Due anni dopo la rivoluzione, la Tunisia è nel caos

E intanto il presidente tunisino va a Parigi per presentare il suo libro

Ne è passato di tempo dal giorno in cui Mohammed Bouazizi, giovane fruttivendolo ventiseienne al quale venne sequestrata la carretta con la merce e la bilancia, si diede fuoco con una tanica di benzina per protesta davanti alla prefettura della sua città natale Sidi Bouzid scatenando la più grande protesta nel mondo arabo, passata alla storia come la “rivoluzione dei gelsomini”.

Al di là della lettura pessimistica che se ne può fare col senno di poi, due anni dopo la rivoluzione la Tunisia vive un momento di crisi politica ed economica senza precedenti, ferita mortalmente dalla scomparsa di Chockri Belaïd il cui omicidio ha intorbidito le acque della “transizione democratica”. E mentre il paese sprofonda nel caos politico, economico e sociale il presidente Marcef Marzouki – che ha un mandato provvisorio per guidare la transizione democratica ma s’atteggia ugualmente a solido capo di stato – riesce a volare a Parigi su invito del socialista ed ex ministro dell’istruzione francese Jacques Lang per presentare il suo libro fresco di stampa: “L’invenzione della democrazia: lezioni dell’esperienza tunisina”. Un testo ad uso e consumo dell’opinione pubblica occidentale in cui vanta la “santa alleanza” con gli islamici moderati e democratici ed in cui denuncia senza mezzi termini l’intolleranza dei laici. Ma il laicismo non era una conquista della République?

Non si capisce perché Marzouki venga accolto con tutti gli onori visto che l’offensiva lanciata da lui e dal suo partito contro i laici non ha precedenti. L’odiato dittatore rovesciato Ben Ali veniva dai ranghi laici e forse questo giustifica la convinzione che tutto ciò che provenga dal laicismo sia retaggio della dittatura? Un po’ presuntuoso comunque da parte del presidente tunisino affermare di aver ‘inventato’ la democrazia in Tunisia. A Parigi ha infatti trovato una forte opposizione in quella dissidenza tunisina che non vuole credere più alla favola della rivoluzione dei gelsomini, diventata il pretesto per stringere in una morsa tutta la società tunisina. «Si crede Voltaire ma finirà come Robespierre!» scandiscono alcuni manifestanti. Non è un caso che la manifestazione sia stata battezzata “Moncef Marzouki, l’invenzione dell’impostura”.

Il partito al potere, Ennahda, è accusato da più parti di coprire le violenze ed i soprusi dei salafiti e di far sprofondare il paese nell’oscurantismo religioso. Ne sono convinti Abdel Fekih, ex ambasciatore tunisino in Francia del partito  Ettakattol ed Habib Mellakh, professore universitario e sindacalista che hanno già denunciato la maniera in cui dopo la rivoluzione la Tunisia sia stata progressivamente infiltrata da questa corrente radicale dell’Islam proveniente dalle monarchie saudite. Un salafismo che all’indomani della rivoluzione s’è progressivamente allontanato dal suo quadro di riferimento teologico per investire pienamente la scena politica.

I segni sono già evidenti: in Tunisia ci sono 400 moschee controllate direttamente dai salafiti, diversi intellettuali denunciano il ritorno della moda del ‘niqab’ in città, spettacoli teatrali sono stati bloccati, artisti, intellettuali, giornalisti intimiditi da gruppi di barbuti violenti e rissosi. Una minoranza, certo, ma oltremodo pericolosa che spaventa la società civile. Ultimamente anche la distruzione delle tombe di alcuni santi a Sidi Bousaid (per i salafiti si tratta di culti ‘eretici’) è una riprova del fatto che c’è una progressiva radicalizzazione religiosa in questo senso. Il quadro sociale poi non è dei migliori: da mesi il paese è attanagliato da scioperi, manifestazioni che spesso degenerano in violenze contro le forze dell’ordine, un alto tasso di disoccupazione (16,5%), “nuove” immolazioni (come quella di Adel Khadri lo scorso 12 Marzo) e l’assassinio politico di Chockri Belaïd che ha complicato ed esacerbato un quadro politico già fragile. Se quello di Belaid non è stato un omicidio di stato – ammonisce il giornalista Samy Ghorba – è sicuramente una conseguenza della deriva dell’ala radicale d’Ennahda che ha preso il sopravvento spingendo Marzouki verso il delirio d’onnipotenza.

Insomma è in corso un processo per stigmatizzare l’opposizione e i sindacati sul web, nei media e fin dentro le moschee. In questo, le lugubri “Leghe per la protezione della Rivoluzione” che moltiplicano gli attacchi contro meeting dell’opposizione o i cortei dei sindacati sono l’avvisaglia che c’è qualcosa che non quadra. E poi c’è il giro di vite contro gli intellettuali, gli artisti. Ne sa qualcosa Nadia El Fani, regista e dissidente politica in Francia ripetutamente minacciata di morte per i suoi film ed i suoi documentari che ha sostenuto anche la protesta delle Femen e di Amina in Tunisia.

«La Tunisia ha bisogno di ben altro – dice l’autrice di Ouled Lenine e Ni Allah ni Maître a Linkiesta – ciò che è urgente oggi non è scrivere un libro e presentarlo in pompa magna a Parigi. Tra l’altro attaccare in continuazione il principio del laicismo come se si trattasse di un partito a sé è grave. Credo che Marzouki abbia perso il controllo della situazione. Dovrebbe ricordare la sua funzione transitoria ma appena c’è un giornalista che glielo ricorda scatta il processo contro di lui. Il partito Ennahda sta facendo danni incalcolabili alla società tunisina».

Nadia El Fani ha lavorato con Polanski e Zeffirelli. Per un’ironia della sorte nel suo lavoro del 2003 “Bedwin Hacker” aveva previsto che la contestazione contro la dittatura sarebbe giunta attraverso la rete. Nel documentario «Ni Allah, ni maître» (il cui titolo è stato poi cambiato in Laïcité, Inch’Allah ! perché accusato d’essere antislamico) Nadia El Fani ha parlato dei “resistenti al Ramadan” ed ha denunciato l’ipocrisia sociale che regna in Tunisia, paese in cui la maggioranza della persone non fa Ramadan ma vive nascosto. Per tutta risposta è stata minacciata di morte ed è tutt’ora perseguita in giustizia nel suo paese. «Le cose in Tunisia vanno sempre peggio – dice Nadia El Fani – perché i salafiti godono di sostegno illimitato all’interno dell’establishment. Anzi si può dire che i salafiti sono divenuti il braccio armato di Ennahda, quelli che fanno il loro lavoro sporco. Terrorizzano la popolazione, cercano d’imporre il velo alle donne che vengono insultate per strada se non lo portano, fanno il bello ed il cattivo tempo attaccando cinema, ambasciate, invadono le università impedendone il regolare svolgimento dei corsi per imporre la propria visione distorta della realtà».

Oltre due anni dopo il gesto sacrificale di Mohammed Bouazizi nulla è cambiato dunque in Tunisia ed il paese s’avvia verso un futuro sempre più oscuro ed incerto. L’odore del gelsomino è oramai evaporato nelle pieghe della storia.  

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