Lo scrittore diciottenne che fa impazzire il Nordest

Il libro “La bella di matematica” è stato campione di vendite a Treviso

A 18 anni il trevigiano Alessandro Cecconato ha scritto un romanzo (o racconto lungo, se preferite) diventato in pochi mesi un caso letterario di provincia. La bella di matematica, cronaca minuta e segnata da una costante vis comica della vita di un liceale al cospetto del terrore della classe: la professoressa di matematica piovuta nel Nordest dal Centrosud (il suo accento alterna e mescola romano e napoletano a un po’ di mal appreso trevigiano). Il successo del libro a Treviso è stato straordinario, grazie anche al fatto che molti potevano riconoscersi, nonostante il nome semistorpiato (anche la professoressa non deve aver fatto fatica – temiamo – a rinvenire il suo alter ego letterario, e così pure il corrispettivo reale del fantomatico “vicesindacosceriffo Gian Benito Rusticoni”). Ma i meriti di Cecconato vanno oltre quelli che basterebbero a una brillante parodia provinciale. Il suo stile vivace e asciutto e il suo non fare della professoressa Alda Adda una caricatura a una sola dimensione, ma un personaggio  complesso e da scoprire (fino al finale a sorpresa), rapprensentano una promessa letteraria che speriamo Cecconato possa mantenere, una volta finito il liceo-classico fortezza dove ha ambientato questo divertente debutto, pubblicato da Santi Quaranta, di cui vi proponiamo il quattordicesimo capitolo.

LA MIA NUOVA RAGAZZA

Dovevo aver bevuto qualcosa di strano, mi sentivo come stordito e camminavo per il centro con gli occhi rivolti al cielo, senza badare alla presenza di eventuali tombini aperti: per fortuna non ne trovai. Passeggiavo buttando l’occhio qua e là sulla gente. A lato avevo appena lasciato Piazza del Martire, bagno studentesco, poi più su, sulla destra, la Loggia dei Cavalieri. Quest’ultima è stata di recente conquistata da un manipolo di tredicenni con i capelli unti e la pelle ancora liscia, brufoli a parte.

Di quando in quando il capobrigata avvicina la vecchietta di turno per starnutirle addosso o per farle cadere sul soprabito la cenere di una sigaretta; abbiamo pensato di dare una gagliarda mano alla cara nonnina per cacciarli via definitivamente, come piccioni: abbiamo incaricato Soz, il ribaldo, e Lucarelli, il coordinatore, di organizzare la spedizione punitiva contro quei banditelli.

Proseguendo ancora passai vicino ai più grandi retori della città, ragazzi e ragazze che 24h su 24h si trovano in questa piazza nobile per parlare; parlano sempre: ogni sera, ogni pomeriggio, smaltiscono le calorie degli Spritz con l’incessante movimento del muscolo mandibolare. Qualcuno mi ha detto che si dicono un sacco di cose interessanti; quando anch’io avrò un pomeriggio libero verificherò direttamente.

Come preso da un vortice mi trovai poi catapultato sulle mura. Mi sedetti sui mattoni rossi. Trovai un posto magnifico, e pensare che qualche tempo fa avevo letto che il sempreverde vicesindacosceriffo Gian Benito Rusticoni voleva farne un parcheggio: chissà per quale miracolo, tutto è ancora come prima. Non molto lontano due ragazzi accesero una sigaretta con la cartina lunga, e si diffuse intorno l’aroma. Mi spostai di nuovo e mi trovai vicino a una strada accanto alla quale scorre il nostro Fiume di Risorgiva. Alla mia destra stava il McDonald con il suo fastidioso odore, di fronte a me invece i visi arrabbiati dei frequentatori della stazione, forse gli unici della città che fanno un po’ paura. Distolsi lo sguardo incantato dai lacci sporchi delle mie All Star e, guardandomi intorno, mi accorsi di essere completamente solo, la città era vuota.

Girai su me stesso: il Fiume era diventato mare cristallino, il ponte pontile, i sanpietrini dove prima avevo visto conficcato un tacco rotto avevano lasciato il posto a una dolce distesa di sabbia fine e bianca, il fast-food era diventato una torretta da bagnino. In lontananza qualcuno gridava “cocco cocco bello!”: se non fossi stato certo di trovarmi in una cittadina del Nord Italia, avrei giurato di essere alle Maldive in costume da bagno.

Sentii un certo fastidio al piede e così m’accorsi di un paguro incastrato tra le mie infradito. Forse avevo preso un pugno in viso da uno di quegli energumeni e avevo battuto la testa. Mi voltai verso la stazione ma, invece di cinque tipi dai pantaloni con la vita bassa, vidi un gruppetto di palme. Le corriere sembravano essere state sostituite da una lunga serie di chioschi tutti addobbati, di quelli a forma di limone o pompelmo che si vedono solo nei film o nelle foto delle vacanze altrui.

D’un tratto udii alle mie spalle una voce celestiale chiamare il mio nome: “Paolo, Paolo, corro da te amor mio!”. Così mi girai e in lontananza vidi avanzare verso di me (per qualche strano effetto ottico mi sembrava corresse al rallentatore) una fanciulla bellissima che percorreva con passi leggeri ed agili il bagnasciuga. Doveva avere circa la mia età, aveva capelli castani che delicatamente accarezzavano le dolci spalle, e occhi profondi simili a perle scure.

“Finalmente, finalmente ti ho trovato!” mi disse con tono soave, come se la lunga corsa non avesse per niente affaticato la meravigliosa sconosciuta. Indossava un vestito violetta, con un colletto bianco particolare, era incantevole. Tuttavia dovetti confessarglielo, io proprio non la conoscevo. “Come no Paolo? Sono io, non mi riconosci? La tua Alda!”. “Io… io non conosco nessuna Alda, della tua età”. La fissai negli occhi, analizzando attentamente i tratti del suo viso stupendo. Possibile che non ricordassi un collo così ben tornito, un volto così grazioso? Sì, forse aveva qualcosa di familiare, ma non era nulla più che una sensazione.

“Ma certo che mi conosci, io sono la tua Alda, la tua maestra, la tua insegnante. Ora tutto è passato, dimenticato, siamo giovani ed amanti, ed io, io sono la tua ragazza”. D’un tratto una forza interiore mi prese, mi sembrò d’avere davanti a me la creatura più celeste che avessi mai incontrato e così, ormai perso, la baciai. Ah quale non-senso in questa nostra continua guerra con la Adda, era colpa nostra il suo imbruttimento! pensai. Basta con le ribellioni, le lotte di quartiere, le vendette: la Alda era amabile e andava amata. Abbiamo tutta la vita per litigare con nodi di cravatta stretti intorno al collo, godiamoci la pace del Liceo.

Separatici dopo quel bacio meraviglioso, posò il suo tenero sguardo su di me ed iniziò a chiamarmi dolcemente per nome: “Paolo…”. “Dimmi amor mio…” le risposi incantato. “Paolo… Paolo…”. Io la guardavo ammaliato… “Paolo!” quasi mi urlò. “Ehi! che succede?”. “Paolo!!”. “Dimmi!”. Non mi rispose più, e tutto si fece buio e silenzio. D’un tratto, una voce metallica squarciò i miei timpani: “Ma anvedi sto impunito aò! Guarda come s’appisola su er banco! Ma che stiamo a scherza’?”.

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