“A rischio non è l’euro: ma tutta l’Europa”

Il dibattito

Nei tempi bui dell’Europa le speranze che brillano sono poche. I rammarichi, invece, parecchi. Secondo Lucio Caracciolo, giornalista ed esperto di geopolitica, direttore della rivista Limes, il problema non è tanto il futuro dell’euro, ma quello della tenuta dell’Europa stessa. Che non finisce a Cipro, come in tanti temono, ma non è nemmeno stata aiutata dalla creazione di una moneta senza stato. Un battesimo, dice, che non ha giovato – per i tempi e i modi con cui si è sviluppato – a tutto il continente. Al momento, le soluzioni sono poche.

Io comincerei dalla questione più importante: come se ne esce?
Eh, la soluzione ottimale sarebbe un governo democratico europeo, o dei paesi dell’eurozona. Questo sarebbe l’ideale: il problema è che non ha seria sostenibilità politica. Per cui si continuerà in questo modo, seguendo una china che non risolverà i problemi e che anzi rischia di aggravarli.

Distruggendo l’euro.
Il rischio più grande è che distrugga l’Europa. Il processo nasce da lontano: battezzando una moneta senza stato si sperava che attraverso la finanza si sarebbe costruita un’unità europea. Ecco, non è andata così. Al contrario, adesso si rischia che l’unità europea venga messa in discussione, non solo a livello politico ma anche a livello culturale: vediamo che si sta creando tra gli stati un sistema di diffidenza reciproco. Cade la fiducia, e questo è molto grave.

In molti sostengono che, in fondo, il problema sono i tedeschi.
La Germania è accusata di imporre misure di austerity che stanno offuscando l’economia degli altri paesi, soprattutto in un momento in cui una politica di questo genere – data la crisi e la recessione – si dimostra distruttiva. È questo è un dato di fatto: la responsabilità della Germania. Ma c’è anche un altro dato di fatto: che negli altri paesi c’è disponibilità. Accettano questa logica. È una forma di corresponsabilità e, insieme, di incapacità di elaborare e costruire politiche alternative. Intento politiche economiche, ma anche politiche in sé. In questo modo, vengono tenute insieme realtà diverse: nella medesima impostazione economica, che è nordica, ci sono anche paesi mediterranei. Ed è evidente che sono incompatibili. Il rischio allora, come dicevo, non è che salti l’euro, ma che salti l’Europa e che tutto il capitale di fiducia accumulato dalla Seconda Guerra Mondiale in poi venga dilapidato. Il problema è proprio quello: la fiducia. Sta venendo meno. E anche da fuori (gli Stati Uniti, per esempio) ci guardano con grande preoccupazione. La fine dell’Europa non sarebbe solo un disastro per l’economia di tutto il mondo, ma anche per la sicurezza. Dal punto di vista geopolitico, cambierebbe equilibri e rapporti di forza. Per questo occorre che tutto

E quindi l’Europa finisce a Cipro?
No, l’Europa non crolla certo lì. È però un caso rivelatore, forte e simbolico. Ma non può abbattere il sistema. Il caso limite non è neppure la Grecia. Dimostrano piuttosto di avere un certo potere negoziale. Il problema, quello vero, è l’Italia.

Cioè?
Per ora l’Italia va avanti grazie a una tenda di ossigeno garantita dalla Bce. Ma fino a quando? Di fatto, non ha un governo e nemmeno una possibilità di alternativa politica. Esegue decisioni altrui, imposte da sopra. E Mario Draghi ha guadagnato tempo: può sostenere l’Italia, ma lui da solo non ha potere politico. Ma rimane comunque un paradosso: l’Italia non ha un governo, ma anche se lo avesse le possibilità di scelta sarebbero limitatissime. Forse solo con un governo Grillo si potrebbe fare qualcosa di diverso. Ma la strada, in realtà, è obbligata per chiunque si troverà all’esecutivo. I vincoli sono tali da annullare grandi spazi di manovra: la partita si gioca altrove.

E il futuro, aggiungerei, è molto grigio.
Direi nero.  

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