Chi è Cécile Kyenge, primo ministro italiano di colore

Il ritratto della congolese del Pd

C’è una donna di colore, con un camice bianco addosso. Sostiene delicatamente la testa di un uomo steso a terra, gli occhi chiusi e una mascherina sul volto. Accanto all’immagine la didascalia: «Il solito immigrato protagonista di un fatto di cronaca». Attraverso questa fotografia in bianco e nero (realizzata dall’ufficio Oim di Roma per sensibilizzare sul tema dell’immigrazione, ndr) gli italiani hanno incontrato per la prima volta Cécile Kashetu Kyenge, nuovo ministro per l’Integrazione. Il primo ministro di colore nella storia della Repubblica italiana.

Classe 1964, Kashetu Kyenge, è nata a Kambove, vicino a Lubumbashi nella Repubblica Democratica del Congo. Nel 1983 arriva per studiare medicina all’università Cattolica di Roma. «Volevo fare il medico, l’ho sempre desiderato», ha raccontato alla giornalista Stefania Ragusa che, nel libro Africa qui (Edizioni dell’Arco) ha raccolto la storia di Kashetu Kyenge. Nei suoi primi anni romani studia (con voti altissimi), lavora per mantenersi e ascolta tanta musica italiana. «Nel 1983 gli stranieri erano pochissimi», racconta ancora nel libro. «Cercavo di mantenere uno sguardo positivo sulle cose e sulle persone. Anche e soprattutto se qualcuno mi rifiutava».

Il suo principale obiettivo, in quegli anni, è ottenere una laurea per poter ritornare in Congo. Per questo sceglie di specializzarsi in oculistica presso l’università di Modena: vuole dare una risposta a una concreta esigenza del Paese d’orgine, dove mancano queste figure professionali. Ma l’instabilità politica della Repubblica democratica del Congo e il fidanzato italiano Mimmo (che diventerà poi suo marito e padre delle figlie Maisha e Giulia) la convincono a radicarsi in Italia, per la precisione in una frazione di Castelfranco Emilia.

Moglie, mamma e medico che lavora in diversi poliambulatori di Modena e provincia, Cécile Kashetu Kyenge avrebbe potuto fermarsi qui. Obiettivo raggiunto. E invece no. Ha promosso e coordinato il progetto “Aifa” su sanità e salute a Lubumbashi, ha promosso il progetto “Tra di noi” per la valorizzazione delle diversità ed è attiva nei progetti di promozione della piena cittadinanza degli immigrati attraverso il progetto “Diaspora africana”. Dal settembre 2010 è inoltre portavoce della “Rete Primo Marzo”, che combatte per promuovere i diritti dei migranti e i diritti umani. Non poteva mancare la politica: nel 2004 viene eletta consigliere comunale della circoscrizione 3 di Modena nelle file del Pd per poi passare a ricoprire il ruolo di consigliere provinciale Pd nella commissione Welfare e politiche sociali e successivamente la segreteria regionale in Emilia Romagna.

Cécile Kashetu Kyenge non ama i toni urlati della politica nostrana. Quando parla, resta sempre qualche ottava al di sotto di tanti “urlatori” e agitatori di piazze. Ma non per questo le sue parole sono meno efficaci. Parla di “mixité”, sceglie con cura ogni vocabolo perché sa bene che le parole sono importanti.

Chiede con forza la chiusura dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione), da consigliere e portavoce della Rete Primo Marzo aveva duramente e a lungo contestato le criticità delle due strutture presenti sul territorio emiliano. «I tempi sono maturi per la chiusura di questa struttura – ha spiegato il 5 marzo scorso, parlando del Cie di Bologna – di cui, da tempo, lamentiamo costi ed efficacia». Nei mesi precedenti si era battuta per ottenere la liberazione di Andrea e Senad, fratelli bosniaci di 23 e 24 anni detenuti nel Cie di Modena perché i genitori avevano perso lavoro e permesso di soggiorno.

Considera una priorità la riforma della legge sulla cittadinanza e non ha mai nascosto la sua opinione in merito: «Chi nasce e cresce e in Italia è italiano», taglia corto ogni volta che si affronta l’argomento ius soli. Ma soprattutto c’è la legge Bossi-Fini, una di quelle norme che al neo ministro Kyenge piacerebbe molto riscrivere.

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