Viva la FifaIl Napoli stacca il Milan, l’Inter è nel caos totale

E stasera la Juve cerca la fuga contro la Lazio

Nel calcio esistono due tipi di possesso palla. Quello che serve a farti rifiatare e far correre a vuoto gli avversari per sfiancarli e poi colpirli. E poi c’è quello dove sei tu a correre a vuoto, a passartela in orizzontale perché da quella sfera non tiri fuori nulla. Il possesso palla del Milan di ieri fa parte di questa seconda categoria. I rossoneri hanno effettuato 394 passaggi inquadrati nel 52,9% di possesso palla. Il tutto ha prodotto un solo gol e l’allontanamento della Champions diretta. Il motivo? I motivi, più che altro. I primi due, lampanti: il tridente stavolta non ha funzionato. Balotelli è fuori per squalifica con codazzo di polemiche al seguito ed El Shaarawy guarda la partita dalla panchina. Il Faraone non girà più, pare soffra la presenza tattica e mediatica di Super Mario: per Allegri è stanco mentalmente, al suo posto Robinho.

Così tocca a Flamini fare gol, dopo una mezzora di impeto e assalto rossonero: il suo baricentro medio sarà di 55 metri a fine gara. E mentre Montolivo fa 93 tocchi, Hamsik la metà ma confeziona un assist. E dove sarebbe il possesso sterile, allora? C’è dopo, quando il Milan prende gol, resta in dieci ed ingabbiato bene dal Napoli di Mazzarri che trasforma la sua squadra in un 4-2-3-1 che approfitta di un Robinho in versione ectoplasma e un Niang che pasticcia tanto (7 dribbling falliti sono tanti).

E’ un Napoli mille anime. C’è quella passiva della prima mezzora, con Zuniga che arretra e va a fare il quarto uomo di difesa invitando Abate ad avanzare. E con Hamsik che fa lo stesso alzando la coperta a centrocampo. Dovrebbe essere il Napoli della fantasia con ‘Hamsicco’, Insigne, Cavani, Dzemaili. E invece quest’ultimo fa il sartino con Behrami: taglia e cuce al centro come un pazzo. Poi però il brio avanza nel momento del bisogno, cioè dopo il gol di Flamini: Hamsik-Pandev e poi tutti a giocare di sponda, quello che una volta si chiamava contropiede. Succede così che gli azzurri hanno 15 punti in più dello scorso anno, dimostrano nelle ultime gare una tendenza a non farsi mettere i piedi in testa dagli avversari rimontando o comunque non perdendo, ma peccano ancora di personalità quando si tratta di affondare il colpo. Contro il Milan del tridente sbiadito si poteva. Si dovrà, il prossimo anno, sia in Italia che in Europa. Quella che il Napoli quasi certamente farà e che il Milan quasi sicuramente dovrà guadagnarsi attraverso le forche dei preliminari.

Forche che l’Inter anche il prossimo anno guarderà in tv. Tra i nerazzurri ormai è il caos tattico e…infermieristico. I numeri si sa sono impietosi: 4 sconfitte nelle ultime 5 gare, 12 debacle stagionali. Diceva Marcello Lippi: “Il campionato si vince in provincia”. Qui l’Inter si sta giocando – si è giocata – l’Europa che conta: 2 gol presi anche dl Cagliari dopo i 4 contro l’Atalanta e 0 punti contro appunto due ‘provinciali’. Anche l’Inter di inizio stagione lo era, ma a Stramaccioni l’idea non piaceva. Ora farebbe carte false per riavere quella Inter, cinica e nei piani alti della classifica. Ora i nerazzurri si ritrovano a dover puntare sul talentuoso (perché i numeri li avrebbe) ma incostante Alvarez. Dopo la doppietta contro l’Atalanta, l’argentino fa vedere delle buone cose, così come anche Tommaso Rocchi nell’occasione del palo di Cambiasso.

Perché la beffa è che l’Inter parte pure bene, con possesso palla e qualche arrembaggio che fanno ben sperare. Poi la squadra si scioglie sotto il sole di Trieste. Passa dal baricentro alto di 56 metri per schiacciare il Cagliari, alla confusione tecnico-tattica. Gargano si rompe, Nagatomo pure e a fare il centravanti si ritrova Samuel. Poi ci si mette Pinilla che si tuffa in area e l’Inter, schiacciata dal nervosismo della settimana per presunti complotti eccetera, si perde definitivamente. Guardate che differenza con il Cagliari, che perde il talentuoso Cossu ma vince la partita grazie a un Ibarbo che, a differenza di gente come Alvarez, si sta integrando nel campionato italiano. Un torneo nel quale la palla va aggredita e dove si deve correre, non passeggiare. Quello lo si può tranquillamente fare in Argentina. Ora la gara di Coppa Italia contro la Roma diventa cruciale. Chissà con quale modulo – e con quali uomini – scenderà in campo Stramaccioni. E chissà se scenderà ancora in campo, dopo la sfida del prossimo 17 aprile.

Provateci voi, a descrivere la stagione della Roma. Con mezzo piede in finale di Coppa Italia, al 5° posto, con un Lamela che confeziona il 14° gol stagionale e un Osvaldo ritrovato. Ecco, l’italo-argentino è il perno sul quale far ruotare gli aspetti negativi: alcuni giocatori sono nervosi e se le mandano a dire davanti ai taccuini, l’allenatore che non sa se resta, i soliti problemi in difesa. Il calcio è un gioco che presenta molte dinamiche complesse, che spesso sfuggono anche a chi la partita la guarda con la lente d’ingrandimento. Però ci sono alcuni assunti semplici, semplicissimi. Ad esempio, se un esterno non crossa dal fondo, ma si gira sull’altro piede e la mette in mezzo, la difesa deve uscire per mettere in fuorigioco il colpitore di testa. La Roma lo ha fatto? Domanda retorica, risposta scontata: no. Ecco come è nato il pareggio momentaneo del Torino. Deve essere un retaggio della gestione Zeman, ma certi aspetti vanno curati, se si vuole agguantare l’Europa League senza le trappole legate alla Coppa Italia. Certo non era facilissimo contro una squadra granata che gioca a memoria e che ti impone in casa un baricentro alto di 56 metri. E con Cerci ringalluzzito dalla Nazionale, ma anche con un Vives instancabile motorino al centro. Avesse funzionato meglio il corridoio di sinistra, per la Roma che si è affidata alla perla di Lamela sarebbe stata più dura. I tempi per la Champions non sono ancora maturi. Ma meglio i giallorossi dell’Inter.