Leggeremo una quantità di puttanate intorno al nuovo libro di Roberto Saviano, ZeroZeroZero. La più tempestiva è stata scritta da Enrico Deaglio su il Venerdì di Repubblica. Eccola: «Gomorra, il saggio-romanzo scritto per Mondadori, il libro che ha cambiato il modo di scrivere sulla realtà italiana, un calcio alla commedia, all’intimismo e ai cannibali».
In questa frase c’è tutta l’ideologia della nostra epoca. Consiste in un’idea esclusivamente giornalistica della realtà, della vita, del mondo. I giornalisti, come dice la parola con cui si autodefiniscono, sono gli specialisti del giorno. La loro è una forma particolare di imporre il tempo: lo presentano in forma di ordine del giorno, lo giornalizzano, lo impaginano. Nella versione giornalistica, il giorno che deve essere condiviso da tutti si presenta in forma di elenco delle notizie giudicate più importanti, incasellate in sezioni, messe in ordine gerarchico da quotidiani, notiziari, telegiornali, siti. Secondo quella particolare ideologia del tempo chiamata giornalismo, tutti dovremmo guardare con questo stesso occhio, tutti dovremmo ossequiare la stessa gerarchia di fatti, fenomeni, esperienze. La realtà è quella.
Chi testimonia l’esistenza di altro fa “commedia”, fa “intimismo”, fa roba da scrittori “cannibali” (a Deaglio sfugge completamente la capacità di spiegare la “realtà italiana” che si trovava nei romanzi e racconti più significativi degli anni cannibali, come Woobinda, Fango, Puerto Plata Market, Io non ho paura). Per Deaglio esiste solo la realtà giornalistica.
La letteratura contrasta questa descrizione, questo tremendo falso ideologico che, con gli strumenti di una illusoria oggettività (illusoria perché impaginata, perché ordinata gerarchicamente), amplifica e rende reale l’ordine del giorno a forza di ripetizioni, grazie a un enorme apparato tecnoinformativo, onnipervasivo, che ribadisce e martella da mane a sera su pagine e schermi di ogni genere.
La letteratura, e in particolare il romanzo, è un’arma sociale che ci ha consegnato la tradizione. L’umanità ha colto perfettamente l’oppressione della “realtà”, intesa come descrizione impaginata dai potentati di ogni epoca: tremila anni fa ha compreso subito, profeticamente, il pericolo di impostura che c’è nelle descrizioni gerarchizzate di ciò che accade, ha individuato il falso ideologico del tecnoapparato onnipervasivo, e ha reagito con la letteratura, con la poesia, con il romanzo. Non è casuale che il romanzo proliferi esplosivamente nella modernità. Negli ultimi secoli, gli esseri umani hanno dovuto difendersi dal giornalismo, in maniera sempre più massiccia.
La letteratura, la poesia e in particolare il romanzo, non è altro che un modo di tutelare e valorizzare l’immaginazione individuale. Esiste qualcosa, nell’immaginazione di alcune persone, espresso attraverso le parole, che viene chiamato romanzo. Si tratta di storie immaginate che non hanno alcun fondamento nella realtà. Se si radicano in un’apparenza di realtà è per rendere credibili queste immaginazioni. Nel romanzo, la realtà è soltanto la materia prima dell’immaginazione. Questo è uno scandalo. È inaccettabile politicamente. Non è razionale, non è progressista né reazionario, non aumenta la conoscenza, non offre alcun apporto al miglioramento della comunità.
Eppure da questa assenza di fondamento, da questo atteggiamento spregiudicato verso la realtà come materia prima dell’immaginazione sono usciti Omero, Catullo, Cervantes, Swift, Dostoevskij, Melville, Zola. Sì, proprio Émile Zola, il romanziere che propugnava una letteratura naturalista, positivista, quasi scientifica, passando settimane intere con un taccuino in mano e una macchina fotografica, nei posti dove voleva ambientare i suoi romanzi, fra i minatori, i ferrovieri, i commessi dei grandi magazzini, gli speculatori finanziari, i pittori squattrinati, le prostitute. Descriveva quello che vedeva, per ore e ore, osservando, seduto in un angolo, facendo sopralluoghi e domande, trascrivendo decine di colloqui e interviste, riempiendo migliaia di pagine di taccuini. Leggendoli, si coglie perfettamente qual è il suo scopo: trovare dei luoghi in cui collocare le sue immaginazioni.
Ecco un passo dai Taccuini, in cui Zola perlustra per giorni e notti i mercati sotterranei delle Halles, per ambientare lì dentro Il ventre di Parigi:
“In un angolo [nel deposito del pollame] ho visto uno dei tubi di sfogo delle esalazioni. È una delle torrette, quella dell’angolo di rue Pierre Lescot con rue Rambuteau. (Florent può vederne uscire in sogno dense volute di fumo del pollame arrostito, un’evaporazione spessa e nera di cibo.) Altre torrette hanno scale, due nella pescheria, una nel burro all’ingrosso. Situerei la scena dello stupro nel deposito del pollame. (Vorrà gettarla su un mucchio di piume. Lotteranno e giungeranno fin sul tracciato. L’avranno prima perlustrato, essendo la porta aperta.) Risalita, Lisa potrà aprire il pozzetto.”
I romanzieri, anche i più realistici, anche quelli programmaticamente oggettivi come Zola, attraversano la realtà per ficcarci dentro le loro immaginazioni, le loro fantasticherie. Questo, per le persone razionali, politicamente adulte, è insensato. È scandaloso. Semplicemente, non lo capiscono. Non sono in grado di capirlo. Per loro la realtà è soltanto inchiesta, è soltanto giornalismo.
Eppure Deaglio, a quanto pare, un romanzo l’ha scritto anche lui. Ma io non mi sognerei mai di pensare che ZeroZeroZero è un calcio a Zita di Enrico Deaglio. Perché allora dovrei pensare anche che Gomorra è stato un calcio a Émile Zola, a Melville, a Dostoevskij, a Swift, a Cervantes, a Catullo, a Omero. Perché il romanzo è immaginazione, è la scrittura comica e intimistica e cannibale di Omero, Catullo, Cervantes, Swift, Dostoevskij, Melville, Zola.
Una contrapposizione simile la può concepire solo una mente giornalistica, che non ha compreso che cos’è la letteratura, che cos’è il romanzo, che cos’è l’immaginazione individuale proposta alla collettività attraverso le parole. Il calcio, del tutto gratuito e fuori tempo massimo, è sferrato da Deaglio, non certo da Gomorra.
Io ogni giorno ringrazio la nostra tradizione culturale che ha raffinato e potenziato nei secoli questa cosa che viene chiamata “letteratura”. È solo grazie al prestigio della tradizione che noi oggi possiamo avvalerci dell’arma chiamata “romanzo” per testimoniare, attraverso la nostra immaginazione, un’altra esperienza della vita, del mondo, della realtà: se non ci foste stati voi, Omero, Catullo, Cervantes, Swift, Dostoevskij, Melville, Zola e tutti gli altri, a difenderci con il vostro blasone, quest’epoca avrebbe snobbato con probi argomenti razionali il valore dell’immaginazione individuale.
Senza l’arma eversiva, insensata, mite e micidiale della poesia e del romanzo, non avremmo niente per contrastare quella visione totalitaria della realtà, del mondo, della vita, quell’idea esclusivamente giornalistica.
Roberto, non lasciarti infinocchiare! Il tuo libro viene pubblicitariamente presentato come il tuo nuovo “romanzo” perché i giorni che viviamo sono questi, bisogna smuovere i lettori pigri, cioè gli italiani, cioè i non lettori; poco male. Leggerò con ammirazione e infinita gratitudine la tua nuova inchiesta, sono sicuro che sarà splendida come e più di Gomorra.
Questo scritto è apparso originariamente su «Il primo amore» il 5 aprile 2013
* Tiziano Scarpa è nato a Venezia nel 1963. Tra i suoi libri, Occhi sulla graticola (Einaudi 1996 e 2005), Amore® (Einaudi 1998), Venezia è un pesce (Feltrinelli 2000), Cos’è questo fracasso? (Einaudi 2000), Nelle galassie oggi come oggi (con Raul Montanari e Aldo Nove, Einaudi 2001), Cosa voglio da te (Einaudi 2003), Kamikaze d’Occidente (Rizzoli 2003), Corpo (Einaudi 2004 e 2011), Groppi d’amore nella scuraglia (Einaudi 2005 e 2010), Batticuore fuorilegge (Fanucci 2006), Amami (con Massimo Giacon, Mondadori 2007), Comuni mortali (Effigie 2007), Stabat Mater (Einaudi 2008, premio Strega 2009), L’iseguitore (Feltrinelli 2008), Discorso di una guida turistica di fronte al tramonto (Amos 2008), Le cose fondamentali (Einaudi 2010 e 2012), La vita, non il mondo (Laterza 2010). Dall’inizio degli anni Novanta a oggi ha scritto una quindicina di testi per la scena e per la radio, tutti rappresentati, fra cui: Comuni mortali (Effigie 2007); L’inseguitore (Feltrinelli 2008); L’ultima casa (Transeuropa 2011); La custode (in New writing Italia. Dieci pezzi non facili di teatro, a cura di Rodolfo di Giammarco e Martina Melandri, Editoria e spettacolo, 2011), L’infinito (Einaudi 2011). Nel 2013 ha pubblicato per Einaudi, nella nuova collana digitale dei Quanti, Lo show dei tuoi sogni (disponibile anche nella versione con musica di Davide Arneodo e Luca Bergia dei Marlene Kuntz).