Quando da bambini si guarda una partita di calcio in televisione, viene naturale uscire fuori a giocare, magari imitando i grandi campioni. Lo stesso spirito che, in fondo, anima “Calcio & Spread”, l’ultimo libro di Mauro Bottarelli, che infatti avverte: «Prima che ti portino via l’amore per il gioco più bello del mondo».
Tutto il libro, a ben vedere, è un avvertimento. Il calcio europeo, tranne quell’isola felice che è la Germania, sta collassando in un brodo fatto di emiri accentratori, prestiti da banche nazionali di Paesi falliti e azionisti che vedono sfumare i propri risparmi.
E proprio sul tema del binomio calcio-borsa che Bottarelli, da giornalista esperto di economia, avverte: «Se potessi fare una proposta per far riprendere il calcio italiano, la prima sarebbe il delisting delle società. Il calcio deve uscire dalla borsa, è solo un modo per spennare gli azionisti, non serve a nulla investirvi in questo modo. Non è questione di romanticismo. Guardate cosa ha fatto la Juve con i propri azionisti: con un metodo del tutto legale, ha fatto azzerare loro gli investimenti».
Calcio & Spread spiega che il tutto è avvenuto grazie all’articolo 2447 del Codice Civile. In sostanza, scrive Bottarelli, la Juve in chiusura di bilancio negativa si è appellata a quando recita l’articolo: con un rosso record di oltre 90 milioni di euro con il quale ha chiuso il 2011, il club ha azzerato riserve e capitale sociale per ripianare le perdite, immettendo nelle casse 120 milioni freschi, con i soli sottoscrittori delle nuove azioni considerati come azionisti della società. Con conseguenze disastrose per gli azionisti ‘vecchi’: per loro, o si rimetteva mano al portafoglio, o si vedevano azzerati gli investimenti fatti. Nel 2001, chi aveva comprato azioni per 3 euro e 70 centesimi è stata una vera e propria perdita. Implacabile perdita, come quella che ha riguardato chi aveva pensato di investire in Roma e Lazio. Ora Piazza Affari tratta le azioni biancocelesti a 0,34 euro contro le 5000 lire circa del prezzo di precollocamento datato maggio 1998: un ribasso del 75%. Contro il 90% di perdita di valore dei titoli della Roma.
Poco tempo fa, il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete aveva parlato di imitazione del modello tedesco. Un calcio vincente in campo (con Bayern Monaco e Borussia Dortmund in finale di Champions League) e nei bilanci. Ma tale modello è applicabile davvero all’Italia? «Stiamo parlando di un contesto differente da quello italiano – analizza Bottarelli -, perché presenta una situazione non ripetibile. Il calcio tedesco appartiene a un modello di un paese che nonostante la crisi è capofila europeo a livello industriale: il che significa avere società e sponsor reali». Una situazione che rende la Bundesliga un campionato appetibile sul campo e quindi anche dal punto di vista dei diritti tv. «In Italia, Francia e Spagna la crisi si riflette sul calcio. La Liga è campionato finito già a dicembre, perché spaccato in due: da una parte le altre, dall’altra Real e Barcellona. Parliamo di un torneo spaccato dagli interessi economici, dove queste due big fanno quello che vogliono nonostante i debiti, con le banche di un Paese disastrato che eroga prestiti e poiché aiutato dalla Bce. Quindi, come aveva accusato a suo tempo proprio la dirigenza del Bayern, prende soldi dai contribuenti europei». E in Italia? «Qui dominano tre gruppi industriali, li stessi che possiedono le tre grandi squadre».
Ci vuole quindi un modello diverso, applicabile al nostro contesto, che nel frattempo è il seguente: «Berlusconi non ci guadagna nulla economicamente dal Milan – prosegue Bottarelli – lo ha tenuto per una questione di appeal elettorale. La Juve abbiamo visto cosa ha combinato con gli azionisti: che interesse ha la Fiat a investirvi? Ricordo che è notizia di oggi che la casa automobilistica sta spostando Fiat Industrial in Olanda per motivi fiscali. L’Inter ha dovuto far entrare in società i russi di Rosneft».
Ne esce un quadro desolante, con un calcio italiano che non può stare dietro agli emiri che spendono e spandono all’estero e con un campionato spaccato anche qui in due. La ricetta quindi prevede di «sfruttare gli stadi di proprietà con i relativi introiti, proprio come giustamente ha fatto la Juve. Non bisogna più quindi dipendere dai diritti d’immagine: a cosa servono, a una squadra come il Chievo? L’Italia è poi il Paese dei procuratori: se chiedono cifre troppo grandi, vanno allontanati verso i campionati degli emiri. E poi ci vuole una guida differente. Platini ha varato il Fair Play Finanziario solo ora. Mi chiedo: dov’era quando certi buchi si creavano? E perché lo applica non a tutti, visto che il Real continua a fare quello che vuole?».