha preso l’ultimo stipendio. Lavorava per una cooperativa e prendeva 1300 euro al mese. Con quei soldi ci vivevano, relativamente bene, in cinque. Anche perché fino al 2008, prima che arrivasse Davide, il figlio più piccolo, hanno sempre lavorato in due.
«Ai miei figli non è mai mancato nulla», dice Paola con due occhi grandi e neri che non si sono ancora arresi. E che ridono anche, talvolta, perché «coi bambini devi stare su per forza».

Abitano a Baggio da cinque anni, da dicembre non pagano più affitto, né le bollette, né la retta della scuola materna di Davide. Nel frigorifero hanno delle uova, il latte, una confezione di besciamella e una di pelati. Come cambia la vita quando si perde lo stipendio? La risposta la trovi lì, alla luce fredda del frigo, il simbolo del boom economico. «I miei figli lo aprivano e prendevano quello che volevano. Ora guardano e dicono: “mamma ho fame”». Cosa rispondi? «Non ho avuto tempo di fare la spesa». A quattro, sei e undici anni puoi ancora coltivare un’illusione. Paola e Mirko ce la mettono tutta perché «non sappiano niente».

«Non ricarico il telefono, non compro vestiti né le sigarette – con 2 euro e 50 del pacchetto da dieci prendo cinque litri di latte – e non porto più i miei bambini nemmeno al Mac», spiega con calma Paola. Le scorgi un velo di tristezza, in quegli occhi grandi, solo quando indica la cucina, muove le mani e ti  dice, con la voce bassa, che la cosa che le manca più di tutte è poter preparare una cena vera, da portare in tavola con un po’ di soddisfazione.  

Aspetta da settimane che arrivi il fondo chiesto alla Caritas di Baggio. Riceve già la spesa (pasta, riso, caffè, zucchero e latte. E a volte anche il Nesquik, alleato fondamentale perché Davide, quattro anni, non sospetti di nulla). Ci va tutte le mattine in Posta a vedere se arrivano le 400 euro mensili che le hanno promesso. Inserisce la carta di credito e controlla il saldo. Niente nemmeno per oggi.

Nel frattempo spiega minuziosa di che cosa vive. Non la cassa integrazione del marito, che ha perso il lavoro in tronco dopo che la cooperativa lo ha messo in malattia per sei mesi, «perché c’era poco da fare». Sei mesi e un giorno, «così poi lo hanno potuto licenziare». Mirko lo ha capito troppo tardi. A dicembre è arrivata la liquidazione di 800 euro, finita in due settimane per pagare luce, gas e l’ultimo affitto. 
Non di un aiuto dai genitori. «Nella mia famiglia siamo in tre», dice Paola, «mio fratello ha tre figli piccoli, mi sorella un mutuo, l’altra l’affitto e due figli. Non mi possono aiutare, e la famiglia di mio marito nemmeno». 

E allora si galleggia con l’assegno «tre minori», pagato dall’Inps alle famiglie con tre figli minorenni e redditi bassi: «850 euro due volte l’anno, luglio e gennaio», specifica attenta Paola, che le date ce le ha tutte stampate in testa e te le ripete finché non le annoti per bene, perché sono le certezze a cui sta aggrappata. C’è la dote scuole della regione Lombardia: 190 euro all’anno. «Me l’ha suggerita una mamma fuori da scuola, con quella ho fatto la scorta di penne, quaderni e libri». E tra poco, si spera, arriveranno le 400 euro della Caritas. Nel frattempo Mirko è andato al sindacato per cercare di avere la mobilità in deroga. E aspetta anche lui. 

Tutti i giorni Mirko e Paola escono con i curricula in mano. Vanno nelle agenzia, nei centri per l’impiego. Mandano il cv da Internet, quello della biblioteca che è gratuito. L’ultima tappa in un centro di via Fleming. «Possiamo fare qualsiasi cosa: magazziniere, cuoco, io posso fare le pulizie», dice lei, «l’ho già fatto a 14 anni quando ho smesso di andare a scuola e mia mamma mi ha detto che non mi teneva a casa a fare niente anche se potevamo permettercelo», dice.

«Quando lei e mia sorella vengono a trovarmi mi lasciano qualche soldo e vado subito a comprare la carne», racconta. Questa sera in tavola metterà ancora pasta al pomodoro, «ma va bene per ora, finché c’è scuola e i bambini in mensa mangiano un po’ tutto. Non si sono ancora ammalati quest’anno, vuol dire che la dieta è bilanciata».
Paola invece questa notte si sentiva un po’ di febbre. 

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