Alcune nazioni, è cosa nota, sono più cicale di altre. La diversa propensione al risparmio fra paesi è, fra l’altro, uno dei motivi all’origine della crisi dell’eurozona. Spesso queste differenze sono spiegate a livello storico, sociologico e culturale ma, in un recente studio – The Effect of Language on Economic Behavior: Evidence from Savings Rates, Health Behaviors, and Retirement Assets – M. Keith Chen, suggerisce che la propensione al risparmio è influenzata anche dal linguaggio.
Nella sua analisi Chen classifica le diverse lingue in base alla loro FTR (future-time reference), ovvero in base a quanto una lingua scandisce la differenza temporale fra eventi presenti e futuri attraverso le regole grammaticali. Molte lingue germaniche, ad esempio, non sono caratterizzate da una marcata FTR. Infatti, un tedesco, per poter affermare che domani pioverà può semplicemente usare il presente e dire «Morgen regnet es».
Alla base dello studio c’è la convinzione che un popolo che a livello linguistico percepisce il futuro come già presente sia più propenso al risparmio e ad altri atteggiamenti “di lungo termine”. Ad esempio è più probabile che si astenga dal fumare, che pratichi dello sport, che usi i preservativi, e che risparmi per la pensione. In particolare, nella sua analisi Chen trova che i popoli di lingua a “basso FTR” hanno il 31% di probabilità in più di aver risparmiato nel corso di un anno e, in media, al momento della pensione hanno messo da parte il 39% in più di risparmi. Non solo, questi popoli hanno anche meno probabilità di essere fumatori e di essere obesi. In altre parole, la struttura grammaticale della lingua influenza il nostro comportamento.
Chen non è certo il primo ad aver realizzato il potere logico costitutivo del linguaggio e l’influenza che ha sul comportamento. Già nel XVII secolo Locke ha sottolineato quanto il processo del pensiero sia condizionato dall’operare dei segni linguistici; nel XX secolo poi il grande Wittgenstein ha confermato la tesi per cui il linguaggio è la raffigurazione logica del mondo, spiegando che se il linguaggio esprime logicamente il mondo, così il mondo può essere “costruito” anche con il contributo del linguaggio. La celebre frase «i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo» esprime chiaramente quanto le proposizioni esprimano sempre “il come” del mondo.
Bene, ora queste teorie sono testate empiricamente e quantificate.
L’obiezione naturale è che la relazione che emerge dall’analisi derivi dal fatto che il linguaggio sia espressione delle tendenze culturali di un popolo e non viceversa, e che quindi le peculiarità linguistiche coesistono con altre caratteristiche di carattere storico-sociologico che potrebbero influenzare il comportamento (ad esempio, in Europa, i paesi con lingue di ceppo germanico – Germania e Scandinavia – sono tendenzialmente riconosciuti fra i paesi più “responsabili” anche al di là dei risultati di questa analisi).
Tuttavia Chen, grazie alla presenza di paesi multilingue (il Belgio o il Canada, per nominarne alcuni), è in grado di controllare per le variabili culturali che potrebbero incidere sulla propensione ad atteggiamenti “orientati al futuro”, e trova che l’effetto permane. Nonostante le variabili culturali siano anch’esse significative sulla propensione al risparmio, non sono correlate con l’effetto del linguaggio sui risparmi.
Questo curioso risultato rimane invariato sia nei paesi Ocse che nei paesi in via di sviluppo, ed è valido sia a livello di risparmio individuale che a livello di risparmio nazionale, infatti i paesi a “basso FTR” in media risparmiano il 6% del Pil in più all’anno. Possiamo quindi dire che limiti del nostro linguaggio (che influenza a sua volta il nostro modo di pensare) sono anche i limiti della nostra economia?