Sulla scia di Scalfaro, Napolitano tutor del paese

Con il suo bis si apre la stagione del presidenzialismo. Parlano Cacciari e Ceccanti

Non dev’essere semplice trovarsi, quasi solo, a reggere in piedi tutto il sistema istituzionale di un paese. Soprattutto al termine di un mandato di sette anni. Le sfide che Giorgio Napolitano ha dovuto affrontare nell’ultima fase della sua presidenza hanno pochi precedenti, con situazioni ingarbugliate che lo hanno costretto a interpretare un ruolo spesso inedito. «Forse solo Scalfaro, prima di lui, si era trovato a gestire una situazione di portata analoga» spiega il senatore Stefano Ceccanti. «E di fronte a un sistema di partiti che crolla, Napolitano ha dovuto interpretare al massimo il suo ruolo».

Forse questo è il merito maggiore di un Presidente che «ha saputo rimanere nelle regole della Costituzione», e «ha mantenuto un alto profilo, imparziale davvero rispetto ai partiti». E questo, sotto certi aspetti, alcuni non se lo aspettavano. Tanto è vero che la sua elezione non fu condivisa in modo ampio. «Ma ha saputo fare bene: anche perché in Italia ha poteri più grandi rispetto a tutte le altre repubbliche. È rimasto nel pieno rispetto della Carta, ma ha dovuto intervenire con azioni straordinarie». Prima di lui solo Scalfaro. «Anche perché, come dice Giuliano Amato, il potere del Presidente della Repubblica è come una fisarmonica, può aprirsi e chiudersi. Cioè può avere una grande ampiezza, se il contesto non è in grado di governarsi da solo. Ma può anche chiudersi, lasciando che siano le altre istituzioni e i partiti a curare il Paese». Così, al momento, non è: «perché siamo di fronte a un cambiamento di sistema. Se pensiamo al ruolo di Sandro Pertini, ad esempio, vediamo che era più limitato: nel suo caso doveva gestire non un cambiamento di sistema, ma un cambiamento di formule: dalla solidarietà nazionale al pentapartito».

Napolitano, invece, «si è trovato di fronte a un sistema di bipolarismo che si sta logorando: adesso è tutto in crisi, perché in Parlamento ci sono quattro minoranze – di cui una inferiore, per ampiezza, alle altre – che non sanno e non riescono organizzarsi». Nel crepuscolo dei partiti, l’unico uomo che deve tenere tutto in piedi dev’essere lui. Un compito ingrato, «ma svolto nel miglior modo possibile». Con rispetto «ma anche con sortite decisive». Ceccanti ne ricorda due: «la decisione, presa come rappresentante delle Forze armate del Paese, di intervenire in Libia, in un momento in cui la maggioranza era spaccata e non riusciva a trovare un accordo». E poi «la formazione del governo tecnico, con la destituzione di Berlusconi e la nomina di Monti. Un passaggio necessario e fondamentale per salvare il Paese dal crac economico».

Di conseguenza, «in un contesto in cui le istituzioni non sono più in grado di reggere la cosa pubblica, i partiti non si regolano e non sanno come agire, resta solo il governo del Presidente. E allora, per garantire una maggiore rappresentatività del Presidente della Repubblica, si dovrebbe passare a una elezione diretta da parte dei cittadini». Un esito inaudito?

Anche Massimo Cacciari, politico, filosofo ed ex sindaco di Venezia ha un giudizio ottimo del Presidente Napolitano. «In anni difficilissimi se l’è cavata in modo più che egregio». Soprattutto in un momento in cui «i partiti si sono dimostrati del tutto inadeguati e non in grado di governare». Senza errori né sbavature, la condotta di Napolitano «è stata eccellente. Anche perché ha saputo fare il presidente presidenzialista anche contro la sua volontà, e contro la sua cultura». Napolitano, «facendo convergere per il bene del Paese le varie posizioni politiche, ha tenuto ferma la barra». E si è guadagnato, per i suoi meriti «la stima dei rappresentanti europei. Forse è l’unico, insieme a Monti, che venga così stimato all’estero». 

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