Twitter: Grillo & Berlusconi, vittoria in 140 caratteri

Abbiamo analizzato 3.027 tweet dei politici

Le elezioni politiche del 2013 hanno mostrato la forza della Rete come canale di comunicazione alternativo alla televisione. È stato possibile verificare come sia difficile eseguire previsioni di voto a partire dalle conversazioni sui social media e sui blog: gli esiti del voto sono apparsi imprevedibili anche per i meccanismi di sondaggio tradizionali. Tuttavia la capacità di divulgazione e di reclutamento di elettori da parte di Grillo è passata attraverso le piazze virtuali della rete e attraverso quelle fisiche delle città: la dissoluzione del bipolarismo degli ultimi vent’anni è anche l’effetto della decisione assunta dal Movimento 5 Stelle di disertare in blocco tutti i canali di comunicazione tradizionali.

La frattura si è compiuta attraverso la contestazione dei dispositivi di costruzione dell’autorevolezza messi in opera dai media broadcasting, come la televisione o i giornali, in favore di un nuovo meccanismo di costruzione del consenso che si fonda sull’armatura ormai nota dell’informazione in Rete: Grillo ha saputo orchestrare con l’aiuto di Casaleggio tutte le opportunità di dialogo online, orientando l’attenzione del pubblico sui temi trattati nel blog, aprendo un dibattito fatto di commenti guidati dai post, e divulgando sui social media i contenuti con la fedeltà della replica esatta assicurata dalla catena dei Like e dei retweet.

Abbiamo analizzato i 3.027 tweet inviati tra il primo e il 23 febbraio dai leader dei movimenti politici più importanti nel panorama italiano: Bersani, Belusconi, Grillo, Monti, Maroni. La scelta di Twitter è motivata dall’attenzione che la piattaforma di microblogging ha ricevuto negli ultimi mesi, diventando il social media più di moda del momento, e dall’adesione che ha ricevuto di conseguenza sia da parte dei politici, sia da parte delle testate giornalistiche. Per lo più i professionisti dell’informazione hanno interpretato i tweet come un canale ufficiale di comunicazione da parte dei politici, da citare e commentare. L’interesse mostrato per l’ambiente digitale dai candidati emerge già dai numeri della loro produzione: i 3.027 micro-post si ripartiscono nei 992 inviati da Berlusconi, 972 da Grillo, 543 da Monti, 358 da Bersani, 162 da Maroni.

Occorre riservare una riflessione al modo in cui i candidati hanno scelto di ingaggiare il loro pubblico, utilizzando come tema di comunicazione le discussioni già presenti in rete. In particolare Grillo e Berlusconi sono stati campioni del retweet, rispettivamente con 783 e 267 messaggi ripubblicati (nel caso di Grillo si tratta di circa l’ 80%); li segue Maroni in grado di attivare un contatto diretto con la base (77 retweet), pur in assenza di contenuti. Il canale di Bersani ne è completamente privo (2 su 368 messaggi), e questo contribuisce alla percezione di un dialogo sfocato senza un pubblico reale cui indirizzarsi. Il proliferare di messaggi ripubblicati nel canale di Monti (77 su 162) ne evidenzia per assurdo l’autoreferenzialità: tranne due casi, tutti i retweet provengono da @scelta_civica. Grillo spicca tra tutti per la capacità di sovrapporre la sua voce a quella della base, tanto da far percepire il dialogo uno-molti, proprio della politica in Twitter, come un concerto di intenti comuni.

Berlusconi e i tweet anti tasse

I messaggi comunicati da Berlusconi appaiono chiari nell’analisi semantica dei testi pubblicati. Il sintagma più ricorrente è «l’imu», che ricorre 77 volte nei suoi tweet, seguito da «la sinistra» 36 volte e «prima casa» 22 volte. La frase «ci impegniamo a restituire ai cittadini l’imu» torna 14 volte, mentre «il governo delle tasse» appare 13 volte, in riferimento ai nomi di Monti, Casini e Fini che affiorano 12 volte. Il mantra è chiaro e adeguatamente ribadito: il focus della campagna elettorale è il tema della pressione fiscale sugli italiani, che devono essere tutelati anche con un’«Equitalia giusta» (11 volte). La struttura della comunicazione su Twitter di Berlusconi quindi è chiara, semplice e adeguatamente ripetuta: le tasse sono troppo care, l’Imu è invisa agli italiani e il suo futuro governo si impegna a restituire ai cittadini l’importo che hanno versato. Per essere gratificati da questa visione del futuro occorre seguire i proclami del Cavaliere tutti i giorni da qualche parte sui canali tradizionali broadcasting, televisione e radio.

Il messianismo “anti casta” di Grillo

La campagna di Grillo è ancora più semplice, perché è composta da due promesse e da un invito. La prima promessa riguarda l’interazione del Movimento 5 Stelle con le altre forze politiche e i loro rappresentanti: «tutti a casa» (ripetuto 46 volte) sarà l’esito del successo dell’impegno di Grillo, tanto che parlamentari e ministri del passato «hanno paura» (10 volte) del fatto che «apriremo il parlamento come una scatola di tonno» (8 volte). La seconda promessa è il «reddito di cittadinanza», la cui invocazione torna 12 volte, perché «nessuno deve rimanere indietro» (11 volte). 

L’invito invece è rivolto direttamente ai sostenitori del movimento e in generale a tutti i cittadini, e si concretizza con la richiesta di andare «in piazza» (60 volte), o a considerare «la piazza» (30 volte) come il centro vitale del dialogo politico. «La gente» (23 volte) è convocata da una investitura quasi cristologica: «Spargete il verbo» è richiesto 25 volte. Solo per la chiusura della campagna è possibile ammettere una forma di mediazione tra la partecipazione diretta in piazza e la permanenza a casa: «Collegatevi alla diretta» viene richiesto 33 volte, «collegatevi ora» altre 10 volte, e «seguite a casa» altre 10. Il luogo principale di Grillo rimane il web, e il leader del movimento è consapevole di averne conquistata l’attenzione, perché «la Rete è dello TsunamiTour» (9 volte). Insomma se Berlusconi si preoccupa dei social media per spostare l’attenzione degli utenti verso televisione e radio, Grillo vuole che il discorso prosegua nel contatto diretto delle piazze. I concetti della campagna sono costituiti da sostantivi ribaditi fino al parossismo, con una riferimento denotativo senza rischio di ambiguità: imu, tasse, prima casa, reddito, cittadinanza. I due verbi che compaiono sono «restituiremo» per Berlusconi, «apriremo» per Grillo. 

La “nebbia” digitale di Bersani

Cosa ha fatto invece Bersani? Dei concetti che devono esprimere la missione del leader del Pd è chiara solo l’etichetta generale: «italiagiusta» viene ripetuto 156 volte. Tutto il resto è immerso nella nebbia. «Il lavoro», «il Paese», «la crisi», la «banda larga», «Palermo», le «piccole opere», «Napoli», l’«Europa», la «Calabria», «Cagliari», vengono ribaditi tra le 5 e le 9 volte, senza una gerarchia evidente delle nozioni nel discorso. Luoghi e idee si succedono senza che il focus venga collocato in nessun centro chiaro di promessa o di invito. Come dicono gli esperti di marketing, manca la call to action

Monti troppo sporadico e indiretto. Monti invece prova a tracciare un percorso che emerge dalle nozioni più frequenti: la «politica» (33 volte) in questo «Paese» (32 volte) deve assicurare la prospettiva di un «lavoro» (31 volte) ai «giovani» (28 volte), per lasciare a loro una speranza per il «futuro» (21 volte), o perché i giovani sono il futuro dello Stato (21 volte). Probabilmente questa impostazione permette di comprendere il relativo successo conseguito dalla compagine elettorale di Monti nel pubblico più giovane, che avrebbe apprezzato la proposta del Professore in un ordine percentuale più che doppio rispetto alla media complessiva. Per converso, Monti ha fatto sentire la sua voce su Twitter secondo ordini di grandezza equivalenti alla metà delle pubblicazioni sia di Grillo, sia di Berlusconi, e ha affidato le promesse di azione a un insieme di operazioni definite Agende: «Agendalavoro» compare 16 volte, «Agendadonne» 13 volte, «Agendadigitale» e «Agendascuola» 5 volte. In sostanza, la comunicazione di Monti su Twitter si rivolge a una nicchia di pubblico che deve essere disponibile a seguire un’analisi sostenuta da una catena di concetti meno immediati rispetto a quelli divulgati da Berlusconi e da Grillo, e con un impegno che non si sintetizza in promesse chiare, ma che rinvia ai programmi descritti dalle varie Agende. I veri avversari che Monti individua alla sua prospettiva politica sono d’altra parte i nomi più citati nei tweet: Berlusconi 20 volte e Grillo 13 volte.

L’efficace ossessività nordista di Maroni

 Il leader leghista Roberto Maroni si è impegnato a sua volta in una campagna elettorale limitata entro i confini territoriali della sola Lombardia. Le parole d’ordine sono state «PrimaIlNord» (la vera e propria etichetta della campagna, ribadita 25 volte), e «macroregione», su cui si è insistito 13 volte. L’unità amministrativa dell’Italia Settentrionale è tornata a occupare il focus della comunicazione leghista, lasciando in secondo piano anche il tema delle «tasse» (10 volte) e la missione assegnata al leghista di buona volontà, «adotta un indeciso» (6 volte). Se l’identità e l’autonomia del Nord si ricostituiscono come la promessa essenziale, rimane spazio soltanto per elencare i nemici di questa missione: «Ambrosoli» (26 volte), «Monti» (24 volte), «Bersani» (19 volte), la «sinistra» in generale (11 volte).

Il riassunto in 140 caratteri

Dalla prospettiva di visibilità aperta da Twitter, la campagna elettorale è stata condotta su sostantivi e non su verbi: su stati di cose e non su azioni. I successi più clamorosi sono stati conseguiti dai personaggi che hanno individuato le parole chiave più semplici e concrete possibili: Berlusconi ha parlato del peso delle tasse, Grillo ha insistito sul peso della casta politica; entrambi hanno promesso di eliminare il problema. Entrambi inoltre hanno richiesto un’azione da parte degli interlocutori per aiutarli a compiere la loro missione: Berlusconi ha chiesto di accendere televisori e radio, Grillo ha chiesto di spegnerli e scendere in piazza. Promessa semplice e call to action d’altra parte sono da sempre gli ingredienti centrali del ricettario marketing. Bersani non ha proposto alcun concetto chiave e non ha indicato al pubblico alcuna azione utile per sentirsi coinvolti; Monti ha dichiarato la sua preoccupazione per il futuro dei giovani, ma non ha sintetizzato la sua analisi in slogan riciclabili e ha escluso il contributo collettivo dalla gestione delle Agende, che invece rimangono una responsabilità soltanto dell’élite amministrativa.

La vittoria digitale di Grillo e Berlusconi

Più in generale Berlusconi, Grillo e anche Maroni consolidano il senso di appartenenza dei sostenitori che guadagnano alla loro causa con l’antagonismo di un “noi” e di un “loro” facilmente individuabile: per Berlusconi “loro” impongono tasse troppo pesanti, per Grillo “loro” sono una casta di politici incapaci e corrotti, per Maroni “loro” si oppongono all’autonomia e alla ricchezza dell’Italia Settentrionale. Anche Monti ha cercato di fare suo questo meccanismo di identificazione tramite la contrapposizione all’Altro, che si configura però come il sostenitore di una concezione populistica della politica: il perimetro è tracciato con nozioni più complesse, e comunque non viene indicato agli interlocutori in che modo possano attivarsi per abbattere il nemico.

Se quello che avviene su Twitter sia un dialogo, non è facile da giudicare. Ma occorre di sicuro riconoscere a Grillo e a Berlusconi di aver cercato i loro interlocutori, di averli individuati e di aver stipulato con loro un contratto enunciativo chiaro ed efficace. Questa capacità invece è mancata a Monti e Bersani. Non è una base molto precisa per compiere delle previsioni di voto, ma spiega abbastanza bene il motivo per cui Pd e Monti siano riusciti a perdere il contatto con un pubblico che sembrava disposto a consegnare loro il compito di guidare il Paese per i prossimi cinque anni. Invece, il compito a casa è tornato quello di imparare a comunicare. E per tutti, finalmente, di avere qualcosa da dire.
 

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