Fu il collante dell’Assemblea costituente, la chiave di volta degli anni ’70 quando Pci e Democrazia cristiana provarono ad avvicinarsi per uscire da una fase di stallo. Oggi è sempre più maltrattata. Sinonimo di inciucio e malaffare. I politici si guardano bene dall’usarla e al limite, in sua vece, scelgono «accordo», «patto». Giancarlo Bosetti ci accompagna nella storia di una parola che fu, un tempo, nobile. «Compromesso».
Compromesso: una parola guastata?
Non si è guastata la parola in sé, ma i contraenti. Basta tornare alle origini della nostra Repubblica per capirlo.
Ci spiega meglio?
Alla fine della guerra la nostra Repubblica nacque da un eccellente compromesso tra democratici, socialisti, comunisti, liberali e monarchici. Posero fine alla Resistenza e riuscirono a stendere una costituzione nonostante l’enorme distanza tra le parti. E ciò fu possibile solo perché ciascuno di loro accettò di mettere da parte le proprie preclusioni ideologiche. E alla fine trovarono un accordo.
Perché fu possibile allora e oggi no?
Perché ciascuna di quelle parti aveva chiari in testa gli obiettivi massimi, la visione d’insieme. C’era in tutti il senso della urgenza e della priorità, che era quella di far uscire dall’Assemblea un’Italia democratica, con delle istituzioni, in una situazione catastrofica. Proprio quello che manca oggi.
È la stessa cosa che accadde più tardi, con Berlinguer e il “compromesso storico”?
Esattamente. Che si condivida o meno la politica di quella stagione, non si può negare che entrambe le parti, Moro e la Dc da un lato, Berlinguer e il Pci dall’altro, avevano degli obiettivi chiari, una identità ideologica facile da individuare. Ed entrambi seppero prendere posizione rispetto ai puristi del partito, rinunciando allo loro istanze. Il compromesso buono è sempre doloroso perché comporta rinunce, ma sono fatte sulla base di una valutazione dei propri obiettivi maggiori, e con la consapevolezza che mantenere l’integrità della propria ideologia è impossibile.
Come si arriva al compromesso=inciucio di oggi?
Siamo precipitati nella trattativa tra soggetti con idee confuse. Non c’è chiareza sugli obiettivi ultimi e sulle identità. Nemmeno sulla dose di rinunce che ciascuno è disposto a fare per trovare l’accordo. Tutto è poco chiaro. L’unica cosa evidente è il perseguimento del potere fine a se stesso. Così dire «inciucio» è dare un giudizio negativo ai contraenti.
Perché manca oggi la capacità dei partiti di definire i propri obiettivi, di renderli comprensibili?
Perché non c’è il coraggio di annunciare con chiarezza scelte difficili. Perché sono scelte che erodono la base elettorale. E allora ci si rifugia nella retorica, nel dare la colpa agli altri. Si mettono davanti le ostilità politiche e ideologiche per tamponare il deficit elettorale. Così il Pd scarica la colpa su Berlusconi, Il Pdl rinnova la retorica anticomunista. Anche se ci sono spinte riformiste all’interno di ciascuno dei principali partiti, vengono soffocate.
Fu l’intuizione di Monti, questa. Quella di vedere il potenziale riformista sparpagliato nei vari schieramenti e di provare a scomporli per rimetterli insieme in un modo che permettesse di farlo emergere. Solo che poi non ha saputo perseguire l’obiettivo.
Anche nel caso di Monti c’è stato un deficit di chiarezza nell’unirsi a Fini e Casini, tanto da far parlare di inciucio?
Con quella scelta Monti ha rimpicciolito la sua dimensione, non ha dato un tracciato chiaro.
E i grillini?
I grillini ricorrono invece alla semplificazione, scaricando la colpa di quel che non va su un “branco di politici incapaci”, degli “psicopatici”, come li chiamano. Ma è una semplificazione infantile dire che via i vecchi politici, tutto andrà per il meglio. Ci sono problemi in Italia frutto di complessità che non si possono liquidare così.
Proprio il Movimento 5 stelle si è dimostrato il meno disponibile a compromessi, in nome di integrità e purezza di programma. In nome anche di una “nuova democrazia”…
È una delle tante cose che dimostrano che il movimento di Grillo non è garanzia di democrazia. Perché non si capisce bene cos’è, e anche gli obiettivi ultimi sono confusi. E questo si aggiunge a inesperienza, mancanza di cultura istituzionale, estrema volgarità.
Compromesso e democrazia vanno allora di pari passo, come ci ricorda lo Spiegel tedesco?
Assolutamente. C’è una relazione imprescindibile tra le due cose. La democrazia è un sistema deliberativo, fondato sulla discussione tra parti che sostengono tesi diverse. Attaverso la discussione si mette a fuoco la possibilità di un accordo. O la possibilità di formare minoranze e maggioranze sulla base di scelte da fare. Niente si può mai realizzare allo stato puro. Resta invece fondamentale venire ai patti con le altre parti in causa. C’è però da dire che in Italia le cose sono viziate da un difetto di sistema.
Si spiega meglio?
Abbiamo un sistema incompleto, a metà strada verso il bipolarismo e basato su un meccanismo sbagliato che ci porta ad avere maggioranze diverse tra Camera e Senato. Questo obbliga le parti ad accordi spesso difficili. Ci sono sistemi invece, come quello elettorale a doppio turno, oppure le primarie all’americana, che scaricano parte del “compromesso” necessario sugli elettori. A loro è chiesto di scendere a patti con le proprie originarie preferenze elettorali, riposizionandosi ad esempio tra i vincitori di un secondo turno elettorale o scegliendo il più vicino alle proprie idee tra i candidati alle primarie.
Crede che un “compromesso” tra Renzi e Berlusconi potrebbe riabilitare la parola?
Direi di sì, aperto anche al centro di Monti. Perché credo che in questa situazione di stallo un accordo sia indispensabile. L’idea dura e pura di non scendere a compromessi non porta a nulla. Ma ci siano obiettivi chiari.
Giancarlo Bosetti è il direttore della rivista culturale Reset, di cui è anche socio fondatore. Insegna giornalismo politico all’Università di Roma La Sapienza.