Giovane, colta, di successo. Ma anche entusiasta, testarda, compassionevole. Si chiama Lorna Rutto, un nome che figura nella lista di Forbes delle venti donne più influenti d’Africa. Nel 2011 ha ricevuto un importante premio, il Cartier, e l’anno prima il Bid Network Nature Challenge award. Perché? Merito delle sue idee imprenditoriali. In Kenya ha fondato un’azienda: si chiama Ecopost e trasforma i rifiuti di plastica in materiale edilizio sostenibile e utilizzabile al posto del legno. Un modello vincente, che combina l’eccellenza nel campo ambientale con una visione imprenditoriale che comprende sia il profitto che il valore sociale. «Meno del 2 per cento della nostra terra è coperta da foreste e circa 10 milioni di persone vivono negli slum, dove i rifiuti invadono le strade e intasano le fogne. Solo la capitale Nairobi ne produce al giorno oltre tremila tonnellate».
L’idea di Ecopost è sfruttare questo svantaggio, piegandolo per farlo diventare una risorsa. Non è solo smaltimento: in questo modo crea opportunità di lavoro per giovani e donne in difficoltà. «I rifiuti non discriminano tra ricchi e poveri. Dopo la laurea, ho trovato un lavoro nel settore finanziario. Ma quel posto in banca non riempiva il vuoto che sentivo dentro di me», racconta.
Lorna, con la sua azienda, ha coinvolto (e dato lavoro) a cinquecento persone, compresi ragazzi in difficoltà e donne. «Ognuno di loro ha messo in piedi il proprio business sostenibile. Siamo un modello for profit, i nostri ricavi provengono dalla vendita di plastica riciclata. Ma finora abbiamo anche salvato 300 acri delle nostre foreste e abbiamo risparmiato oltre due milioni e mezzo di CO2».
Perché, nonostante il divieto posto dal governo alle plastiche sottili, l’uso delle borse in polietilene continua?
Il divieto del governo del 2007 è ancora in vigore, ma è in gran parte ignorato. Nel passato, i nostri nonni usavano cestini d’agave o di canna, ma le cose sono cambiate. C’è una generale mancanza di consapevolezza riguardo all’enorme impatto negativo della plastica sulla salute umana e sull’ambiente. La gran parte finisce nelle discariche della città, dove normalmente viene bruciata, con gravi danni per le persone che vivono nelle zone vicine alle discariche.
È difficile per una donna fare impresa in Africa?
Viviamo in una società patriarcale, in cui gli uomini decidono e le donne sono subordinate. Una volta un cliente si è rifiutato di completare una negoziazione d’affari con me: voleva parlare solo con il mio capo. Le imprenditrici femmine soffrono discriminazioni sistematiche, per esempio nell’accesso al credito. Nelle famiglie, nonostante le donne contribuiscano economicamente al sostentamento della famiglia, gli uomini controllano le loro entrate e l’uso che ne fanno. Una delle donne che lavorava con noi veniva continuamente picchiata dal marito, perché non era felice all’idea che lei lasciasse la casa per andare a lavorare. Poiché l’uomo non riusciva a mantenere i figli, lei un giorno denunciò i suoi soprusi. Fu arrestato ma rilasciato poco dopo. È scappata nel suo villaggio natale, poverissimo.
La maggior parte dei vostri impiegati sono donne. Quali sono le qualità che apportano al vostro business?
Le donne sono solitamente molto appassionate, sono più umili e disposte a imparare. Sono anche più leali, diligenti e compassionevoli. Vivono servendo ragioni più alte e si preoccupano per gli altri. Dando loro potere si possono trasformare intere comunità: combattere piaghe come malnutrizione, la mortalità infantile e le infezioni da Hiv. Se le mamme lavorano poi, i bambini possono andare a scuola.
Ci sono anche molti ragazzi giovani.
Cerchiamo di creare per loro quelle opportunità che il mercato non offre. Ogni anno oltre 500 mila giovani entrano nel mercato del lavoro, ma le statistiche sono sconfortanti. Oltre il 46 per cento dei keniani vive sotto la soglia di povertà guadagnando meno di un dollaro al giorno. Mi è capitato di raccogliere plastica nelle discariche: lì ho trovato centinaia di donne e ragazzi che scavavano insieme a me, nel tentativo di accaparrarsi qualsiasi cosa utile. Ma quello che mi ha colpito di più è vedere bambini che mangiavano il cibo guasto della discarica. Soffrono già normalmente di diarrea, colera e problemi respiratori a causa della combustione dei rifiuti.
Che cosa sogna?
Sin da quando andavo alle elementari ero preoccupata dai rifiuti che ricoprivano le strade. Io raccoglievo la plastica e sperimentavo modi per eliminarla, per esempio trasformandola in ornamenti per la persona e per la casa. Il mio sogno è lo stesso delle persone che lavorano per Ecopost. Un’Africa verde, finalmente libera dalla povertà e dall’ignoranza.