Quarant’anni fa venivano inaugurate le Torri Gemelle

Mentre cresce la nuova Freedom Tower la città fa i conti con la sua identità

NEW YORK – Camminava a oltre 400 metri da terra su un cavo metallico teso tra le Torri Gemelle di New York. La passeggiata del funambolo Philippe Petit resa famosa dal documentario “Man on Wire” del 2008 è solo una delle tante apparizioni cinematografiche di due grattacieli inaugurati esattamente 40 anni fa e divenuti drammaticamente oggetto degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 in cui hanno perso la vita quasi tremila persone.

Dal 4 aprile 1973 fino all’11 settembre 2001, e già durante la loro costruzione, le Torri sono state il simbolo della parte meridionale dell’isola di Manhattan e l’elemento chiave dello skyline di New York. La loro silhouette è scolpita nella memoria collettiva attraverso decine di film. Si va da “Kramer vs. Kramer” (1979) a “Wall Street” (1987), da “Superman” (1978) a “X-Man” (2000), passando per “Manhattan” (1979) e “The French Connection” (1971) in cui le Torri affiorano ancora da ultimare. In “A.I. – Intelligenza Artificiale” (2001) diretto da Steven Spielberg le Torri sono l’unico elemento ancora visibile di una Manhattan sommersa da tempo. Nel film horror Wolfen (1981) le Torri sono mostrate ancora in via di completamento dalla prospettiva del Manhattan bridge, e nella commedia “Una poltrona per due” (1983) sembrano riprese dalla parte orientale di quella che e’ oggi TriBeCa.

Secondo Donna Grunewald, una cinefila che si autodefinisce un’esperta della presenza delle Torri Gemelle nei film e a questo tema ha dedicato un sito internet, le Twin Towers fanno capolino in ben 710 rappresentazioni hollywoodiane. In 92 di esse appaiono anche nelle locandine originali, precisa sulla pagina web Grunewald. Tranne rasi casi come “Independence Day” (1996), “Armageddon” (1998), “I tre giorni del Condor” (1975), il remake di King Kong (1976) o “Godspell”, un film uscito nel 1973 in cui c’e’ una scena di ballo sul tetto del World Trade Center, le Torri non svolgono quasi mai il ruolo del protagonista, ma piuttosto fanno da sfondo, ha spiegato James Sanders, architetto e autore, nel libro “Celluloid Skyline: New York and the Movies”. Per Sanders la ragione è semplice: erano fantastiche da lontano, ma da vicino non rendevano, davano essenzialmente un’idea di New York legata al business e alle corporations.

Eppure, mentre proprio in questi giorni, il nuovo World Trade Center torna a essere l’edificio più alto di New York con la nuova torre chiamata 1 WTC dalla quale la vista sui cinque quartieri della città e sul New Jersey è straordinaria, risulta chiaro come quei due grattacieli abbiano accompagnato l’evoluzione di una città che, fedele al suo carattere innovativo, nelle ultime quattro decadi è cambiata in modo radicale. Per i più è cambiata in meglio, ma non per tutti.

Il termometro di quel cambiamento si trova forse sette chilometri più a Nord ed è Times Square. Negli anni ‘70, proprio mentre le Torri venivano ultimate, “era terra di spacciatori, squilibrati, di sex shop e peep show, di prostituzione, insomma era chiamata familiarmente ‘il cesso’”, ha spiegato recentemente in un’intervista al New York Times, Charles Ahearm, il regista del film hip pop “Wild Style” sui graffitari newyorkesi della fine degli anni ‘70.

“Vengono fuori gli animali piu’ strani, la notte,” diceva per restare a un film in cui compaiono le Torri, Travis Bickle, il tassista protagonista di “Taxi Driver” (1976) impersonato da Robert De Niro, “sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l’altro verrà un altro giudizio universale e ripulirà le strade una volta per sempre”. Il diluvio universale non è arrivato, ma in compenso è arrivata la Disney. Sì, proprio il colosso dei media e dello spettacolo che ha deciso, negli anni ‘90, di comprare un grattacielo nel centro di Times Square. Cosiì facendo ha fatto da apripista a tutta una serie di aziende e gruppi che di lì a poco si sono trasferiti nella zona, trasformando l’ex isolato più squallido degli Stati Uniti (come lo chiamò la rivista Rolling Stone nel 1982) in una sorta di piazza globale affollata di turisti e impiegati in cui durante il giorno si fa fatica a camminare.

Via via, sotto lo sguardo delle torri e con le politiche ruvide della “tolleranza zero” di Rudy Giuliani continuate con uno stile nuovo da Michael Bloomberg, Times Square si è rinnovata (benché il trend fosse cominciato prima di Giuliani) e con lei anche New York. Alla fine del 2012 gli omicidi registrati in città nei 12 mesi precendenti erano 414, il 20% in meno dell’anno precedente. Si tratta del dato più basso dal 1963, quando la polizia di New York ha cominciato a tenere il conto (prima a nessuno interessava). Il che sottolinea un fatto noto da tempo ai newyorchesi: ormai “The City” è la più sicura fra le grandi città americane. Semmai i newyorkchesi discutono se quella che si vede a 360 gradi dai piani più alti della nuova torre del World Trade Center alta 541 metri dove presto sorgerà un osservatorio per turisti e residenti tra il piano numero 100 e 102 (apertura prevista 2015), sia una città che si mantiene leale al suo spirito da sempre votato all’indipendenza.

La copertina del New Yorker dopo l’Undici settembre disegnata da Art Spiegelman

Il One World Trade Center visto dal New Jersey

In sostanza ciò che viene contestato a Michael Bloomberg, sindaco in carica dal 2002 e in scadenza di mandato è di aver addomesticato troppo la città, di averla resa una scuola modello dove però gli allievi sono oppressi da regole talvolta eccessive, cervellotiche. Questa critica ha avuto forse il suo più brillante esponente nel compianto autore e giornalista inglese-americano Christopher Hitchens che in tempi non sospetti, nel lontano 2004, se ne andò in giro per New York cercando polemicamente di compiere più infrazioni possibili – dal girare in bici nel parco con i piedi staccati dai pedali al dare da mangiare ai piccioni – per rispondere a una domanda che lo affascinava: perché la città più cosmopolita degli Stati Uniti deve essere trattata come fosse un cane al guinzaglio?

Sono stati in molti a chiederselo nei mesi e negli anni successivi a quell’articolo pubblicato da Hitchens nel febbraio 2004. Specie perché Bloomberg ha continuato a rendere New York sempre più “Bloombergville”. Tanto per dire oggi non è più possibile fumare neppure a Times Square. E il sindaco miliardario vuole ora approvare una legge per vietare ai negozianti persino di esporre le sigarette. Se le vogliono vendere dovranno tenerle sotto il bancone. Motivo? «Se sono in bella vista vuol dire che non fanno male» ha dicharato Bloomberg il 18 marzo scorso.

A di là delle regole e regolette di Bloomberg, peraltro apprezzate da gran parte della popolazione, New York in sostanza non sembra aver perso il suo fascino connotato dall’intelligenza ribelle e dal coraggio nel reagire alle difficoltà. Lo conferma la nuova One World Trade Center tower: ridefinisce il suo skyline ma soprattutto riafferma il suo carattere. 

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