Alle elezioni, la figura rimediata è stata magra. Oscar Giannino per primo lo sa e sa anche che è tutta colpa sua. Una debolezza? «No, un errore gravissimo» che riconosce. E va bene. Si riconosce anche il merito di averlo portato alle soglie del 3%. «Non lo dico per giustificarmi, sia chiaro». Ma, finita (o quasi) la tempesta che lo ha travolto (nelle urne e nei sondaggi) che ne sarà di Fare? E di tutto il patrimonio di idee liberali che ha portato avanti, declinandole una per una in un progetto politico? Secondo lui, lo spazio, in qualche modo c’è.
Il problema è semplice: che ne sarà del capitale di idee di Fermare il Declino?
Che fine fanno? Le rivedo quando Casaleggio gira tra gli imprenditori e parla di spesa pubblica da tagliare, parla di abolizione dell’Irap. Insomma, è proprio quello che proponevamo noi. Allora le idee ci sono ancora, e sono considerate buone. Certo, le nostre idee hanno il difetto di non essere condivise dalle maggiori forze politiche attuali, cioè il Pd e il Pdl. Che restano arroccati sulle loro posizioni. Qui, però, se capisco il Pdl (partito dove decide uno solo), il Pd resta un mistero.
E perché?
Perché dopo le primarie è prevalsa una linea che si può ricondurre a Fassina e ai giovani Turchi. E allora io mi aspettavo una campagna elettorale, diciamo, di sinistra, tipo il Spd tedesco. E invece, ogni giorno, tutto si risolveva nel dubbio: ma stiamo con Monti o non stiamo con Monti? Un partito senza uno schema.
E rimane Casaleggio con cui parlare.
Lui è uno che ne ha riprese alcune, ma è un paradosso. Ma quelle idee, le nostre idee, cioè operare un piano serio di tagli che non siano recessivi; mettere in campo sgravi fiscali per il rilancio della produttività delle imprese con un occhio attento al welfare; una serie di riforme importanti nel campo dei servizi dello Stato, restano importanti. Il problema è che, per noi, occorre trovare interpreti credibili.
Casaleggio non lo è?
I grillini non lo sono. E non lo è nemmeno l’idea di democrazia diretta di cui si fanno portatori. Io sono a favore, per carità, con gli strumenti di consultazione popolare, ma solo se affiancano istituzioni salde, e rafforzino i partiti. In questo modo – e l’Italia è il paese che, in percentuale, ha più politici attivi sui social network – si distrugge il partito, perché prevale chi ha più forza sulla rete. Sembra un campo democratico, ma in realtà prevale – anche qui – chi è piazzato meglio.
Allora chi resta?
Al momento i partiti sono presi in tutt’altre faccende: non riescono a fare un governo e non riescono a mettersi d’accordo nemmeno sul Presidente della Repubblica. Ed è colpa loro: hanno sottostimato la forza della società, che voleva che le cose cambiassero e che ci fossero, nell’agenda, altre idee. Anche le nostre.
Ma Fare continuerà?
Io me lo auguro. Anche se in pochissime settimane l’Italia è cambiata. Non è più lo stesso paese di quando ci siamo buttati in politica. Oggi le nostre specificità non offrono elementi di appiglio con il Pd, ad esempio. A parte Renzi, certo. Ma Renzi dovrebbe rompere con il Pd, e avrebbe molti, moltissimi problemi. Non gli conviene, a Renzi, lo dice anche lui e io gli credo.
Allora con chi si può fare qualcosa?
Oggi occorre essere molto più inclusivi e dialoganti di quanto non lo sia stato io stesso in passato. E però spazi di manovra ci sono: per esempio il 10% che ha votato Monti senz’altro è un pezzo di paese con cui possiamo dialogare. Anche se, a questo proposito, occorre capire che fine abbia fatto Monti.
Non sembra intenzionato a fare il leader di un partito.
Sì, quello lo ha detto e si capisce anche. Ma sbaglia, è una cosa che ho capito facendo la campagna elettorale.
Cioè?
Occorre essere dialoganti, cioè aperti alle istanze delle componenti della società. Ma anche presenti nel quotidiano, continuare a dare battaglia, battere. Io, per esempio, dal momento che Fare partiva con voragini e e buchi enormi di elettorato (tutto il sud, ad esempio), mi son trovato a dover alzare i toni, ogni giorno. E ho fatto paura: Berlusconi era arrivato a dire che così lo facevo perdere. Io mi rivolgevo anche al suo elettorato, che però mi deve aver percepito come un elemento troppo esclusivo.
E però non è riuscito.
No: non sono riuscito ad arrivare a quel 3% che ci davano i sondaggi. Ed è solo colpa mia, tutta colpa mia e nient’altro che colpa mia. Lo dico e lo riconosco. Ma c’è anche da dire che se si parlava di 3%, era anche merito mio. In ogni caso, quell’1% è stato sufficiente a fermare Berlusconi e non fargli avere il premio di maggioranza.
Qualcosa avete fermato.
Sì. Io spero solo – e non ci dormo – che quella delle passate elezioni non fosse l’unica occasione, unica e irripetibile, per fare qualcosa. Se sarà così, vuol dire che avrò buttato via non solo l’opportunità di portare avanti idee in cui credo, e di inserirle nel contesto politico. Ma anche tutta la mia vita.
Mi spiacerebbe. Speriamo che ce ne siano altre. Nuove elezioni non sono un’ipotesi lontana.
Vero. Non ci sono accordi di governo e manca un terreno comune. A entrambi converrebbe un accordo limitato alla legge elettorale, che va modificata, e poi il ritorno alle urne. Del resto l’Italia non può andare avanti così a lungo. La benevolenza dei mercati non è eterna, soprattutto perché è dovuta a una volontà chiara della Germania di mantenere in ordine le cose in Europa.
In che senso?
A ottobre ci saranno nuove elezioni e Angela Merkel è, secondo i sondaggi, in vantaggio con numeri strepitosi. E allora non vuole problemi dall’Europa. Lo si è visto con Cipro. E anche con noi. Ma non durerà a lungo questo stato di grazia. Occorre ripartire subito.
E lei ci sarà?
Questo lo deciderà il Congresso. Di sicuro, il tempo e il modo per far pesare il mio contributo ci sarà. Quella non può essere stata l’unica occasione possibile. Non me lo perdonerei.