Hugo Chavez è morto, Fidel Castro quasi e Maradona si sente molto bene. I tre si sono annusati, cercati e alleati in nome di un calcio meno ricco e più popolare. Per lo sport come propaganda politica e sociale. Ora che Hugo non c’è più e Fidel sta male, tocca a Maradona portare avanti il loro programma politico congiunto, appoggiando Maduro nelle imminenti elezioni venezuelane. Nonostante viva nel caldo – e nei soldi – degli Emirati come ambasciatore dello sport, l’impegno del Pibe come animale politico non si è fermato.
In gioventù, Hugo Chavez non era appassionato di calcio. Gli piaceva molto di più il baseball, come a molti suoi connazionali in Venezuela. Una volta arrivato al potere, il bolivarista presidente di Caracas ha seguito le orme di molti suoi predecessori e ha cominciato a puntare sugli sport a dimensione globale. Calcio e motori, soprattutto. Per puntare si intende prendere i soldi del petrolio venezuelano e riversarne una parte sui campi di calcio e sulle officine della Formula Uno. Sarà perché il fratello Adelis è un calciatore. Sarà perché Pastor Maldonado i numeri per affrontare le chicanes li ha tutti. O forse perché lo sport è un’ottima propaganda. Un oppio dei popoli. Troppo mischiato con i gringos, il baseball. Meglio farsi amico un ribelle, uno scapestrato, un genio e sregolatezza. Uno che odia George Bush tanto quanto lui e che appena apre bocca si conquista le aperture dei giornali.
L’amicizia tra Chavez e Maradona è nata così. Sinistro di piede e di pensiero, al Pibe dimagrito e senza calcio serviva un megafono politico che desse seguito al tatuaggio del Che sul braccio. E chi meglio del riformista e visionario Hugo, diventato improvvisamente appassionato di calcio tanto da twittare come un forsennato commenti sulla nazionale del Venezuela durante la Copa America del 2011. Per l’occasione, nel torneo ospitato proprio dall’Argentina, Chavez guardava le partite con un altro grande amico: “Non era fuorigioco, lo ha detto anche Fidel”, cinguettò durante la semifinale persa dalla Vinotinto con la complicità dell’arbitro.
I tre amigos avevano un grande sogno: cancellare il calcio capitalistico e corrotto per rifondarlo su basi popolari. Maradona di quel calcio aveva fatto parte. Di entrambi, anzi: dalle polverose strade del suo quartiere fuori Buenos Aires era arrivato nelle piazze che contavano, piene di pubblico, soldi e chissà anche altro. Ma poco importava. Scurdammoce ‘o passat’, c’è da convincere Fidel a puntare anche sul fùtbol e non solo su baseball ed atletica. Ma Castro è malandato e Maradona a un certo punto torna a far parte di quel calcio che vuole cambiare, nientemeno che da commissario tecnico dell’Argentina. C’è da vincere il primo Mondiale in Africa. El Pibe vola a Johannesburg, il tempo di farsi eliminare dalla Germania e tornare a casa per appoggiare Cristina Kirchner in un momento di grande difficoltà per il Paese. Maradona non è solo chavista. Quando morì Néstor Kirchner, si presentò alle esequie nella Casa Rosada con Evo Morales, altro capo di stato sudamericano con la fissa del calcio e della revoluciòn. Il “Presidente con il maglione” si era addirittura inventato una partita di calcio con alcuni amici, tra cui Ahmadinejad. Al quale Maradona aveva poi regalato la sua maglia numero 10.
Perché nella politica funziona così. Se sei amico di un boliviano che è amico di un iraniano, i quali a loro volta sono amici di un venezuelano bolivarista, allora sei nemico di Bush e dei suoi amici. Se poi ha fatto gol a uno di questi, l’amicizia diventa un dato scontato. Così nel 2007 Maradona certificò davanti alle telecamere il suo legame con Chavez, raccontando nel programma da lui condotto “Ciao Presidente” cosa era successo durante e dopo la “Mano de Dios”. «Il portiere Peter Shilton era più alto di me, così quando saltammo verso la palla dovetti metterci la mano. Dopo che feci gol, dissi subito a miei compagni di esultare per confondere l’arbitro. Che infatti ci diede il gol». E giù risate. In Inghilterra non la presero benissimo, ma il nuovo sodalizio era partito. Maradona appoggiò Chavez alle elezioni del 2009. In un comizio, si presentò al suo fianco con la maglietta “Con Chavez, sì allo sport”. Chavez vinse, poi si ammalò e andò a Cuba per curarsi. Maradona partì per gli Emirati ma pensandolo sempre: “Prego per lui, lo amo”.
Nonostante i petrodollari degli emiri, il Maradona politico va avanti. In questi giorni ha chiuso la campagna elettorale in vista del voto di domenica 14 aprile, nel Paese nel quale il presidente ad interim Nicolas Maduro affronterà Henrique Capriles. Diego si è presentato ai simpatizzanti “chavisti” indossando una camicia rossa con tre scritte: “Maduro Presidente”, “Chavez comandante” e “Cristina K 2015”, riferimento quest’ultimo alla Kirchner e alle elezioni in programma in Argentina nel 2015. Sulla spalla la camicia aveva il tradizionale numero 10 da ex giocatore e la scritta “Maradona”. Dopo aver salutato i presenti dal palco, Maradona ha poi calciato dei palloni in direzione al pubblico, che lo ha accolto con un’ovazione, mentre il presentatore dell’evento sottolineava che “La ’mano de Dios’ è qui con noi”. Per fortuna che Inghilterra e Venezuela non devono incontrarsi a breve su un campo di calcio.