SAN MARINO – Una volta era tutto facile nonostante la black list. Oggi è tutto difficile proprio a causa della black list. Lo sa bene il Fondo monetario internazionale che, nella sua ultima relazione su San Marino, ha da un lato teso la mano alla piccola repubblica, riconoscendole gli sforzi fatti per essere depennata dall’elenco dei paradisi fiscali, dall’altro ha messo nero su bianco che solo la normalizzazione dei rapporti con l’Italia le permetterà di risalire la china.
Del resto molto è cambiato in quei 61 chilometri quadrati di Stato nello Stato collocati tra Marche e Romagna. Sul Titano è iniziata persino la caccia all’evasore, con una crociata dei sindacati che vorrebbero mettere alla gogna, con la pubblicazione dei nomi, chi non ha saldato i propri conti pagando la monofase, che è la variante sammarinese dell’Iva. Il fatto è che la cifra è pesante, almeno per le spalle di San Marino. Qualcosa come 188 milioni: per un Paese di poco più di 31mila abitanti, con un bilancio che supera di poco i 600 milioni, con un disavanzo di 31 e un indebitamento previsto entro due anni a quota 240, fa la differenza tra il quieto vivere di una fiscalità ridotta all’osso e di un welfare modello Svezia e l’inasprimento delle tasse.
Per recuperare soldi, infatti, il Governo di centrosinistra ha prima aumentato l’imposta sul reddito. Poi ha introdotto una patrimoniale sugli immobili, residenziali e produttivi, che secondo le stime quest’anno dovrebbe garantire un gettito di 10 milioni di euro. «Una tassa una tantum – dice il segretario di Stato alle Finanze Claudio Felici – Il resto cerchiamo di recuperarlo con la spending review, tagli alla spesa pubblica che non toccheranno il welfare ma solo i privilegi, gli sprechi e le inefficienze». Per il Governo, quei 188 milioni di monofase mai incassati in parte sono inesigibili e in parte sono frutto di un normale contenzioso con lo Stato. Per i sindacati, che invocano la trasparenza, sono semplicemente il risultato di una evasione di massa che costringe tutti i cittadini a sopportare un carico fiscale più pesante. «Quando le cose andavano bene tutti potevano permettersi di chiudere un occhio – sintetizza il vice-segretario del sindacato Csdl, Gilberto Piemattei. Ma lo scenario a cui eravamo abituati non è più proponibile».
Insomma, una svolta epocale per un Paese che, fino a pochi anni fa, gli evasori non li perseguiva nemmeno, semplicemente perché il suo codice penale non contemplava il reato. Una svolta, tra l’altro, emblematica della crisi in cui è avvitata San Marino. Crisi economica e finanziaria, ma anche crisi politica. Lo scudo fiscale italiano ha drenato le banche che, in poco tempo, hanno perso sette miliardi di raccolta. E nemmeno con Mario Monti i rapporti con l’Italia, che tiene il Titano nella black list, sono migliorati, nonostante il depotenziamento della rigida normativa sul segreto bancario.
Uno spiraglio è arrivato con il via libera da parte del Governo italiano al disegno di legge contro la doppia imposizione tra i due Paesi. Cosa che apre la strada a una maggiore trasparenza fiscale e forse a una nuova fase nelle relazioni con l’Italia, che una volta era la fonte principale di ricchezza, sotto forma di capitali occultati al fisco e alla magistratura, e che oggi, invece, con maggiori controlli, tiene alla larga dalla piccola repubblica anche potenziali investitori.
Così ora San Marino si gioca quasi tutto sulla riforma fiscale che dovrà essere approvata entro l’estate. E sull’Iva, che per la prima volta farà il suo ingresso nella piccola repubblica, a partire dal 2014. Manderà in soffitta la monofase e inaugurerà l’era delle imposte indirette. Mentre per quelle dirette, così come sollecitato dallo stesso Fmi, arriverà una rimodulazione delle aliquote – vale a dire un ulteriore aumento – accompagnata da una revisione dei meccanismi di accertamento e delle esenzioni.
La tassazione diretta resterà comunque un terzo di quella media europea, con una fiscalità competitiva di cui il Titano ha bisogno come il pane per attrarre investimenti e abbattere la disoccupazione, che in quattro anni è quasi raddoppiata. Su un totale di quasi 22mila occupati oltre 4mila sono alle dipendenze della pubblica amministrazione. Ma più di 1400 sono in cerca di un lavoro. Nel 2008 erano 700. Oggi nel solo settore manifatturiero la disoccupazione raggiunge il 17%.