«Rimarremo in aula per dare il senso di riappropriazione delle istituzioni da parte dei cittadini», aveva detto, con sintassi acrobatica, la capogruppo grillina alla Camera, Roberta Lombardi. Ha mantenuto la parola: il Movimento 5 Stelle ha occupato l’Aula per tutto il pomeriggio di martedì 9 aprile, fino alla mezzanotte. «La demolizione è iniziata», ha detto Beppe Grillo, celebrando «Occupy Parlamento» con un’intervista a Metro (è in fase di transizione: dalle testate straniere a una internazionale con edizione italiana).
«In Egitto forse rimpiangono Mubarak, qua nessuno sta rimpiangendo Fini, Casini, Bersani e Berlusconi», ha dichiarato il leader del movimento, compiendo a sua insaputa un piccolo capolavoro: sommando lo spirito di Occupy a quello della Primavera araba, Grillo ha scelto di seguire i peggiori esempi di proteste in circolazione. Peggiori, almeno sulla base dei risultati conseguiti.
Sulla sorte infelice delle rivolte arabe s’è scritto molto: dopo un inizio spontaneo, si sono perse in una fase caotica che ha lasciato la Libia in mano alle bande, l’Egitto e la Tunisia a barbe pericolosamente lunghe, la Siria e lo Yemen nel caos. Si è parlato meno della crisi di Occupy: il movimento di Zuccotti Park, che aveva sfidato la finanza al grido di «Yes we camp», si era diffuso come un contagio inarrestabile. Ne erano nate proteste a Roma, a Berlino come a Parigi, a Londra come a Hong Kong. Tutti a urlare la rabbia di quel 99 per cento della popolazione che paga gli eccessi di un 1 per cento di privilegiati, secondo il fortunato slogan della rivista canadese che ha innescato la rivolta, Adbusters. Cosa ne è rimasto? Niente, a parte i debiti e il risarcimento (230mila dollari) per le cose danneggiate dai poliziotti durante lo sgombero. Ma ci si accontenta. «Cambiare il mondo sarebbe stato troppo», ha ammesso il fondatore di Adbusters, Kalle Lasn, “la mente” di Occupy Wall Street.
A Roma la protesta è scivolata nell’anonimato: in pochi giorni gli indignati accampati in Piazza san Giovanni si erano ridotti a occupare un’aiuola in piazza Santa Croce di Gerusalemme, per poi ritirare verso i giardini di fronte alle Terme di Caracalla. Più incisive le proteste a Francoforte, che si sono concluse con 10 mila euro di danni chiesti dal comune (per aver garantito acqua, elettricità e raccolta dei rifiuti durante l’occupazione). Gli “indignados” spagnoli sono diventati un fenomeno stagionale: quando il caldo e la crisi si fanno sentire scendono in Puerta del Sol, a Madrid, per poi ritirarsi per i mesi successivi. Resiste solo Occupy Sydney, che però è ridotta a un banchetto irrilevante in centro città.
I canadesi di Adbusters hanno provato a risvegliare la resistenza, proprio in questi giorni, radunando gli indignati contro 36 sedi della banca d’affari Goldman Sachs. Non è nato niente di che, a dimostrazione del grande problema di questi movimenti: sono ondate spontanee, che nascono impetuose ma sono destinate a disperdersi perché non hanno dei leader. Nel Movimento 5 Stelle, invece, il capo è uno solo. E gli piace dimostrarsi illuminato parlando di Web, referendum online e proteste alla Occupy. Sono temi accattivanti, ma aggiornati, purtroppo, sull’altroieri.