Alla luce della recente crisi di Cipro, e delle tensioni crescenti in altri paesi come la Slovenia, diviene sempre più importante una valutazione dello stato di salute delle istituzioni bancarie dei paesi dell’Eurozona. Se utilizziamo un indicatore come la percentuale di prestiti in sofferenza (al netto delle svalutazioni e dei passaggi a perdita) rispetto al totale dei prestiti, le notizie non sono delle migliori.
Secondo uno studio di Ernest & Young, in Italia questo rapporto ha raggiunto nel 2011 l’8,2 per cento, rispetto al 4,6 per cento del 2007. Lo stesso rapporto in Spagna è pari al 7,8 per cento, al 3,3 in Germania e al 5,2 per cento per l’intera area Euro. I prestiti in sofferenza (non più recuperabili, ndr) sono intuitivamente legati all’andamento dell’economia e quindi non sorprende che incidano maggiormente sul totale nei paesi della periferia dell’Eurozona, con un rapporto due volte superiore a quello per la Germania. Le quotazioni di mercato riflettono queste difficoltà. Per esempio, dall’inizio del 2007 gli indici Ftse specializzati sul sistema bancario registrano un declino di circa l’80 per cento per l’Italia e di circa il 50 per cento per la Spagna.
Ma le cose non vanno affatto meglio per le banche tedesche, che registrano una perdita del 70 per cento nello stesso periodo in parte dovuta alla leva finanziaria tipicamente più elevata che in altri paesi: circa 33 per cento nel periodo 2000-2011, contro il 15 per cento di Spagna e Italia. Nello stesso periodo, un indice azionario europeo molto ampio e non limitato al settore bancario registra invece una perdita del 20 per cento.
Prestiti in sofferenza sul totale dei prestiti
Le tensioni legate alla risoluzione della crisi di Cipro e in particolare del suo sistema bancario spaventano i mercati. In questa occasione anche i titolari di semplici depositi, e non solo azionisti o altri creditori, hanno dovuto registrare ingenti perdite di capitale. In altri paesi, il salvataggio delle istituzioni finanziarie è stato in molti casi parzialmente a carico dei contribuenti, come è per esempio accaduto in Italia, con il recente prestito al Monte dei Paschi di Siena attraverso lo strumento dei “Monti bond”. Questa opzione non era sul tavolo per Cipro, visto che il sistema bancario ha attività pari a circa sette volte il Pil del paese e il salvataggio richiesto è stato pari a quasi un anno di Pil.
Per questa ragione, è interessante guardare al rapporto tra il totale dei prestiti in sofferenza e il Pil come indicatore della possibilità di fare fronte con risorse domestiche ad una crisi in una o più delle istituzioni finanziarie di un paese. In questo caso, è la Spagna a destare preoccupazioni con un rapporto tra sofferenze e Pil nel 2012 di quasi il 16 per cento (contro l’8 per cento dell’Italia e della Germania), dovuto sia alla forte contrazione dell’economia che al maggiore volume di prestiti.
Le difficoltà del settore bancario, in parte legate all’andamento dell’economia reale, finiscono per amplificare la recessione proprio nei paesi della periferia dell’Eurozona. Infatti, per ridurre i rischi molte istituzioni bancarie hanno preferito ridurre i prestiti, piuttosto che raccogliere nuovo capitale. Inoltre, i maggiori costi di raccolta e finanziamento, dovuti sia al rischio specifico delle singole istituzioni bancarie che al rischio sovrano, si traducono in maggiori tassi di interesse per le imprese che riescono ad accedere al credito. Per esempio, i prestiti bancari a residenti in Italia sono più che raddoppiati nel periodo 2000-2008, per poi divenire stagnanti nel periodo successivo (dati Banca d’Italia). Sulla base del Sondaggio congiunturale della Banca di Italia, la percentuale di imprese che hanno riscontrato un peggioramento nell’accesso al credito a fine 2011 era più del 30 per cento, e un quarto di esse cita gli elevati tassi di interesse come motivazione del peggioramento.
Quali le possibili soluzioni? A livello europeo bisogna spingere nella direzione di un sistema di supervisione e di uno strumento di risoluzione delle crisi bancarie comuni. In passato si era riusciti, anche attraverso incentivi fiscali (legge 130 sulle cartolarizzazioni), a spingere le istituzioni bancarie a cartolarizzare i prestiti in sofferenza liberando capitale da usare per nuovi prestiti.
Questa possibilità sembra ora molto remota, visto il declino del mercato per i prodotti strutturati e garantiti da altri titoli dopo lo scoppio della crisi subprime. Per questa ragione, le istituzioni bancarie dovrebbero raccogliere nuovo capitale. Purtroppo, questa strada è ostacolata in Italia da azionisti di peso come le fondazioni bancarie, a corto di risorse da usare per nuove iniezioni di capitale e allo stesso tempo non disponibili a mettere in conto una diminuzione del potere di controllo. Il rischio verso cui andiamo incontro è quello descritto da Richard Koo (The Holy Grail of Macroeconomics) per il Giappone, in cui le banche, cosiddette zombie banks, sono sopravvissute in un limbo per molti anni cercando di riparare le proprie perdite senza avere le risorse per finanziare l’economia contribuendo al lunghissimo periodo di stagnazione.
@nicolaborri
Dipartimento di Economia e Finanza, LUISS Guido Carli