Basilicata, la terra dimenticata dell’ultimo scandalo

«E allora le cose, da male, un po’ alla volta iniziarono ad andare peggio»

Un delitto all’ora della siesta. Quando nelle case la gente si lascia andare alla pigrizia della digestione. Quando si accostano le imposte. Quando nelle strade, ai bambini che non vogliono andare a letto, si dice che passa il Cirallo. Quando anche le casalinghe si placano, e dopo aver passato la scopa in cucina si addormentano davanti alla televisione. Quando per un’ora o due i pensieri diventano di ovatta.

In quel tempo sospeso due persone si incontrano. Piú di due, chissà. Proprio allora, proprio lí. Altrimenti non succederebbe. Sugli spalti del paese vecchio, dove a volte, la sera, i ragazzi si intrattengono. Donata. E poi? Qualcuno che non ha quelle abitudini, che non conosce fin da piccolo la dolcezza e la noia del riposino. Che pensa di mettere a frutto anche quelle manciate di minuti, come fanno in città, dove vanno sbattendo senza darsi mai pace. O invece chi quelle abitudini ce le ha. E sa che in quell’intervallo nel paese non gira anima viva. Un delitto accidentale? O premeditato?

Dirigendosi in Procura, Imma pensava al giorno prima. Ai risultati dell’autopsia, a quei graffi e quelle ecchimosi sul cadavere, che se non confermavano, nemmeno escludevano l’omicidio. Alla reazione di Rosanna quando le aveva nominato Martelli. A Donata. E a quel fratellino molto piú piccolo di lei. Pensava a Bakunin, che era uscito di casa. E intanto chiamava Caramanna, ma poiché dava occupato iniziò a ribollire come una pentola a pressione quando si ottura la valvola.
Attraversando piazza dei Caduti ormai scalpitava per passare all’azione, ma ogni volta che aveva quasi messo a punto il da farsi uno strombazzare di clacson o la voce metallica di un altoparlante le rompeva le uova nel paniere. Non si poteva piú pensare ad altro, e che cavolo.

La città era mobilitata per le elezioni imminenti. Le strade percorse da furgoncini elettorali coi due faccioni traballanti che intasavano il traffico. Dal rione Agna a Piccianello, dal Corso a via Lucana, da via Casalnuovo a via Nazionale, i manifesti coi due candidati ricoprivano ogni muro senza soluzione di continuità, lasciando sfuggire solo ogni tanto il lembo di una réclame del circo Togni, o l’angolo listato a lutto di un annuncio funebre. A giudicare dai sondaggi la candidata di centrodestra era in vantaggio, ma l’onorevole Martelli poteva sempre sorpassarla, tutto dipendeva dalla piú potente delle lobby elettorali, gli indecisi dell’ultim’ora.

Il duello finale forniva argomenti di dibattito che rinnovavano il repertorio della primavera in ritardo e degli aumenti in arrivo, e non potevi andare a comprare due uova o un chilo di pane senza ricevere in omaggio i pareri del salumiere o del lattaio, che non avevano il minimo dubbio sulle strategie da usare o sull’esito finale delle elezioni.
Anche i corridoi della Procura erano pieni di fini analisti politici: impiegate, imputati, parenti e praticanti, che sparavano opinioni intonando tutti insieme concertini di voci fuori dal coro. Imma li odiava. E loro la ricambiavano.

Quel giorno, vedendola arrivare da lontano, un capannello si smembrò in pochi istanti: ne facevano parte Maria Moliterni, Diana, la poliziotta Jessica e un paio di avvocati. Ma nel fuggi fuggi generale Diana restò indietro e si trovò di fronte all’inevitabile.
“La nostra amica ha un problema intestinale?” esordí Imma.
Diana si fece la croce al rovescio. Che si riferisse a Jessica o a Maria Moliterni, signore pietà.
“L’ho vista che se ne andava di corsa. O prendeva fuoco l’Ufficio Atti?”
La Moliterni. Insomma, non è che stesse particolarmente simpatica neanche a lei, la puzza sotto il naso ce l’aveva, niente da dire, ma un caffè per buona creanza, visto che erano colleghe, e dai.
Imma fece segno a Diana di seguirla nel suo ufficio, mentre riprovava a chiamare Caramanna. Macché. Occupato. “Sto entrando in udienza, devi fare un paio cose. Intanto, convochi Pasquale Miulli. Al piú presto, compati-
bilmente coi miei impegni”.
“Faccio subito. E poi?”
“La ragazza aveva un registratore. Un walkman della Sony. Piccolo, argentato. Bisogna ordinare una nuova perquisizione in casa dei Miulli, al negozio di Bakunin, e una a piú ampio raggio della zona dove è stato rinvenuto il cadavere. Dillo a Caramanna, non so cosa sta facendo col telefono. E soprattutto, sentimi bene, va capito dove gioca il fratellino piccolo di Donata. Una piazza, un cortile, un asilo. Bisogna cercare anche lí”.
“Il fratello?”
“Esatto. Senza perdere tempo”.
Diana la guardò incuriosita, ma Imma non era in vena
di spiegazioni.
“Voglio anche una verifica sull’ultima permanenza della Miulli a Roma, – proseguí. – Nell’agenda c’è il biglietto d’andata, il 27 febbraio, col treno da Ferrandina. Ma niente biglietto di ritorno. È a partire da quel giorno che le pagine restano vuote. Devo sapere dov’è stata e cos’è successo”.
Diana fece per andare, ma Imma la trattenne.
“Non ho finito. Voglio un’informativa sui genitori di Donata, sull’onorevole Martelli e sulla moglie Maria Giulia Tantalo. Multe, pendenze, acquisti e vendite immobiliari. Denunce, esposti. Qualunque cosa che li riguardi. Chiedilo a Puddu”.
Diana annuí e si allontanò.

Poiché la conosceva dai tempi che furono, e aveva visto i suoi piedi dondolare avanti e indietro sotto la scrivania, sapeva che la dottoressa era finalmente su una pista e se dio vuole nei prossimi giorni sarebbe stata di umore leggermente piú sopportabile.
Non resistette. Quando fu sulla soglia si voltò e le chiese se sospettava di qualcuno. Imma rimase a guardarla con un sorrisetto che le spuntava sulla faccia rotonda, un po’ oliosa quel mattino.
“Secondo me è stato l’ex, – azzardò Diana. – Alla fine è sempre colpa loro”.
Il sorrisetto di Imma si accentuò impercettibilmente, con lo stesso sadismo che aveva a scuola quando una compagna le chiedeva di suggerire.
“Non ti far entrare le mosche in bocca con nessuna delle tue amiche. Invece, qualunque cosa senti che riguarda i Miulli o Martelli fammela sapere”.

Dopo l’udienza, la mattinata fu inghiottita da un mucchio di scartoffie, e verso l’una la chiamarono per un infortunio sul lavoro. Stava uscendo quando incrociò Diana.
“Dottoressa, ho parlato con Caramanna. Ha detto che provvedeva subito e vi faceva sapere. La perlustrazione la effettuano entro oggi. È arrivata anche l’annotazione del maresciallo Papaleo in esito alla delega”.

Imma scorse velocemente i fogli che la cancelliera le porgeva. Il buon Papaleo scriveva di aver contattato l’autista tuttofare di Martelli, peraltro suo conoscente, per verificare in maniera riservata i movimenti dell’onorevole nel pomeriggio del 4 marzo. A quanto pare c’era stato un incontro in Val d’Agri con le associazioni ambientaliste, durato fin verso le sette. Poi Martelli si era allontanato per un impegno, e gli aveva chiesto di rientrare con gli altri dello staff.
“Che impegno?” disse Imma guardando Diana sovrappensiero.
“Non l’ha specificato, l’ho notato anch’io, infatti l’ho chiamato per chiederglielo. Non lo sapeva”.
Vuoi vedere che Martelli non aveva un alibi? L’attraversò per un attimo un’idea paradossale.
“Quando è pronta l’informativa? – chiese ancora a Diana. – Che dice Puddu?”
“Un ragazzo ha aggredito il Rettore dell’università, Puddu è andato lí con una pattuglia. Non mi ha fatto sapere niente. Appena torna sento a che punto è”.
“Aspetto notizie”, tagliò corto Imma, e uscí.
Stette fuori fino al primo pomeriggio. Era morto un padre di famiglia. Trent’anni, tre figli, e un’imbracatura fatta male.
Stava rientrando dopo essere riuscita a fare anche un minimo di spesa, quando si sentí chiamare.
“La nostra Tataranni. Come si va?” Il Procuratore capo.
“Si tira”.
“Le offro un caffè?”
“Grazie, l’ho già preso”.
Vitali le mise una mano sulla spalla e la guidò al ralenti in direzione del suo ufficio.
“Se mi posso permettere, dottoressa cara. Sarebbe buona norma evitare di portare documenti, specie se importanti, fuori dalla Procura. Lei mi capisce, meglio non dare adito a malintesi che potrebbero rivelarsi antipatici”.

© 2013 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

* Mariolina Venezia (clicca qui per il profilo completo)
Maltempo, 2013, Einaudi, pp. 256, € 17,50

Il Pm Imma Tataranni non sopporta le chiacchiere, l’intuito femminile e il punto G. Un po’ Giovanna d’Arco, molto don Chisciotte, si aggira per la Basilicata in tacco dodici, intemperante piú che mai, indagando su un caso che potrebbe far tremare il governo o rovinarle la carriera. Nei parchi naturali sventrati dalle compagnie petrolifere, fra maghe contadine e tramonti western, eccola in prima linea, alle prese con un marito meno sbadato di quel che sembra, un appuntato troppo attraente, una figlia, e un dubbio che la arrovella: come mai fra i calanchi vaga qualcuno che dovrebbe essere morto? Una nuova inchiesta della protagonista di Come piante tra i sassi, il ritratto in giallo di un’Italia unita con lo scotch.

Twitter: @Einaudieditore

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