In Europa si litiga, ma ci si regala un caffè sospeso

Il gesto di solidarietà del caffè regalato a uno sconosciuto

Una lavagnetta vicino al bancone informa che stamattina a Espressobaren sono a disposizione tre “suspended coffee”, caffè sospesi. Un cliente si avvicina alla cassa, chiede il suo conto e alla lista delle consumazioni aggiunge un caffè: “Uppskjuten”, dice in svedese, “Da lasciare in sospeso”. Paga il totale. Channa, 23, ringrazia, si gira verso la lavagna e segna un’altra “X”. I caffè sospesi, ora, sono diventati quattro.

È una novità per il piccolo bar di Göteborg, in Svezia. Da una settimana chi entra per pranzare, fare merenda, trascorrere il pomeriggio al computer lavorando con il wi-fi, può comperare o chiedere di bere un caffè sospeso. Ora sta contagiando la Svezia, ma questa sorta di “prendi-uno-paghi-due” della ristorazione ha radici ben più antiche e lontane: Napoli. Racconta Luciano De Crescenzo nel libro “Caffè sospeso” (Mondadori, 2008): «Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo». Si tratta di un’abitudine e di “una filosofia di vita”, dice Chiara Sasso, presidente di “La rete del caffè sospeso”, un’associazione culturale fondata nel 2010 a Napoli, che trasforma il gesto di solidarietà del caffè regalato a uno sconosciuto in una rete per sostenere la cultura e i documentari indipendenti. In Italia il caffè sospeso esiste da decenni – anche se negli ultimi tempi appare quasi dimenticato. All’estero, invece, sta conoscendo il successo in questi mesi.

«Ne avevamo sentito parlare», spiega Channa, barista e volto del caffè sospeso a Espressobaren (è lei la ragazza seduta vicino alla vetrina nella foto che su Facebook annuncia l’arrivo dell’iniziativa)

«In realtà noi siamo sempre stati dell’idea che un caffè non viene rifiutato a nessuno. Perciò quando i nostri clienti ci hanno segnalato l’idea del caffè sospeso ci siamo detti che dovevamo farlo». Un caffè qui costa 20 corone, circa 2 euro. Finora le persone che hanno comperato un caffè extra sono state molte di più delle persone che l’hanno chiesto. Serve del tempo per far funzionare il passaparola tra chi ne avrebbe bisogno, «non solo i senza tetto o i più poveri», precisa Channa, «ma tutti coloro che sono socialmente esclusi».

A Göteborg ci sono altri quattro bar dove si può chiedere un caffè sospeso. E nel mondo, almeno stando a quanto è scritto sulla pagina Facebook ufficiale dedicata alla diffusione del “suspended coffee” (oltre 37.000 “like” e un sito in costruzione) e nella mappa dell’associazione La rete del caffè sospeso si trovano centinaia di posti che hanno accolto con favore l’usanza napoletana. Da Sidney a Praga, a Sofia, dove a fine marzo un reportage della France Press ha raccontato che un centinaio di bar e caffè bulgari si sono uniti per formare una rete bulgara del caffè sospeso. Tengono il conto dei caffè già pagati con dei tappi di bottiglia o con dei pezzetti di carta e accettano offerte per qualsiasi tipo di bevanda calda.

Sembra che il meccanismo del caffè sospeso abbia ispirato anche alcuni fast-food e supermercati che ora suggeriscono ai clienti di comperare degli snack o del pane da offrire, poi, a chi non se li può permettere. Non è un caso che una delle reti di caffè sospeso più attive si nata in Bulgaria, il Paese più povero dell’Unione Europea, dove il salario medio è di circa 250 euro e la pensione ancora più bassa, 130 euro.

In molti si sono chiesti se il boom del caffè sospeso, in particolare in Europa, sia in qualche modo legato alla crisi. Nessuno ha ancora confermato se esista un vero rapporto di causa, ma è evidente che l’iniziativa ha maggiore seguito nei luoghi in cui i problemi sociali sono molto sentiti.

«Göteborg è una delle città più difficili della Svezia», spiega Channa, «non è semplice viverci da senza tetto. Quando abbiamo deciso di aderire al caffè sospeso abbiamo pensato anche a questo». Qui il problema dei senza tetto è consistente. Quest’anno oltre 3.000 persone hanno affrontato in strada il gelo dell’inverno e qualche mese fa la rivista Faktum, che viene distribuita dai senza fissa dimora, ha messo in piedi un’iniziativa-chock, un hotel dove per 7-8 euro a notte è possibile dormire come i clochard. Solidarietà, ma anche passaparola via web, ricorda Chiara Sasso di “La rete del caffè sospeso”: «Ci sono sempre più italiani, soprattutto giovani, che vivono all’estero e grazie a internet le potenzialità di diffusione vengono moltiplicate. Noi abbiamo ricevuto adesioni anche dal Brasile».

Channa, a Espressobaren, è contenta dell’entusiasmo con cui è stata accolta l’iniziativa tra i clienti, anche se non sono mancate le critiche. «Qualcuno dice che usiamo la questione della solidarietà per fare del profitto. Anch’io all’inizio avevo pensato che la cosa potesse essere fraintesa, ma tra i pro e i contro del caffè sospeso nessuno può negare che stiamo semplicemente accogliendo delle persone, senza troppe dietrologie». Per lei è molto importante che il messaggio principale sia quello dell’accoglienza. «Qualcuno ha obiettato che ci potrebbe essere chi ne approfitta per avere un caffè gratis anche se non ne ha bisogno. Non importa. Non saremmo di certo noi a giudicare chi può avere un caffè sospeso e chi no. Tutti da noi meritano un caffè».  

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