Case per studenti, il “tesoro” dei contratti irregolari

A Firenze quattro canoni su dieci sono in nero

Carta straccia. Ecco cosa sono le montagne di annunci appesi alle bacheche delle università italiane. Da Trento a Catania, il 98% degli affittacamere non ha in mano una licenza per farlo. Affitti in nero, canoni più alti del previsto, stanze in subaffitto, appartamenti in mano alla delinquenza, più o meno organizzata: l’Italia dei 400mila studenti fuori sede è piena di insidie. Nonostante gli sforzi per ridurre sempre di più i contratti di locazione irregolari.

«Le abbiamo fatto un regalo di laurea, il ‘tesoretto’ di fine corso di studi: prima di lasciare Pavia è riuscita a rimettersi in tasca circa 1.800 euro». Tino Negri, segretario pavese del Sicet, il sindacato inquilini della Cisl, non ha la minima idea di quanti siano gli studenti nella stessa situazione di Daniela (nome di fantasia), una ragazza fresca di laurea che si è rivolta al sindacato prima di tornare a Sondrio, sua città natale.

L’ultimo semestre pagava 600 euro, anziché i 300 stabiliti per la sua tipologia di casa, nella periferia della città. Lo dice un contratto siglato tra parti sociali – sindacati inquilini e sindacati dei piccoli proprietari immobiliari – insieme all’amministrazione comunale. Fissa gli standard di locazione a seconda della zona in cui la casa si trova e delle sue condizioni strutturali. C’è a Pavia come in tutte le città universitarie d’Italia. Gli studenti non se ne interessano, soprattutto chi sa che resterà in città solo pochi mesi, così ad approfittarsene sono gli affittacamere disonesti. E Pavia s’è trasformata in una città dove si fanno affari solo quando si trattano immobili. Lo testimoniano due recenti sequestri: Green Campus e Punta est dovevano essere due nuove residenze universitarie, ma poi gli appartamenti sono stati venduti a privati nel libero mercato. Un’operazione speculativa che ha spinto la magistratura a mettere i sigilli ai cantieri.

«Non posso escludere che ci siano affittacamere disonesti – ammette Alberto Zanni, presidente del sindacato dei piccoli proprietari Confabitare – . Posso solo dire che nel nostro statuto è prevista l’espulsione per chi non segue gli accordi territoriali e non sigla contratti». La lotta alle sacche di evasione avevano portato buoni effetti, ricorda Zanni, almeno prima che entrasse in vigore l’Imu. Se con la vecchia Ici il proprietario poteva puntare sul mercato a canone concordato e non aveva spese, oggi per un appartamento a Bologna, in zona semi periferica, paga 1.100 euro di imposta, cioè due mensilità d’affitto degli studenti. Quindi il canone se lo fa da sé, per rientrare nelle spese di gestione della casa e a pagare il conto, alla fine, è lo studente.

Se per i proprietari il contratto non registrato potrebbe – in linea teorica – rivelarsi un vantaggio, per gli studenti dovrebbe essere vero il contrario. La legge che ha introdotto la “cedolare secca” nel 2011 prevede fiscalità agevolate per i locatari e per gli inquilini prezzi di canone che possono arrivare addirittura a riduzioni del 90% rispetto a quello in nero, secondo le stime di Unione inquilini. Basta che proprietario o affittuario denuncino il sommerso all’Agenzia delle entrate. Invece a Firenze, dice il Sunia, quattro canoni su dieci sono in nero e le denunce sono state cento in due anni. A Roma, poi, continua a resistere un “doppio canone”, con o senza contratto. Per lo stesso affitto si possono pagare tra i 50 e i 100 euro in meno, di media. E di questi tempi, sono tanti soldi. Ecco perché otto su dieci decidono di non registrare il contratto.

«I proprietari ti illudono, ti fanno credere che ti metteranno a posto. Lo studente è sempre sotto ricatto», spiega Clara Mascia di Link Roma, un’associazione studentesca. Solo in una decina di ragazzi hanno deciso di intraprendere la tortuosa burocrazia che porta alla denuncia. «Devi riuscire a farti intestare le utenze, devi trovare il modo di dimostrare che paghi da almeno un mese, avere un testimone che confermi la tua versione e solo a quel punto puoi rivolgerti all’Agenzia delle entrate: non è facile», aggiunge.

Alcuni studenti hanno dovuto cambiare serratura per paura di ritorsioni e si sono beccati una denuncia dal proprietario. Massimo Pasquini, segretario nazionale di Unione inquilini, sottolinea però i grandi risultati della “cedolare secca”: «Abbiamo fatto incassare all’Agenzia delle entrate due milioni di euro e gli studenti si trovano degli alloggi con canoni da case popolari». Ma allora perché finora i numeri sono ancora così deludenti? «Non abbiamo avuto il supporto del governo nel diffondere la notizia e c’è una subalternità culturale verso proprietari, con cui spesso hanno legami di amicizia».

Più ci sposta a sud, più la subalternità diventa paura. I primi due anni di università, Manlio Lomazzo dell’Unione degli studenti (Udu), abitava in pieno centro storico. Il suo palazzo era interamente messo in affitto agli studenti e i proprietari lo usavano come spazio dove smerciare droga. «In quelle circostanze non si ha il coraggio di denunciare», commenta. E gli «imprenditori dell’affitto» hanno in media tre o quattro stabili. «Riescono a dar da mangiare alla famiglia solo con i canoni degli studenti». E a Napoli non ci sono nemmeno residenze universitarie. Questo dato segnala quanto l’Italia sia indietro rispetto ai vicini europei. «L’edilizia universitaria è ferma – dice Michele Orezzi, coordinatore nazionale dell’Udu – ogni 100 studenti ce ne sono tre che abitano in residenza. In Germania sono 11, in Turchia addirittura 33. Sembra che lo Stato abbia smesso di investire per evitare di dare fastidio a certi gruppi d’interesse». Lasciando un vuoto dove gli affittacamere possono muoversi indisturbati.

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