Viva la FifaSolo la Juve ora può perdere questo scudetto

Un'orrida Inter cade in casa con il Bologna: è ora di pensare alla prossima stagione

Se vinci al 90° con il gol di una riserva nel giorno in cui la tua diretta concorrente prende due pere in trasferta, diciamo che puoi cominciare a fare spazio per lo scudetto anche sulla maglia del prossimo anno. Non si tratta di voler fare i menagrami: la Juve si sta avviando verso il suo secondo scudetto consecutivo con Antonio Conte in panchina. E certi segnali sono inequivocabili, vedi alla voce gol all’ultimo minuto. Soprattutto quando si ripresenta il solito problema: la crisi sottoporta. Chiariamo un concetto: se c’era una squadra che doveva vincere tra Juve e Catania, è la prima. Basterebbero i numeri, dal 63% di possesso palla ai 13 tiri in porta, passando per l’82% di passaggi azzeccati.

Ma se da una parte i bianconeri possono solo perderlo questo campionato, dall’altra il match contro la squadra di Maran ha evidenziato due aspetti sui quali Conte dovrà lavorare il prossimo anno per rendere la sua Juve una macchina ancora migliore. Il primo, come detto, è la questione attaccanti. Se resta Vucinic (che anche ieri si è mangiato un gol, la prossima volta pare scenderà in campo con le posate), allora Giovinco può cercarsi un’altra sistemazione. Pochi gol molti errori, diversi mugugni del pubblico: non è una gran stagione per l’ex Parma, che guardacaso si esalta nelle squadre medio-piccole, dove un’intera squadra gioca per lui. Alla Juve è diverso e in quel ruolo in attacco da giocatore che lavora di sponda o ti tira fuori il colpaccio c’è già il montenegrino a rubargli spazio. Alla Juve serve una vera prima punta: è l’ormai noto teorema del top player. E poi ci sono le fasce. Che in un 3-5-2 sono fondamentali. A destra Licthsteiner e a sinistra Asamoah corrono come trattori, ma con i piedi non ci siamo granché. Il ghanese poi non sta attraversando un gran periodo, ma il fatto che sia fuori forma per colpa della Coppa d’Africa è in realtà un falso problema. Fateci caso, Asamoah in partita fa sempre la stessa cosa: corre verso il fondo e poi si gira e rigira la palla sul destro. Prima o poi gli avversari capiscono.

La partita dell’Inter contro il Bologna è finita al minuto 25 del primo tempo. Gargano si ritrova a centrocampo con la palla tra i piedi e non sapendo che farsene la calcia in aria alla ‘viva il parroco’ (o alla ‘carlona’, fate voi). La curva sud, che fino a pochi secondi prima aveva gonfiato il petto per il compleanno numero 105 della Beneamata, ruggisce di rabbia. Sono fischi i cui acuti ti entrano dritti nelle orecchie, ti passano dal cervello e come una scarica elettrica vanno giù fino ai piedi, ma ci vuole un po’ prima che si disperdano. Si accumulano nelle gambe dei centrali di centrocampo nerazzurri, dispersi senza una direzione come naufraghi. Continuano a ronzare nelle orecchie di Schelotto, che era convinto di sentire ancora applausi e gloria dopo il gol nel derby. Ma soprattutto, aleggiano attorno a uno Stramaccioni che vorrebbe ma non può: vorrebbe imporsi e magari sbattere fuori un Guarin che nel primo di giocare non ha granché voglia, ma non può farlo perché non ha alternative in quel ruolo.

Eppure, sulla carta stavolta Strama non aveva sbagliato formazione: 4-4-1-1 con il giovane e rampante Benassi titolare sul centrosinistra a contenere le salite di Alvaro Pereira, Schelotto a destra con Zanetti a guardargli le spalle, Palacio unica punta a fare da sponda per gli inserimenti di Guarin. Un modulo scelto per abbassare gli esterni larghi del Bologna, che Pioli disegna per la notte di san Siro con un 4-2-3-1. Peccato per l’Inter che i rossoblu giochino a memoria e non siano venuti per difendere. La notte di Londra è stata chiara: se attacchi l’Inter da subito, va in barca. Dopo 10 secondi Diamanti esordisce con un tunnel e passato un minuto il Bologna ha già sfiorato lo 0-1. I due esterni non…esternano né in fase offensiva né in quella difensiva e in mezzo Guarin è svogliato. Aggiungi Cassano in panca e i fischi che ti restano nel naso e anche nella gola e il gioco è fatto. Fischi che – per rassegnazione – non arrivano al gol di un Gilardino lasciato solo in area libero di colpire. Un gol arrivato nella ripresa, quando Stramaccioni ha messo Guarin sulla fascia e dentro Cassano (che nel frattempo si spalmato il bostik sugli scarpini, vedi lo stop su lancio di Ranocchia). Ma non basta. Non bastano i cambi di modulo, gli esperimenti, il credere che l’orgoglio salvi sempre tutto. Alla Pinetina farebbero meglio a smettere di pensare al terzo posto e a ragionare sulla prossima stagione. Cominciando a rivedere certe scelte di mercato quantomeno bizzarre.

Chiedetelo al Milan, che di scudetti a Verona ce ne ha lasciati addirittura due. Ieri il Napoli ha tolto dallo scudetto una mano e mezza. Contro un Chievo organizzato e arrembante nel primo tempo e chiuso ad arte nel secondo, la squadra di Mazzarri è apparsa quasi rassegnata. Lo si è visto nella disorganizzazione in campo, inusuale per un tecnico che della tattica ha spesso fatto il punto forte. Usuale è invece l’avvio lento del Napoli, che però non riesce a trovare la quadratura e va sotto la doccia sotto di due reti. Cosa non funziona? Due problemi sono sotto gli occhi di tutti. Il primo è la fragilità mentale degli azzurri, che quando c’è da fare risultato si accasciano: con la Juve così lontana e il Milan con il fiato sul collo, le ultime 10 gare di serie A rischiano di diventare un campo minato, soprattutto se soffri la marcatura asfissiante di una provinciale e vai in confusione, producendo tanto possesso palla (70%), numerosi passaggi (538) ma mandando tutto a vuoto per la disorganizzazione. Il secondo è la sterilità di Cavani, che non segna dal 27 gennaio a Parma. L’uruguaiano ne risente, vedi il rigore sbagliato, ma se non gira è perché dietro c’è un Hamisk troppo altalenante come prestazioni nelle ultime gare. Peccato che la squadra si appoggi tutto su questo asse, visto che Pandev e Insigne hanno segnato 7 gol in due. E così, anche per il Napoli, vedi Verona e poi muori. Sportivamente, sia chiaro.