Mentre a Milano, in via Vanvitelli, davanti al Dipartimento di Farmacologia dell’Università Statale di Milano animalisti e ricercatori si fronteggiano a suon di slogan e minacce sotto il controllo delle forze dell’ordine, sul web c’è chi lancia una petizione chiedendo al sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, di «eliminare il capitolo sulla sperimentazione animale dal regolamento comunale» (vedi il testo). Regolamento volto a tutelare il benessere degli animali all’interno del Comune di Milano, e che spazia dagli animali da compagnia a quelli usati per la sperimentazione animale appunto.
Un intero capitolo (il IX) che lascia stupiti i ricercatori che hanno lanciato l’appello e i firmatari, perché si tratta di «una normativa municipale che fornisce indicazioni su di una materia di competenza della Comunità Europea». Anche se il Comune di Milano non ha nessun poter normativo a riguardo. La paura però è che tra quelle righe gli animalisti possano trovare una giustificazione alle loro azioni. «Il testo segue la nuova “moda” di questo ultimo periodo e si arroga il diritto di dare giudizi sommari sull’utilità della sperimentazione animale e sul parere della comunità scientifica in merito» continua la petizione. «La comunità scientifica ha pochissime, per non dire nessuna, perplessità in merito alla validità dei risultati ottenuti con gli animali, e gli articoli scientifici pubblicati ogni anno utilizzando modelli non umani sono decine di migliaia. Se si vuole impostare un discorso generale sulla sperimentazione animale la si ponga su un piano etico, ma non sul piano scientifico, perché per quello esiste già una comunità internazionale severissimi».
«Lo testimoniano anche i tantissimi premi Nobel per la medicina assegnati a ricercatori che hanno svolto i loro studi utilizzando animali» Spiega a Linkiesta Giuliano Grignaschi, responsabile stabulario dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. «La quasi totalità dei vaccini che oggi salvano la vita dei nostri bambini sono stati messi a punto grazie all’utilizzo degli animali da laboratorio, così come tantissime tecniche di trapianto d’organo che prima di arrivare all’uomo sono state perfezionate su diverse specie animali».
L’appello, lanciato su Charge da un ricercatore del San Raffaele, Alessandro Papale, ha già ottenuto il supporto di oltre 2000 firme. Ben oltre l’obiettivo iniziale di 1000, che si erano posti inizialmente per chiedere un confronto con sindaco e assessori, affinché il regolamento, ora in forma di bozza, venga rivisto prima di diventare definitivo, e non ci sia alcun dubbio che il Comune di Milano avvalli teorie contrarie alla sperimentazione animale. I firmatari sono per lo più ricercatori che lavorano lontano da casa e per pochi soldi, con borse di studio che oggi ci sono domani non si sa. Per studiare malattie che oggi non hanno cura, per capire quali sono le cause che le scatenano e trovare nuovi farmaci per curarle. Per migliorare la qualità della vita di tutti, anche degli animalisti che sabato hanno portato avanti il blitz alla statale di Milano, come cita uno dei tanti striscioni sostenuti da ricercatori e studenti in via Vanvitelli.
Blitz finito anche sulle pagine estere della rivista Nature che racconta quanto accaduto a Milano per mano degli attivisti del gruppo “Fermare Green Hill”. Sabato sera, dopo dieci ore di contrattazioni, gli attivisti sono riusciti a portare via circa 200 roditori e un coniglio. Grazie a cinque di loro che si sono incatenati alle porte dei laboratori, mentre altri scambiavano di posto topi e cartellini, rendendoli inutilizzabiligli animali per il proseguimento delle sperimentazione. Le ricerche riguardavano autismo, malattia di Parkinson, di Alzheimer, Sclerosi Multipla, Sclerosi Laterale Amiotrofica, sindrome di Prader-Willi, dipendenza da nicotina.
Anni di lavoro di ricerca scientifica e studio buttati via, così come i pochi soldi messi a disposizione per la ricerca da enti nazionali e internazionali (tra cui Telethon, AIRC, NIDA, Fondazione Cariplo, Fondazione Mariani, Fondazione Sclerosi Multipla, Comunità Europea, Ministero della Ricerca, Ministero della Sanità, Regione Lombardia), come si legge nella lettera aperta scritta dai ricercatori del Cnr di Milano. «Gli animalisti si sono arrogati il diritto di bloccare le ricerche approvate dagli uffici competenti del Ministero della ricerca – continuano i ricercatori – condotte secondo tutte le norme nazionali e internazionali sul trattamento degli animali da esperimento, finanziate da enti pubblici ma anche da fondazioni Onlus, queste ultime sostenute dalle donazioni di cittadini generosi interessati alla salute pubblica».
Senza dimenticare che si tratta di animali da laboratorio, non abituati alla vita all’aperto, che possono essere infetti o geneticamente modificati. Alcuni con un sistema immunitaro basso, non in grado di sopravvivere a lungo al di fuori di ambienti protetti; altri utilizzati come modelli per studiare malattie del sistema nervoso. Ora, resta da vedere come e dove questi animali verranno sistemati.
«Siamo stanchi, stremati – continua la petizione – noi non seviziamo gli animali, siamo stufi di essere chiamati assassini. La vivisezione è una pratica abbandonata da decenni e allo stato attuale in Europa nessun laboratorio scientifico degno di questo nome la userebbe. Esistono dettagliati protocolli che giustamente limitano al minimo l’utilizzo di animali per la ricerca, obbligano all’analgesia e crediamo che sia sacrosanto. E crediamo che sia indispensabile utilizzare tutti i mezzi alternativi quando siano validati».
Difficile credere che dietro il lavoro di tutte queste persone ci siano i soliti complotti allestiti dalle multinazionali di farmaci, come sostengono in tanti, perché i costi per mantenere uno stabulario e questo tipo di ricerca sono ingenti e si va sempre in perdita. Se ci fosse una valida alternativa verrebbe senz’altro utilizzata dalle Università e dai centri di ricerca, anche perché la situazione economica della ricerca scientifica italiana è nota, ed è tragica. «I laboratori per la ricerca in-vivo sono tra i più costosi sia per l’allestimento sia per il successivo mantenimento – continua Grignaschi – ma il “costo “economico” non è il solo considerato. C’è anche quello “etico” che viene pagato ogni giorno, perché assolutamente nessuno prova alcun tipo di soddisfazione nell’indurre una patologia in un animale. Ma tutti sono consci del fatto che è un’attività necessaria al miglioramento del benessere dell’uomo».
E la strada per raggiungere una valida alternativa alla sperimentazione sugli animali è ancora lunga, nonostante si stia cercando di percorrerla. «Purtroppo anche su questo punto c’è una grande confusione che, temo, a volte venga creata ad arte. Recentemente per esempio su un’importante testata nazionale si leggevano affermazioni a dir poco incredibili come “colture cellulari in grado di ricostruire organi di origine umana” o ancora “investigazioni epidemiologiche che stentano a prendere piede perché non supportati dalla legislazione”. Purtroppo chi, come me, è iscritto da anni alle associazioni per la donazione di organi sa benissimo, che a oggi non esiste la possibilità di ricostruire organi di origine umana partendo da cellule, ma bisogna aspettare (sempre troppo a lungo) una donazione; una volta ricevuta la donazione poi bisogna affidarsi alle mani di un chirurgo che sappia come effettuare il trapianto (magari dopo aver fatto esperienza su modelli animali) e a medici che sappiano quale terapia farmacologica utilizzare per ridurre al minimo la possibilità di rigetto (utilizzando farmaci testati negli stessi modelli animali). Per quanto riguarda l’epidemiologia è sufficiente prendersi la briga di visitare un istituto come il nostro per rendersi conto che è una delle più sviluppate branche della ricerca moderna».
Oggi purtroppo è necessario ancora testare i farmaci su un essere vivente, perché solo così è possibile vedere il reale effetto di un farmaco. I test in laboratorio non bastano perché non tengono conto di numerose variabili che entrano in gioco quando si somministra una sostanza estranea in un organismo vivente. E a volte neanche questo basta. «La realtà purtroppo è che oggi esistono solo pochi test realmente alternativi che possono essere utilizzati, mentre se si vuole sperare di riuscire a dare risposte ai malati, bisogna ancora ricorrere a modelli in-vivo. Il che avviene solo dopo che tutta la ricerca in-vitro ha completato il suo percorso. Quello che pochi sanno, purtroppo, è che su 100 principi attivi che iniziano la sperimentazione, 50 vengono scartati dopo i test in-vitro e dei 50 restanti la maggior parte viene fermata dopo i test in-vivo, a causa di effetti tossici non rilevabili in-vitro o a causa della loro inefficacia. Se infatti un organismo complesso come quello di un topo non è un modello perfetto per studiare l’effetto di un farmaco in un uomo, evidentemente ancor meno lo potrà essere una coltura cellulare che viene mantenuta isolata da tutto il resto dell’organismo».
Eppure l’Italia è uno dei Paesi con il più alto consumo di farmaci, (quasi un abuso) e «quando ci fu il rischio di una possibile “epidemia” da influenza aviaria, per la quale molti esperti avevano negato la necessità di ricorrere all’uso di vaccini, le farmacie furono letteralmente prese d’assalto e i vaccini (testati e preparati grazie all’uso di animali) erano introvabili» afferma Grignaschi. «Chiunque sia contrario all’utilizzo degli animali nella ricerca biomedica, se fosse coerente, dovrebbe ricorrere solo a prodotti omeopatici o a terapie mai testate in-vivo prima. Ma non credo possa arrogarsi il diritto di decidere per tutte le altre persone che la pensano diversamente».
«Siamo profondamente delusi da questa scelta – concludono i firmatari della petizione rivolta a Giuliano Pisapia – e non vogliamo essere obbligati anche noi ad andare via dall’Italia per fare ricerca. Non cada nel tranello che le stanno tendendo: le Istituzioni non possono essere autoreferenziali, la comunità scientifica deve essere coinvolta quando si tratta di argomenti che la riguardano».
Twitter: @cristinatogna