Giannino: “Boldrin, non mi sento un arto da amputare”

La replica su Facebook all’intervista di ieri su Linkiesta

Ieri ho letto l’intervista di Michele [Boldrin] all’Inchiesta [sic], dove sono definito un arto da amputare. È un’opinione diversa da quello che mi dava ancora il pomeriggio dei risultati elettorali. Ma rispetto il suo nuovo parere. Mi sono dimesso io, come ricorda Michele non ho dato tempo a nessuno di impormelo. Sulla base del nuovo giudizio letto ieri, mi pare ovvio desumerne che l’indirizzo sia che in Fare ci si proponga di mettermi ora alla porta. Qualche considerazione da parte mia.

– “Dopo Giannino, serve più democrazia”, si afferma. Io non ho mai alimentato alcuna fantasia di movimento carismatico e di leaderismo personalista. I coordinatori regionali che, in una fase nascente e con le elezioni alle porte, erano cooptati, sono stati individuati e validati – sentendo la base – da Boldrin e De Nicola. Non da me. Per la composizione della Direzione, come poi per le candidature, non ho esercitato alcun ruolo autocratico. In tutte le Regioni dove sono insorti problemi – come Emilia, Veneto, Toscana – ho tentato di comporre i capilista sentendo regolarmente comitati, aderenti, i membri di Direzione, e i due fondatori che avevano scelto i coordinatori. Non io ma altri, sono venuti anche alle mani confrontandosi con opinioni diverse.

– non ho certo voluto io, che dei fondatori nessun altro si candidasse. Ne ho e ne abbiamo dovuto tutti prendere atto. Mi auguro che almeno ora si chiarisca bene prima chi eventualmente intenda stare in Italia e sia nelle condizioni di dedicarsi al movimento. Personalmente avevo riservatamente segnalato che esiste anche una questione di opportunità pubblica non trascurabile, quella di pagare le imposte nel nostro Paese. Da fautore della concorrenza fiscale tra ordinamenti, sottolineo che parlo di opportunità, non uso altro termine.

– mi auguro anch’io che gli iscritti trovino oggi il miglior modo per darsi una prima struttura veramente rappresentativa dei loro orientamenti. Resto dell’idea che i candidati presidenti dovrebbero articolare meglio alcune idee su come intendano poi proporre a breve uno Statuto e un modello-partito più strutturato delle poche regole basilari con cui forzosamente, visti i tempi, si dà vita ai primi organi eletti da tutti. Personalmente, ho già detto che sono per un modello in cui la democrazia rappresentativa resti affiancata, e non sostituita, dalla democrazia-liquida della rete. Mancando ora regole scritte precise sui poteri del presidente nazionale, regionale, e degli organi eletti, è opportuno evitare che il criterio sia “vince chi spara prima e più forte sulla rete”.

– Quanto all’arto da amputare, vedete e giudicate voi tutti. La mia testa resterà dov’è, con quel che c’è dentro da anni. Non mi interessa la gara a chi fa il bullo sui titoli accademici che non ho, e pago molto cari. Quello è un conto che pago durissimamente, come è giusto. E che non viene scalfitto dalla legittima gara pubblica a intestarsi superiorità etiche.

Voglio solo dirvi che è molto difficile, lavorare politicamente in un’Italia spaccata in tre e pressoché totalmente inadeguata a quel che andrebbe fatto, per non precipitare ulteriormente in Europa e mercati, reddito e patrimoni. Per farlo, servono caratteri e toni inclusivi, decisi sulle proposte ma rispettosi di opinioni, storie, culture e forme-partito diverse. La storia è piena di personaggi convinti di essere loro, l’alba di un giorno nuovo. Ma la politica è come la vita, si costruisce solo un giorno dopo l’altro, senza palingenesi perfettiste. Almeno per chi è liberale, un termine che ha ancora e avrà sempre un suo valore, in un dibattito pubblico dove i perfettisti dell’utopia realizzata sono maggioranza a destra, a sinistra, e nel nuovo che con la sua protesta ha segnato le ultime elezioni.

Se poi invece l’opinione maggioritaria sarà che voi tutti avevate costruito un grande successo, e io non vi avevo significativamente contribuito ma l’ho solo invece distrutto per i miei difetti gravi, allora all’arto amputando non resterà che salutarvi, augurandovi ogni bene e buoni chirughi per l’avvenire. 

L’INTERVISTA A BOLDRIN

Fare, Boldrin: “Dopo Giannino serve più democrazia”

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